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Il giudice costituzionale fissa il confine tra disciplina statale e norme regionali: ancora una conferma del divieto per le regioni di imporre limiti alla localizzazione di impianti a energie rinnovabili in zona agricola (nota a C. cost. 166/2014)

Viene ancora una volta all’attenzione del Giudice delle leggi la questione della legittimità costituzionale delle limitazioni poste dalla legislazione regionale alla possibilità di installazione di impianti a energie rinnovabili in zona agricola in contrasto con le previsioni dettate nella materia dal d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 ( Attuazione della direttiva 2001/77/Ce relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

Il problema involge la necessità di stabilire i confini applicativi delle disposizioni regionali nella materia dell’energia, settore di forte impronta comunitaria anche per le implicazioni ambientali sottese, a fronte di un potere di governo del territorio e di promozione dell’agricoltura locale (sempre meno) stabilmente ancorati in capo alle regioni.

 

Con la sentenza n. 166 dell’11 giugno 2014 in commento la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul rapporto tra norme statali e norme regionali nella materia dell’energia, afferma la prevalenza delle prime, costituenti principi fondamentali, sulle seconde necessariamente cedevoli per il rispetto della disciplina comunitaria.

1. La vicenda

La vicenda riguarda una legge della Regione Puglia, una delle regioni più attive sul fronte dell’applicazione della disciplina sulle energie rinnovabili, ma anche tra quelle maggiormente esposte alle censure di incostituzionalità delle sue leggi per violazione dei limiti della materia.

Si tratta, in particolare, della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 ( Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale ), legge sottoposta all’esame della Corte Costituzionale in precedenti occasioni (e già dichiarata parzialmente illegittima con sentenza C. cost. n. 119/2010).

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Gianna Di Danieli