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«Vendesi olivi»

Il cartello è frequente sulle strade della Padania nei molti esercizi florovivaistici che vi si affacciano. Dove c’è, il florovivaista mette in bella mostra olivi vecchi, se non secolari, ma anche giovani, raccolti in vasi. La vista non è esaltante perché il pensiero corre agli oliveti che costellano le sponde dei laghi: ordinati, lucenti, folti. E rimandano a visioni delicate perché l’olivo – osservava il prof. Valerio Giacomini – ha dato il colore azzurro ai contorni dei laghi lombardi che si sono stampati nell’immaginario collettivo. Se al posto dell’olivo – si interrogava l’illustre naturalista – si fosse diffuso il leccio scuro, quale altra immagine del lago (di Garda, nella specie) si sarebbe prodotta ? Di un altro paesaggio, bensì ordinato, bensì intenso, ma un poco tenebroso: tutt’altra cosa da quella offerta dai laghi insubri, grazie all’olivo.

Gli olivi in vendita non sono offerti agli olivicoltori, ma ai proprietari di ville e villini che popolano le periferie urbane delle sconfinate campagne padane. La fortuna commerciale dell’olivo è recente e apparentemente non ha una spiegazione plausibile: tranne forse quella legata alle sue ascendenze bibliche o latine (risalenti ad autori come Virgilio). È difficile spiegare un così lucroso commercio con le tendenze culturali degli acquirenti, ma il mercato è florido. Anzi floridissimo.

Gli olivi in vendita non provengono dai territori lacustri del Nord perché, lì, la pianta è ricercata. Recenti indagini confermano un crescente interesse dei piccoli coltivatori lacustri per la produzione di un olio DOC, in forte crescita. Da dove allora ?

Si sussurra dalla Puglia e, forse, dalle Marche, più difficilmente della Toscana dove si vedono piantagioni recenti prendere il posto della macchia mediterranea. In Puglia, peraltro, una legge protegge gli olivi soprattutto quelli con caratteristiche di monumentalità, assoggettati ad una rigida disciplina conservativa. I venditori non tradiscono il segreto poiché non sono certi della libertà di mercato.

L’opzione per l’olivo quale pianta ornamentale non si spiega soprattutto nelle zone del Nord per ovvie ragioni climatiche. Basta riflettere che la pianta soffre sotto i -3°; è a rischio sotto i -6°; muore sotto i-10°. La sorte dell’olivo padano è segnata perché non potrà mai acclimatarsi come invece è accaduto per altre essenze nel corso dei secoli. Ma tant’è: è nata la passione dell’olivo costi quel che costi.

Per la verità i costi – 1000 euro al pezzo – potrebbero scoraggiare perché la pianta è tuttora soggetta al regìme deciso dal Governo di Ferruccio Parri con il decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475. L’abbattimento non autorizzato ed il reimpianto non rispettoso delle condizioni imposte erano sanzionate con una ammenda salata – dieci volte il valore delle piante abbattute – «considerate però in piena produttività», secondo quanto stabilito dall’ispettore agrario (art. 4). E si capisce. Incombevano gravissimi problemi in un Paese stremato dalla guerra, dissestato nella sua gracile struttura industriale (da riconvertire a scopi civili dopo la lunga parentesi bellica) e scompaginato nella organizzazione produttiva agricola. Il decreto fu poi sostituito dallal. 11 febbraio 1951, n. 144: l’abbattimento continuava ad essere vietato oltre il limite di 5 (cinque) piante ogni biennio, salvo quanto previsto nell’art. 2; Il «prefetto, in deroga al divieto dell’art. 1, in seguito ad accertamenti compiuti dall’Ispettorato provinciale agrario e su conforme parere del comitato provinciale dell’agricolturaautorizza l’abbattimento di alberi nelle seguenti circostanze: 1. quando sia accertata la morte fisiologica della pianta e la permanente improduttività o scarsa produttività dovuta a cause non rimovibili; 2. quando l’eccessiva fittezza rechi danno all’oliveto; 3. quando l’abbattimento si renda indispensabile per l’esecuzione di opere di miglioramento fondiario».

Subentrarono altre normative, ma la sanzione permane.

Forse la recente fortuna dell’olivo in Lombardia è legata alla legge regionale n. 25 del 2011 che ha escluso la sanzione (penale); ma è stato un azzardo del legislatore lombardo, che sembra ignorare che la competenza in materia di ambiente appartiene in via esclusiva allo Stato sì che la Regione non può espiantare una legge che mette sotto tutela l’olivo.

I florovivaisti tranquillizzano i clienti, il libero mercato aiuta, assicurano.

La disputa giuridica non entusiasma, d’accordo, mentre quella botanica è ben più motivata, basta ricordare che la biodiversità è una risorsa dell’ambiente, ma natura non facit saltus. Per stare al Nord, ha sviluppato un codice genetico ricchissimo di specie e non soffre per la mancanza di olivo. La diversificazione del paesaggio che si spiega con la selezione delle essenze ha fatto del nostro Paese – Nord compreso – il più bello, il più vario, il più gradevole rispetto ad altri contesti nazionali. E la Padania continuerà a riconoscersi nelle piante che tollerano la brina e sopravvivono alla calaverna che cristallizza sui rami degli alberi formando lunghi aghi

Innocenzo Gorlani (*)

(*) Avvocato del Foro di Brescia