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Stesse tariffe per attività agrituristica e alberghiera con un occhio alle limitazioni operative

T.A.R. Lombardia – Brescia, Sez. I 6 maggio 2015, n. 628

Chiunque possiede o detenga locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti solidi urbani è soggetto al pagamento della relativa tassa.

Questo principio di carattere generale è stato introdotto dall’art. 62 del d.lgs. n. 507/1993 (TARSU), ribadito dall’art. 14 del d.l. n. 201/2011 (TARES) e confermato dall’art. 1, comma 641, della legge n. 147/2013 in materia di TARI.

Dal 1993 in poi, allorquando è stata introdotta la TARSU (tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) il tributo ha assunto diverse denominazioni (TARES e TARI), conseguenti alla revisione della normativa, ma il criterio di base non è cambiato: chi inquina paga, a prescindere dall’attività di provenienza del rifiuto, compresa quella agricola.

In tal senso, la Corte di cassazione ha affermato che, ai fini della tassa, occorre fare riferimento alla qualità dei rifiuti prodotti e non all’attività da cui hanno origine. Poiché la produzione di rifiuti è legata essenzialmente alla presenza dell’uomo nei locali od aree scoperte, la Cassazione ha, inoltre, aggiunto che compete al contribuente l’onere di provare e individuare l’area dell’azienda (agricola) non soggetta al pagamento della TARSU.

Eventuali esenzioni costituiscono, quindi, un’eccezione alla regola di carattere generale

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Luigi Cenicola