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La situazione giuridica del teleriscaldamento in Italia: un’opportunità per la biomassa e l’agricoltura in montagna?

Il teleriscaldamento (di seguito denominato TLR) è uno dei temi caldi dell’ordinamento italiano, infatti ad oggi non presenta una qualificazione giuridica e la giurisprudenza si è pronunciata in modo assai contraddittorio a riguardo.

Il presente articolo tenterà di spiegare perché sia così arduo giungere ad una conclusione e perché questa situazione comporta problemi sia sul piano amministrativo-gestionale, che su quello economico.

Per capire se il TLR possa essere elevato a servizio pubblico locale (di seguito SPL) bisogna innanzitutto ricercarne una definizione. L’art.112 del T.U.E.L. lo descrive così: «Gli enti locali nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali».

Come si intuisce, l’articolo non delimita precisamente la nozione di SPL, non elenca il tipo di servizi o il metodo per riconoscere ciò che sia di pertinenza pubblica e non opera una distinzione tra i servizi pubblici da quelli che può fornire una qualsiasi impresa privata, bensì rimanda al singolo Comune o Provincia la scelta, lasciando conseguentemente lacune normative e problematiche gestionali.

Il decreto ministeriale del 24 ottobre 2005 diede una prima definizione di TLR all’art. 2, comma 3 recitando: « Impianto di cogenerazione abbinato al teleriscaldamento è un sistema integrato costituito dalle sezioni di un impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore (…) La rete di teleriscaldamento deve essere un sistema aperto ovvero, nei limiti di capacità del sistema, consentire l’allacciamento alla rete di ogni potenziale cliente secondo principi di non discriminazione», iniziando così a fare charezza sull’argomento, contemplando i soli impianti di cogenerazione con la prospettiva però di allacciare alla rete ogni utente, prevedendo quindi l’aspetto “sociale”.

 

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Silvia Bettega