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Stati Uniti – L’inflazione core riaccelera: 0,5% m/m a febbraio

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a cura di Giovanna Mossetti


ABSTRACT

Il CPI a febbraio è aumentato di 0,4% m/m (6% a/a, dal picco di 9,1% a/a a giugno), dopo 0,5% m/m del mese precedente.
Energia e alimentari hanno dato contributi di segno opposto alla dinamica dei prezzi.
L’energia (-0,6% m/m, 5,2% a/a) è stata spinta dalla benzina dalla benzina (1% m/m, -2% a/a), ma frenata dalle altre voci del comparto.
Per gli alimentari, l’aumento complessivo è di 0,4% m/m (9,5% a/a), con prezzi in rialzo per gli alimentari consumati a casa (0,3% m/m, 10,2% a/a) e sempre forti per quelli forniti dalla ristorazione (0,6% m/m, 8,4% a/a).
Le variazioni positive per l’indice headline sono diffuse all’abitazione, che ha contribuito per circa il 70% alla variazione totale, e a gran parte dei servizi, oltre che a diverse categorie di beni.
Sanità e auto nuove registrano invece correzioni.
L’indice core ha registrato una variazione di 0,5% m/m, dopo 0,4% m/m a gennaio, confermando i timori di un’inversione del trend verso dei rialzi compreso fra 0,3% e 0,4% m/m dall’autunno.
La variazione tendenziale, a 5,5% a/a, è sui minimi da dicembre 2021.
Alcune voci sono in calo, sia per i servizi, sia per i beni.
Il focus per lo scenario dei prezzi resta concentrato sui servizi core.
La dinamica mensile core nei prossimi trimestri mesi potrà rallentare ulteriormente per via della svolta attesa nel comparto “pesante” dell’abitazione.
Tuttavia, i prezzi dei servizi core ex-abitazione, legati all’andamento dei salari e dell’eccesso di domanda di lavoro, non danno segni di ritracciamento e si mantengono su un trend non coerente con un rallentamento dell’inflazione.
Alle informazioni preoccupanti del CPI, si deve aggiungere che nel 2023 il trend del deflatore core dovrebbe portarsi di sopra di quello del CPI per via della diversa composizione dei due indici, con pesi e definizione delle principali voci differenti.
La regolarità storica è sempre stata di CPI al di sopra dell’inflazione misurata con il deflatore.
La comunicazione della Fed, che definisce il suo obiettivo con il deflatore, diventerà più difficile.
I dati del CPI di febbraio a nostro avviso mettono pressione sulla Fed per alzare i tassi di 25 pb alla riunione di marzo.
In assenza delle tensioni collegate al fallimento di SVB e di Signature Bank, il FOMC sarebbe stato orientato a un intervento di 50pb, ma riteniamo che la gestione del rischio induca la banca centrale a una mossa di entità moderata.
Nonostante la turbolenza in atto sui mercati, il Comitato difficilmente attuerà una pausa sui tassi: la Fed ha ribadito più volte di avere gli strumenti necessari per affrontare e risolvere problemi di stabilità finanziaria, sottolineando che “il focus della politica monetaria deve essere la lotta all’inflazione” (C. Waller).
Riteniamo che solo un profondo deterioramento delle condizioni finanziarie in generale, e del sistema bancario in particolare, potrebbe spingere il Comitato a interrompere i rialzi la prossima settimana.

 


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