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26 Agosto 2019 – nota economica giornaliera

COMMENTI:

G-7 – La riunione dei G-7 in Francia ha evidenziato le tensioni fra gli Stati Uniti e gli altri paesi, confermando il trend di cambiamento dell’ordine geopolitico iniziato con l’era Trump.
Lo spettacolo di divisione e spaccatura all’interno del G-7 contrastava con l’omogeneità delle posizioni e dei timori dei banchieri centrali riuniti a Jackson Hole, sottolineando i rischi per la congiuntura mondiale. Come ha affermato il governatore della Reserve Bank of Australia, “stiamo sperimentando una serie di gravi shock politici (…) e questi shock politici si stanno trasformando in shock economici”.
La gravità dei rischi è dovuta anche al fatto che una parte degli shock attuali, in particolare quelli che influenzano il commercio internazionale, sono difficilmente contrastabili dalle autorità monetarie e sono generati da politiche guidate dal nuovo contesto di politico nazionalistico degli Stati Uniti e non verranno risolti con interventi espansivi delle banche centrali.

STATI UNITI
– La guerra dei dazi fra USA e Cina si è intensificata venerdì, con nuove misure da entrambe le parti. La Cina ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi fra il 5% e il 10% su 75 mld di dollari di importazioni dagli USA, su due gruppi di beni con decorrenza dal 1° settembre e dal 15 dicembre, rispettivamente. Inoltre, a partire dal 15 dicembre verranno reintrodotti dazi del 25% sulle importazioni di auto e componenti, che erano stati bloccati ad aprile.
Le date scelte dal governo cinese per le nuove misure coincidono con quelle annunciate da Trump per i dazi del 10% annunciati a inizio agosto su 300 mld di dollari di importazioni dalla Cina. La decisione cinese è giustificata come reazione al nuovo intervento di Trump, che aveva interrotto la tregua definita il mese scorso.
Poche ore dopo l’annuncio cinese, Trump ha comunicato l’intenzione di aumentare i dazi, attuali e futuri, del 5%, il 1° ottobre, portandoli al 30% su 250 mld di importazioni dalla Cina, ora colpite da dazi del 25%, e al 15% su 300 mld di dollari di import che saranno colpite in parte dal 1° settembre e in parte dal 15 dicembre.
Trump ha aggiunto l’ordine immediato alle imprese americane di cercare alternative alla Cina. Ovviamente il Presidente non ha il potere di vincolare le scelte delle imprese, ma le parole di Trump, insieme al nuovo rialzo di dazi, hanno contribuito ad aumentare l’incertezza sulla direzione della politica commerciale e sui suoi effetti sulla crescita globale, generando ampie correzioni sui mercati azionari e aumentando i rischi di rallentamento sia a livello domestico sia a livello internazionale.
L’aumento delle tensioni commerciali con la Cina e il conseguente ulteriore rallentamento del ciclo mondiale implicano un rischio di riduzione della crescita USA di circa 0,2pp nel 2020.
Il discorso di Powell sulle sfide della politica monetaria ha mantenuto le porte aperte per un nuovo intervento di stimolo monetario in tempi brevi, senza dettagli sulla data e sull’entità, affermando che la Fed agirà “come appropriato per sostenere l’espansione” e segnalando implicitamente un probabile taglio di 25 pb a settembre.
Powell ha analizzato le sfide per la politica monetaria degli ultimi decenni, dividendoli in tre “ere”: la prima, dal 1950 al 1982, della “grande inflazione”, caratterizzata dall’obiettivo di riportare la dinamica dei prezzi sotto controllo; la seconda, dal 1983 al 2009, della “grande moderazione e grande recessione”, in cui la sfida è stata quella di contenere gli eccessi sui mercati finanziari e l’instabilità; la terza era, iniziata nel 2010 e ancora in corso, è caratterizzata da un livello di equilibrio del tasso di interesse è relativamente vicino al limite inferiore dello zero, e molto al di sotto dei livelli del passato, con poco margine per interventi espansivi da parte della banca centrale.
Qui viene il collegamento con i temi caldi per la politica monetaria corrente. Se le sfide dell’inflazione e della stabilità finanziaria hanno lasciato un’eredità positiva in termini di knowhow e capacità di azione per le autorità, il basso livello di r* vincola la Fed e rende difficile contrastare fasi di rallentamento ciclico. In particolare, la fase attuale è caratterizzata da shock anomali, a cui la politica monetaria non è in grado di rispondere in modo del tutto efficace. Infatti, secondo Powell, la politica monetaria, “mentre è uno strumento potente” nel supporto di consumi, investimenti e fiducia, “non può offrire un codice di regole consolidate per quanto riguarda il commercio internazionale. Possiamo, tuttavia, provare a ignorare quelli che possono essere eventi transitori, e concentrarci su come gli sviluppi del commercio stanno influenzando lo scenario, e aggiustare le politiche in modo da promuovere i nostri obiettivi”.
Powell ha sottolineato l’aumento di rischi geopolitici delle ultime tre settimane: annunci di nuovi dazi, ulteriore indebolimento della congiuntura globale (soprattutto Germania e Cina), rischi di hard Brexit, tensioni a Hong Kong, caduta del governo italiano.
Di fronte a questi rischi, quindi, Powell ribadisce che la Fed agirà come appropriato per sostenere l’espansione, ma rende esplicito che la politica monetaria non è onnipotente e può avere armi spuntate per due motivi: il tasso neutrale è vicino allo zero e gli shock correnti sono inusuali e non particolarmente adatti a essere contrastati dalla banca centrale. L’obiettivo di Powell è quello di attribuire la responsabilità di un eventuale rallentamento alle politiche dell’amministrazione e di segnalare lo scarso potere di azione della Fed e delle altre banche centrali nella congiuntura attuale.
Mentre Powell non ha potuto dare un nome alla causa della guerra commerciale, Carney (BoE) ha detto esplicitamente che la guerra dei dazi rischia di interrompere l’espansione mondiale e ha aggiunto che i problemi non sono il deleveraging cinese, né la politica della Fed, né le condizioni finanziarie mondiali. Il problema è la guerra dei dazi e certamente gli USA sono coinvolti nei teatri di questa guerra.
Nonostante i limiti all’azione della Fed, rimane chiaro che ci sarà una risposta attiva sui tassi di fronte a rischi per la crescita, nonostante le attuali divisioni fra i partecipanti al FOMC riguardo all’opportunità di agire in modo preventivo. Pertanto, la disponibilità della Fed a contrastare gli effetti dell’aumento di dazi contribuisce a mantenere Trump nel ruolo di leader del gioco di policy, forzando la banca centrale a reagire a peggioramenti delle prospettive congiunturali causati dalla guerra dei dazi con nuovo stimolo monetario. Se la riapertura dei colloqui USA-Cina nelle prossime settimane non darà luogo a una riduzione delle tensioni e a un ritiro di alcune delle misure annunciate, il prossimo taglio dei tassi, atteso per settembre, potrebbe non essere l’ultimo.

 

MERCATI VALUTARI:

USDIl dollaro ha chiuso la settimana al ribasso correggendo venerdì sul discorso di Powell a Jackson Hole e sull’aggravarsi delle tensioni commerciali USA-Cina.

EUR – Sugli sviluppi USA di venerdì l’euro ha messo a segno un rimbalzo (da un minimo a 1,1050 EUR/USD) chiudendo così la settimana passata al rialzo. Il recupero non segnala però una ritrovata forza autonoma della moneta unica in quanto riflette semplicemente fattori di debolezza del dollaro. La rimonta dell’euro è proseguita questa notte sui mercati asiatici fino a un massimo di 1,1164 EUR/USD, da dove il cambio è ridisceso confermando il ruolo di resistenza chiave di 1,1170 EUR/USD.
Sabato Weidmann dalla BCE ha detto di non ritenere necessario un nuovo pacchetto di stimolo monetario.

GBPAnche la sterlina ha tratto beneficio venerdì dai fattori che hanno invece penalizzato il dollaro, chiudendo la settimana al rialzo sia contro dollaro (massimo a 1,2293 GBP/USD) sia contro euro (in area 0,90 EUR/GBP). Ieri, al termine dell’incontro con il Presidente del Consiglio UE Donald Tusk al G7 di Biarritz, il premier britannico Boris Johnson ha dichiarato di vedere “una ragionevole possibilità” di trovare un accordo su Brexit, aggiungendo che “le probabilità di un accordo stanno migliorando”. Al momento però non vi è nulla in concreto in tal senso, per cui la cautela rimane d’obbligo.
Venerdì intanto da Jackson Hole il governatore della BoE Mark Carney ha detto che i rischi di un’uscita senza accordo dall’UE sono aumentati, pur precisando che non è ancora detto.
Carney ha inoltre spiegato apertamente che in caso di uscita senza accordo è più probabile che sia opportuno un allentamento monetario piuttosto che una restrizione mentre se si riesce invece a trovare un accordo è probabile che si rendano necessari “limitati e gradualiaumenti dei tassi d’interesse.
Il messaggio della BoE dovrebbe contribuire a rassicurare, seppur parzialmente, i mercati, limitando il downside della sterlina, a meno di colpi di scena negativi sul fronte Brexit. Intanto, in assenza di dati/eventi significativi in settimana sul fronte domestico (a parte il dato sul credito al consumo venerdì) la valuta britannica potrebbe quindi riuscire a stabilizzarsi nella fascia medio/alta del range della scorsa settimana.

JPYLa nuova escalation delle tensioni commerciali USA-Cina ha portato a un nuovo aumento della risk aversion favorendo venerdì un ampio apprezzamento dello yen da 106 a 105 USD/JPY che è proseguito questa notte sui mercati asiatici fino a un massimo di 104,44 USD/JPY riportando così il cambio su livelli abbandonati a fine 2016. La valuta nipponica si è apprezzata ampiamente anche contro euro da 118 a un massimo di 116,56 EUR/JPY.
La valuta nipponica dovrebbe tuttavia mantenersi ancora su livelli relativamente forti per via delle accresciute incertezze a livello internazionale

 

PREVISIONI:

GERMANIA – L’indice IFO ad agosto è previsto in calo da 95,7 di luglio, spinto verso il basso sia dalle aspettative sia dalle condizioni correnti.
I motivi per un’ulteriore flessione dell’indice sono diversi: il peggioramento delle tensioni commerciali, l’aumento dei rischi di hard Brexit e la percezione che gli interventi attesi dalle banche centrali siano insufficienti a mitigare la debolezza del manifatturiero di fronte all’acuirsi della guerra dei dazi.
Per il momento non ci sono indicazioni credibili di misure espansive sul fronte fiscale, nonostante alcune iniziali aperture nelle settimane scorse. Pertanto, il PIL tedesco resta a rischio di un altro trimestre di crescita negativa.

STATI UNITI
– Gli ordini di beni durevoli a luglio (prelim.) sono previsti in aumento di 1,5% m/m, dopo 1,9% m/m di giugno. Al netto dei trasporti, gli ordini dovrebbero essere invariati (dopo +1% m/m a giugno).
– I dati in uscita questa settimana non dovrebbero modificare il quadro di crescita intorno al 2%, sostenuta soprattutto dai consumi e di inflazione core in graduale ritorno verso una dinamica vicina al 2% dopo il rallentamento dei primi mesi dell’anno.
La seconda stima del PIL del 2° trimestre dovrebbe essere rivista verso il basso di 3 decimi a 1,8% t/t ann. Sul fronte dell’inflazione, il deflatore core dovrebbe segnare il quarto aumento consecutivo di 0,2% m/m. La fiducia dei consumatori di agosto dovrebbe correggere rispetto a luglio, mantenendosi però su livelli coerenti con espansione della spesa delle famiglie.
Fra i dati di luglio le attese sono per un aumento solido della spesa personale (0,5% m/m), del reddito (0,3% m/m) e per un deficit della bilancia commerciale dei beni in allargamento.