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21 Febbraio 2020 – nota economica giornaliera

AREA EURO – La stima flash dell’indice di fiducia dei consumatori Eurozona ha registrato un netto miglioramento a febbraio, passando a -6,6 punti da -8,1 precedente.
Il dato ha superato sia le nostre aspettative, sia le più pessimistiche stime di consenso. Il livello attuale rimane al di sopra della media storica. La seconda lettura con lo spaccato per paese sarà pubblicata il 27 febbraio.

STATI UNITI
– L’indice della Philadelphia Fed a febbraio registra un balzo inatteso, salendo a 36,7 (massimo da febbraio 2017), da 17 a gennaio. Gli indici di ordini (33,6 da 18,2) e consegne (42,4 da 23,4) sono in miglioramento, con segnali di maggiore diffusione della crescita. Per l’occupazione invece si registra un incremento modesto rispetto a gennaio (24,3 da 19,3).
Gli indicatori a 6 mesi registrano rialzi più moderati, partendo da livelli più elevati: condizioni di attività a 45,4 da 38,4, ordini a 54 da 41,9, consegne a 51,9 da 42,4. L’occupazione invece è stabile a 24 da 24,3. I dati segnalano che l’attività nel settore dovrebbe essere in aumento sia nel breve periodo, sia sull’orizzonte a sei mesi.
Le indagini regionali di febbraio uscite finora (Empire e Philadelphia Fed) riguardano aree non colpite dal blocco produttivo di Boeing, che interessa prevalentemente lo stato di Washington e la California. Inoltre, dato che le informazioni di queste indagini sono indici di diffusione, possono sottostimare gli effetti di rallentamento di grandi imprese localizzate in altre regioni.
Un elemento comune all’Empire e al Philly Fed è che, a fronte di aumenti degli indici di attività, si registra stabilizzazione degli indicatori del mercato del lavoro su livelli modesti. Per ora le indicazioni delle indagini non segnalano effetti dall’epidemia di coronavirus in Cina, anche se è ancora presto per poter concludere che le conseguenze dello shock saranno nulle.
I nuovi sussidi di disoccupazione nella settimana conclusa il 15 febbraio sono poco variati a 210 mila da 206 mila della settimana precedente. I dati sono relativi alla settimana di rilevazione dell’employment report di febbraio e danno indicazioni sempre positive per il mercato del lavoro.

GIAPPONE
– La stima flash degli indici PMI di febbraio dà segnali incontestabilmente recessivi, spinto ancora verso il basso degli effetti negativi del rialzo dell’imposta sui consumi di ottobre e in parte minore dalle prime conseguenze dell’epidemia di coronavirus in Cina.
Il PMI manifatturiero a febbraio registra un marcato peggioramento e conferma la probabile entrata in recessione tecnica del Giappone. L’indagine è omogeneamente negativa, con l’indice in calo a 47,6 da 48,8, settimo mese consecutivo sotto 50 e sui minimi da dicembre 2012. L’unico indicatore al di sopra di 50 è quello dell’occupazione, in calo a 50,5 da 51,8, comunque sui minimi dal 2016. Tutti gli indici di attività sono ampiamente sotto 50, con indicazione di aumento del ritmo di contrazione: ordini a 43,7 (minimo da fine 2012), ordini dall’estero a 46,3, output a 47,5 da 48,2, tempi di consegna a 46,5 da 50,3. I servizi non sono esenti dal peggioramento, anche se danno segnali meno preoccupanti.
Il PMI dei servizi scende a 46,8 da 48,9, con un netto peggioramento rispetto alla correzione dell’autunno (collegata al rialzo dell’imposta sui consumi), con l’indice di attività in calo a 46.7 da 51, l’occupazione è stagnante a 50, in calo da 52 di gennaio e sui minimi dal 2015. Le aspettative per l’attività sono in calo a 52,2, sui minimi da luglio 2016. I dati sono complessivamente negativi per le prospettive della crescita giapponese nel 1° trimestre e, insieme alle informazioni di fine 2019, ci porteranno a rivedere verso il basso la crescita per il 1° trimestre e per l’intero 2020.
– Il CPI a gennaio aumenta di 0,7% a/a e l’indice al netto degli alimentari freschi a è in rialzo di 0,8% a/a (da 0,9% a/a a dicembre), ed è invariato su base mensile.
Escludendo gli effetti delle misure fiscali attuate in autunno (rialzo dell’imposta sui consumi e riduzione delle rette scolastiche per l’infanzia), l’inflazione è di 0,4% a/a, come a dicembre. Le previsioni per i prossimi mesi sono di ripresa di un trend verso il basso dell’inflazione al netto degli alimentari freschi e delle misure fiscali, dopo alcuni mesi di quasi-stabilizzazione.
Gli effetti del calo del prezzo del petrolio e il rafforzamento dello yen dei mesi scorsi dovrebbero spingere la misura di inflazione seguita dalla BoJ verso il basso di un paio di decimi nella prima metà del 2020.
Per il momento, i dati di inflazione non dovrebbero essere tali da indurre un cambiamento di stance della politica monetaria, mentre sul fronte dell’attività reale eventuali reazioni controcicliche saranno probabilmente demandate alla politica fiscale.

 

COMMENTI:

BCE – La BCE ha pubblicato il resoconto della riunione di politica monetaria del 23 gennaio: ne emerge un quadro cautamente più ottimistico delle prospettive e un consenso unanime a favore di una fase di osservazione degli sviluppi economici.
Nella sua introduzione, Lane aveva notato segnali un po’ più positivi dagli indici anticipatori e un calo dell’incertezza, pur confermando una valutazione negativa per il bilancio dei rischi sulla crescita.
Riguardo all’inflazione, l’aspettativa era di valori mediamente stabili nei prossimi mesi. Considerando i segnali più incoraggianti, Lane suggeriva comunque di attendere ulteriori dati per valutare se l’ottimismo sul futuro era fondato. Tale scenario era in generale condiviso dai membri del Consiglio, ma la discussione ha messo in rilievo che i modelli di nowcasting suggerivano una stabilizzazione della crescita su livelli inferiori al potenziale, e che sarebbe stato necessario monitorare sia il rischio di ricadute negative dal manifatturiero ai servizi, sia l’evoluzione dei rischi esterni.
Inoltre, la situazione era ritenuta ancora fragile per una serie di motivi (difficoltà dell’industria automobilistica e dipendenza della crescita dai soli consumi privati).
Riguardo al credito, il consiglio valutava le condizioni ancora favorevoli, e “vedeva indicazioni che il pacchetto di settembre viene gradualmente trasmesso all’economia”.
Il consenso sul mantenimento della politica monetaria attuale è stato unanime, anche perché “le misure adottate a settembre devono avere il tempo di esercitare il loro pieno impatto sull’economia”. Riguardo agli effetti collaterali negativi dello stimolo monetario, un membro ha espresso dubbi riguardo alla capacità delle misure macro-prudenziali di sanare le fragilità connesse all’eccessiva crescita dei prezzi immobiliari, mentre altri hanno rimarcato il rischio di eccessi sui mercati azionari e di un’eccessiva assunzione di rischi come effetto della ricerca di rendimento e della disintermediazione del sistema bancario.
Nelle ultime settimane, però, il flusso di notizie è diventato meno positivo, sia perché i dati reali di dicembre sono stati deludenti su più fronti, sia per i rischi di ricadute negative connesse all’epidemia di COVID-19. La discussione sarà prevedibilmente più delicata alla riunione del 12 marzo, che disporrà anche dell’informazione fornita dalle indagini di fiducia di febbraio.

STATI UNITIClarida (Board Fed) mantiene una valutazione positiva dello scenario USA, con il mercato del lavoro solido e l’inflazione vicina all’obiettivo. Clarida ha confermato che la Fed sta seguendo “da vicino” l’evoluzione dell’epidemia di coronavirus. A suo avviso, il COVID-19 avrà un impatto rilevante in Cina, ma per ora non ha influenzato in modo significativo gli USA. Clarida ha sottolineato che quello che la Fed guarderà sarà “qualche evidenza” che suggerisca la necessità di attuare una “rivalutazione significativa” dello scenario.

 

MERCATI VALUTARI:

USD – Il dollaro, ai massimi da circa tre anni (Fig. 1), si è rafforzato ulteriormente, favorito sia dai fondamentali più solidi dell’economia USA sia dai fattori di debolezza che penalizzano invece le altre principali valute (v. sotto). Ieri anche il Philly Fed ha sorpreso verso l’alto, mostrando un incremento (è più che raddoppiato) contro attese di calo. Il livello dei tassi USA, più elevato che altrove, offre supporto al biglietto verde, che mantiene anche il ruolo di safe haven quando torna ad aumentare l’avversione al rischio, come di fronte all’incertezza sulla diffusione e sugli effetti del coronavirus. Dai dati USA di oggi non si attendono indicazioni favorevoli, ma essendo analoghe le aspettative anche per le altre principali valute, il dollaro dovrebbe comunque apprestarsi a chiudere la settimana al rialzo.

EUR – L’euro, ai minimi da circa tre anni, è risalito dal minimo di ieri a 1,0775 EUR/USD riaffacciandosi temporaneamente a quota 1,08 EUR/USD, ma si tratta di un movimento perlopiù tecnico. Guindos, dalla BCE, ha detto che l’economia dell’area necessita ancora, fortemente, del supporto della politica monetaria. Anche i verbali dell’ultima riunione BCE hanno spiegato che i dati suggeriscono per il prossimo futuro una crescita positiva, ma modesta, aggiungendo che sono necessari altri dati per capire se i segnali di stabilizzazione osservati di recente siano solidi. Ieri la fiducia dei consumatori dell’area è risultata migliore del previsto mostrando un miglioramento.
Dai PMI di oggi si attende invece un modesto calo, in parte attribuibile ai possibili effetti del coronavirus. A meno di sorprese positive eclatanti l’euro dovrebbe quindi restare sulla difensiva all’interno del range corrente 1,07-1,08 EUR/USD.

GBP – La sterlina è rimasta in calo sia contro dollaro da 1,29 a 1,28 GBP/USD sia contro euro da 0,83 a 0,84 EUR/GBP nonostante i dati – sia le vendite al dettaglio sia l’indagine CBI sul settore industriale – siano risultati migliori delle attese.
La vulnerabilità della valuta britannica si spiega alla luce dell’incertezza sui negoziati con l’UE, che probabilmente non si risolverà in tempi rapidi.
Al momento il problema principale è rappresentato dalla non-disponibilità del Regno Unito ad allinearsi alle norme e agli standard dell’UE in cambio del libero accesso al mercato unico. Oggi escono i PMI, attesi in calo. A meno di sorprese particolarmente positive dai dati la sterlina dovrebbe restare sotto pressione.

JPY – Il calo dello yen è proseguito sia contro dollaro da 111 a 112 USD/JPY sia contro euro da 120 a 121 EUR/JPY. A penalizzare la valuta nipponica contribuiscono anche I deboli dati sull’economia domestica e la ricerca di rendimento che spinge i fondi giapponesi a investire all’estero. Con la correzione degli ultimi due giorni lo yen ha rotto il range in atto da mesi ma, anche se la direzione è quella “corretta”, un’ulteriore accelerazione ribassista già nell’immediato non è necessariamente scontata.

 

PREVISIONI:

ITALIA – La seconda stima sui prezzi al consumo di gennaio dovrebbe confermare la lettura preliminare ovvero mostrare che l’inflazione è salita a 0,6% a/a dallo 0,5% precedente in base all’indice NIC, mentre è rimasta stabile allo 0,5% a/a in termini armonizzati UE (nel mese, i prezzi sarebbero aumentati di +0,2% m/m sull’indice nazionale e diminuiti di -1,7% m/m sull’IPCA, che tiene conto dei saldi invernali).
Pressioni al ribasso sono arrivate dalle spese per tempo libero e cultura, mentre gli alimentari hanno registrato rincari superiori al previsto. Anche l’inflazione di fondo dovrebbe essere confermata in marginale aumento, a 0,8% a/a da 0,7% di dicembre (ritmo più elevato da agosto 2018). Non pensiamo che il trend al rialzo possa continuare nei prossimi mesi: stimiamo un’inflazione invariata a febbraio e poi in calo da marzo (e su livelli inferiori a quelli attuali nei mesi primaverili). Nelle nostre stime, il CPI italiano risulterà poco variato in media annua nel 2020 rispetto al livello del 2019 (0,6%).

AREA EURO
– Ci attendiamo che la stima flash del PMI manifatturiero mostri in febbraio un leggero calo a 47,6 da 47,9 di gennaio. L’indice dovrebbe rimanere per il tredicesimo mese in territorio recessivo. Anche il PMI dei servizi è atteso in leggera flessione a 52,2 da 52,5 di gennaio, restando in territorio positivo. Il PMI composito dovrebbe scendere da 51,3 precedente a 51,0, posizionandosi ancora di poco sopra la soglia di non cambiamento di 50,0. L’indagine congiunturale di febbraio dovrebbe riflettere l’impatto dell’epidemia in Cina: il blocco dei voli da e per il paese asiatico e il blocco delle attività in alcune delle sue regioni, potrebbero influenzare negativamente i PMI della produzione e dei servizi dell’area euro, più che compensando una dinamica interna positiva.
– La stima finale dovrebbe confermare che a gennaio l’inflazione è salita di un decimo all’1,4%. L’indice core sulla misura preferita dalla BCE dovrebbe essere confermato in rallentamento di un decimo a 1,3%, mentre quello al netto di alimentari, energia, alcol e tabacco è visto in rallentamento all’1,1% da 1,3%. Su base mensile, i prezzi dovrebbero essere calati dell’1,0% m/m, dopo il +0,3% m/m rilevato di dicembre. Nella prima metà dell’anno l’inflazione è attesa rallentare ulteriormente.

GERMANIA – Ci attendiamo che la stima flash degli indici PMI mostri in febbraio un leggero calo. L’indagine congiunturale potrebbe essere influenzata negativamente dall’impatto dell’epidemia di 2019-nCoV in Cina, potenzialmente dannosa per un’economia con forti esportazioni verso il paese asiatico come quella tedesca. Il PMI composito dovrebbe scendere di due decimi a 51,0, rimanendo in territorio espansivo. Il PMI manifatturiero è previsto in calo di un decimo a 45,2, mentre i servizi dovrebbero scendere a 54,0 da 54,2 precedente.

BELGIO – A febbraio l’indice di fiducia economica elaborato dalla Banca del Belgio è visto in correzione a -2,7 da -2,0 di gennaio. Il mese scorso il miglioramento delle condizioni nel manifatturiero e nel commercio al dettaglio avevano contribuito alla risalita dell’indice. A febbraio prevediamo che una normalizzazione del morale nel comparto manifatturiero riporti l’indice più in linea alla media trimestrale (-3,9).

STATI UNITI – Le vendite di case esistenti a gennaio sono attese in flessione a 5,40 mln da 5,54 mln di dicembre, con un ritorno verso i livelli della prima parte dell’autunno. A dicembre, le vendite erano aumentate del 3,6% m/m, toccando il massimo da febbraio 2018 e portando le scorte di case invendute sul minimo da quando esiste la serie (3 mesi) e spingendo ulteriormente verso l’alto i prezzi. I contratti di compravendita, ottimi previsori delle vendite del mese successivo, hanno registrato un’ampia correzione a dicembre e puntano a una riduzione delle vendite di case esistenti verso i livelli medi di ottobre-novembre. La scarsità di offerta e i prezzi elevati dovrebbero più che controbilanciare il continuo calo dei tassi sui mutui nei prossimi mesi.