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16 Dicembre 2021 – nota economica giornaliera

ITALIA – L’inflazione di novembre è stata rivista verso il basso di un decimo sia per la misura armonizzata che per quella nazionale, rispettivamente al 3,9% a/a (3,2% a ottobre) e al 3,7% a/a (3% il mese precedente)

FRANCIA – L’indagine INSEE di dicembre ha mostrato una salita del morale delle imprese nel manifatturiero (a 111 da 110 precedente) ma un calo dell’indice composito (a 110 da 113).

STATI UNITI
 – Ieri, le vendite al dettaglio hanno deluso le aspettative, con un aumento di solo 0,3% m/m a novembre (ma una revisione a 1,8% m/m per ottobre).
Il rallentamento è imputabile ai colli di bottiglia all’offerta e/o a un anticipo degli acquisti a ottobre.
– L’indice Empire della NY Fed a dicembre è salito marginalmente a 31,9 da 30,9, con occupati, ordini e consegne in modesto calo, ordini inevasi in aumento.
Gli indici dei prezzi ricevuti e pagati sono risultati vicini ai massimi del mese scorso.
Gli indici a 6 mesi puntano a un rallentamento della crescita, sempre però ampiamente positiva.
– I prezzi all’import di novembre hanno registrato un aumento di 0,7% m/m, in linea con le aspettative e con persistenti pressioni inflazionistiche.

 

COMMENTI:

BCE – Oggi saranno annunciati i risultati di una riunione di politica monetaria potenzialmente importante.
In primo luogo, ci sarà un netto innalzamento delle proiezioni di inflazione 2022.
Le proiezioni 2023-24 di inflazione dovrebbero mostrare progressi verso l’obiettivo del 2%, ma cauti (per non alimentare aspettative di rialzi dei tassi nel 2022).
L’elevata incertezza della previsione sarà ampiamente sottolineata nei documenti e nella conferenza stampa della presidente Lagarde.
Secondariamente, ci attendiamo che la BCE modifichi l’indirizzo sul PEPP, segnalando che interromperà gli acquisti netti dopo il 31 marzo 2022, ma che sarà pronta a continuarli o a riprenderli qualora la fase critica legata al coronavirus si dimostrasse non conclusa.
È possibile che la BCE annunci anche un plafond aggiuntivo per l’APP finalizzato a rendere più graduale l’uscita dal PEPP nel secondo trimestre, ma non si può escludere che ciò sia rinviato alla prima riunione del 2022 e reso dipendente dai dati.

PAESI BASSI – Il primo ministro olandese Mark Rutte ha annunciato i punti principali del programma del prossimo esecutivo, che dovrebbe insediarsi in gennaio: sono previsti investimenti aggiuntivi per oltre 35 miliardi in 10 anni per la transizione energetica, la costruzione di oltre 100 mila alloggi per anno, l’incremento dei fondi per infanzia e istruzione e l’aumento del salario minimo.

REGNO UNITOÈ in calendario oggi anche la riunione della Bank of England.
Il deterioramento del quadro pandemico nel Regno Unito offre un motivo plausibile per non alzare i tassi, ma l’ulteriore salita dell’inflazione non consente di escludere del tutto una mossa anticipata o comunque il formarsi di una spaccatura anche a livello di votazione finale.
Sta inoltre aumentando l’incertezza politica a livello domestico, per la crescente opposizione interna che Johnson sta incontrando in seguito all’adozione delle nuove restrizioni anti-Covid per contenere il dilagare di Omicron.
In ogni caso, se anche la BoE non alzasse i tassi oggi, la decisione sarebbe solo rimandata alla prossima riunione di febbraio.

STATI UNITI – Ieri sera, la riunione del FOMC si è conclusa con una dichiarazione ufficiale di guerra all’inflazione e una sterzata della politica monetaria anche più decisa di quanto atteso.
Il messaggio principale della Fed è il ritorno a un regime di politica monetaria stile anni ’80, con l’obiettivo primario di riportare l’inflazione sotto controllo, prima che si inneschi definitivamente una spirale salari/prezzi e il rialzo della dinamica dei prezzi si radichi, assomigliando a quello degli anni ‘70.
Il fulcro della riunione sono le nuove previsioni macroeconomiche, con l’inflazione rivista ampiamente verso l’alto (inflazione core ancora a 2,7% a/a a fine 2022) e il tasso di disoccupazione rivisto verso il basso a 3,5% dal 2022 in poi.
Il FOMC riconosce che il mandato sull’inflazione è non solo raggiunto, ma anche superato e che quello sulla massima occupazione è molto vicino.
Pertanto, il sentiero dei tassi attesi si sposta ampiamente verso l’alto, con 3 rialzi previsti nel 2022, 3 nel 2023 e 2 nel 2024.
Per essere pronti alla svolta sui tassi, come atteso, il FOMC ha annunciato il raddoppio del ritmo di riduzione degli acquisti di titoli (ora -30 mld al mese) in modo da terminare il tapering a marzo, lasciando però aperta la possibilità di accelerare ulteriormente la fine del programma.
Powell, come prevedevamo, ha detto che è stata anche aperta la discussione sulla futura riduzione del livello del bilancio che, a nostro avviso, potrebbe iniziare nel 2023.
Secondo Powell, l’attuale solidità dell’economia giustifica la possibilità di attuare la svolta dei tassi anche a ridosso della fine del tapering.
A nostro avviso, il FOMC tiene ben aperta l’opzione di iniziare i rialzi dei tassi anche a marzo, magari con una eventuale accelerazione del tapering per i mesi di febbraio e marzo.
La svolta hawkish del FOMC evidenzia chiaramente un bias restrittivo.
La nostra previsione al momento si allinea a quella del FOMC, con 3 rialzi nel 2022 e 3 nel 2023 e 2 nel 2024, ma i rischi sono ancora verso l’alto, con la possibilità di 4 rialzi nel 2022, a seconda di come sarà l’andamento dell’offerta di lavoro e dell’inflazione.
In termini di tempi, a nostro avviso la probabilità di inizio dei rialzi dei tassi a marzo è vicina al 50%.

 

MERCATI VALUTARI:

USDLa reazione del dollaro all’esito del FOMC di ieri sera è stata contrastata: inizialmente, sull’annuncio, si è rafforzato, salendo fino a sfiorare i massimi di novembre, che sono anche i massimi dell’anno, ma poco dopo, dalla conferenza stampa di Powell, ha corretto, chiudendo leggermente al ribasso e aprendo in calo anche oggi.
L’iniziale reazione rialzista si spiega con la significativa accelerazione impressa dalla Fed al processo di normalizzazione della politica monetaria, sia in termini di tapering (riduzione del ritmo degli acquisti netti di 30 miliardi di dollari a gennaio e mantenimento di un ritmo analogo nei due mesi successivi in modo da terminare il programma a marzo) sia in termini di tassi (l’avvio del ciclo di rialzi dei tassi è stato anticipato dal 2023 al 2022, con tre rialzi attesi l’anno prossimo, tre nel 2023 e due nel 2024, fermo restando il punto di arrivo di più lungo termine a 2,50%).
La Fed ha giustificato la sterzata con l’accresciuto rischio inflazionistico, in un contesto però di miglioramento del quadro occupazionale e di crescita: ha infatti rivisto al rialzo le previsioni di crescita e al ribasso quelle del tasso di disoccupazione per l’anno prossimo, rivedendo al rialzo l’inflazione attesa sia l’anno prossimo sia il successivo.
Inoltre, pur sottolineando che il recente deterioramento del quadro pandemico pone dei rischi, alla fine ha concluso che questo non dovrebbe comunque compromette lo scenario di ripresa robusta, spiegando tra l’altro che nonostante l’avvio del processo di normalizzazione le condizioni monetarie rimangono ancora accomodanti.
Questa probabilmente è una delle due ragioni che ha spinto il dollaro al ribasso dopo la salita iniziale, in quanto nonostante la prospettiva di rialzi dei tassi, il quadro di crescita è molto favorevole: infatti le borse hanno reagito al rialzo e la risk aversion è scesa, penalizzando il dollaro nel suo ruolo di safe haven e favorendo di converso le altre valute, incluse quelle più esposte all’evoluzione del sentiment di mercato (come dollaro australiano, neozelandese e canadese).
L’altra ragione per cui il dollaro dopo è sceso si rinviene probabilmente nel fatto che il mercato aveva già incorporato un profilo di rialzi piuttosto robusto, in quanto scontava tra i cinque e i sei rialzi tra il 2022 e il 2023 e con il nuovo profilo la Fed si è di fatto allineata al mercato, inducendo una sorta di reazione “buy the rumour, sell the fact”.
Al di là della reazione di impatto immediata, le implicazioni del nuovo scenario Fed per il dollaro dovrebbero essere favorevoli nel breve termine, approssimativamente nei primi mesi dell’anno, sia perché alla luce delle nuove previsioni macro il rischio è che la Fed possa eventualmente decidere di fare un rialzo in più l’anno prossimo piuttosto che uno in meno sia perché nel breve il recente deterioramento del quadro pandemico può spingere buona parte delle altre principali banche centrali a un approccio temporaneamente più prudente, mantenendo così la distanza dalla Fed massima in questa fase.
Successivamente invece, al procedere della normalizzazione/restrizione Fed e al ridursi della distanza rispetto alle altre principali banche centrali che più avanti sia avvieranno anch’esse verso la svolta o procederanno più rapidamente sul sentiero di aggiustamento, il dollaro dovrebbe tendenzialmente stabilizzarsi e poi gradualmente, verso la fine dell’anno prossimo, iniziare ad arretrare, seppure solo in parte.

EURDi riflesso al dollaro l’euro inizialmente è sceso sull’esito del FOMC da 1,1260 a 1,1220 EUR/USD ma poi è più che risalito, riportandosi oggi in area 1,13 EUR/USD.
Cruciale sarà ora per la dinamica del cambio l’esito della riunione BCE di oggi.
Le attese sono che la BCE riveda al rialzo le previsioni di inflazione per l’anno prossimo, indicando la fine del PEPP a marzo, lasciando però aperte le porte a proseguire/riprendere gli acquisti in caso di deterioramento del quadro pandemico e/o di crescita.
Incerto è se intenda preannunciare già oggi un plafond aggiuntivo per l’APP in modo da rendere più graduale l’uscita dal PEPP o se preferisca rinviare tale “dettaglio” alla prossima riunione.
Il tema dell’incontro odierno sarà probabilmente l’elevata (accresciuta) incertezza dello scenario e quindi della conseguente azione di policy, dato il recente deterioramento del quadro pandemico.
Un atteggiamento molto cauto amplierebbe ulteriormente la distanza rispetto alla Fed, penalizzando di conseguenza l’euro, se non già nell’immediato come reazione di impatto, comunque prossimamente nel breve.

GBPAnche la sterlina, similmente all’euro, è scesa inizialmente contro dollaro sull’esito del FOMC, fino a 1,3170 GBP/USD, ma è più che risalita successivamente fino a toccare oggi 1,3302 GBP/USD.
E cruciale sarà anche in questo caso l’esito della riunione BoE di oggi.
Le attese sono per tassi invariati alla luce dell’accresciuta incertezza e degli effetti negativi del recente deterioramento del quadro pandemico nel Regno Unito con conseguente reintroduzione di restrizioni per frenare i contagi.
Tuttavia, a causa dell’ulteriore salita ieri dell’inflazione, superiore alle già elevate attese, non si può escludere a priori una mossa già oggi (eventuale ritocco del bank rate da 0,10% a 0,25%).
Se comunque i tassi resteranno fermi oggi, rimane immutato lo scenario di avvio del ciclo di rialzi già alla prossima riunione di febbraio.
La sterlina non dovrebbe pertanto uscire penalizzata, se non in misura marginale, da un eventuale non-rialzo oggi, sia contro dollaro, sia – soprattutto – contro euro.

JPYLa reazione prevalente dello yen al FOMC è stata invece di calo, sia contro dollaro, da 113 a 114 USD/JPY, sia – a maggior ragione – contro euro, da 128 a 129 EUR/JPY.
In questo caso infatti, come emergerà anche dalla riunione BoJ di domani (nella notte), la necessità da parte della BoJ di mantenere a oltranza condizioni di politica monetaria fortemente accomodanti genera una divergenza rispetto alla Fed, che dovrebbe tradursi in un maggior calo contro dollaro (e poco dopo anche contro euro), quando anche i rendimenti USA, soprattutto quelli a lunga, saliranno in maniera più robusta per effetto dell’azione della Fed.

 

PREVISIONI:

AREA EURO – Per quanto riguarda il flusso dei dati, gli indici PMI di dicembre dovrebbero risentire dell’incertezza relativa alla situazione sanitaria.
Vediamo un calo dell’indice PMI dei servizi a 53,6 da 55,9 precedente e a 57,3 da 58,4 per quello manifatturiero.
L’indice composito è quindi visto a 53,2 da un precedente 55,4.

STATI UNITI
 – Oggi ci sono diversi dati macro in uscita, tutti attesi con indicazioni positive.
Per dicembre, l’indagine della Philadelphia Fed e i PMI Markit flash dovrebbero confermare l’espansione del settore manifatturiero e dare indicazioni di accelerazione nei servizi, mantenendo in evidenza le pressioni verso l’alto sui prezzi e i problemi di scarsità di input di beni e lavoro.
– Per novembre, la produzione industriale dovrebbe segnare un ampio rialzo (0,6% m/m) con una ripresa anche nel comparto auto, e i nuovi cantieri residenziali dovrebbero dare indicazioni di crescita dell’attività nel settore immobiliare.