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13 Gennaio 2020 – nota economica giornaliera

ITALIA La produzione industriale è tornata ad aumentare a novembre, anche se di appena +0,1% m/m, dopo i cali registrati nei due mesi precedenti. Il dato è lievemente più forte rispetto sia alle attese di consenso che alla nostra stima. Su base annua (corretta per gli effetti di calendario), l’output è rimasto in territorio negativo per il nono mese consecutivo, ma è migliorato a -0,6% da -2,4% precedente (per trovare un valore più elevato, bisogna risalire allo scorso febbraio).
Inoltre, il dettaglio è in qualche modo incoraggiante. Infatti, sul dato ha pesato la produzione di energia, diminuita significativamente per il quarto mese consecutivo (-2,1% m/m), ma si registra un recupero per i beni strumentali e intermedi (+0,8% e +0,7% m/m, rispettivamente) e per i beni di consumi durevoli (+2,3% m/m). Di conseguenza, la produzione manifatturiera (al netto della fornitura di energia e dell’attività estrattiva) ha registrato un aumento più significativo rispetto all’indice generale (+0,4% m/m).
Nel complesso, sia il dato sintetico che i dettagli sono migliori delle nostre attese.
Non escludiamo anzi un ulteriore recupero congiunturale a dicembre, anche sulla scia di effetti di calendario (e metereologici) favorevoli. Inoltre, in prospettiva, la schiarita sul fronte della guerra commerciale Usa-Cina potrebbe indurre un graduale miglioramento dell’attività manifatturiera a livello mondiale nei prossimi mesi.
Tuttavia, la produzione industriale è in rotta per una nuova contrazione nell’ultimo trimestre dell’anno, pari a -0,4% t/t (in caso di stagnazione a dicembre), dopo il -0,6% dei mesi estivi e il -0,8% t/t primaverile. In sostanza, il contributo negativo al PIL si va attenuando, ma l’industria rimane un freno al ciclo.
Inoltre, le indagini di fiducia ancora non segnalano un’inversione di rotta in senso espansivo. Anzi, il mese scorso, l’indice PMI manifatturiero ha toccato un nuovo minimo da aprile 2013 (a 46,2 da 47,6 di novembre), sebbene l’omologa indagine dell’Istat abbia dato segnali meno preoccupanti.
In sintesi, il dato di novembre sulla produzione industriale non modifica il quadro prospettico. Almeno nel breve termine, il PIL italiano nella migliore delle ipotesi dovrebbe mantenere la velocità di crociera poco più che stagnante vista negli ultimi trimestri (0,1% t/t).

FRANCIA – La produzione industriale è cresciuta di 0,3% m/m a novembre, terzo rialzo consecutivo, per una variazione tendenziale di 1,3% a/a. L’incremento dipende però esclusivamente dall’energia (+2,3%), perché la produzione manifatturiera è calata marginalmente (-0,1% m/m). Da segnalare anche un rimbalzo della produzione nelle costruzioni (+2,5% m/m) dopo il calo di ottobre. In Francia, la produzione industriale contribuirà positivamente alla crescita del PIL nel 4° trimestre: stimiamo una variazione di 0,7% t/t, che segue il -1,0% t/t del 3° trimestre.

STATI UNITI – L’employment report è complessivamente positivo a dicembre e in linea con la previsione di moderato rallentamento della dinamica occupazionale. Gli occupati non agricoli aumentano di 145 mila (consenso: 160 mila) e i dati dei due mesi precedenti sono rivisti verso i lb basso per un totale di -14 mila. I dati di ottobre e novembre sono stati volatili per via degli effetti dello sciopero dei lavoratori di GM.
Nel settore privato, l’occupazione aumenta di 139 mila. Nell’industria, i posti calano di mille unità, con -12 mila nel manifatturiero, +20 mila nelle costruzioni e –9 mila nell’estrattivo. Per quanto riguarda i servizi privati, l’aumento è di 140 mila, in rallentamento rispetto alla media di 185 mila nei tre mesi precedenti. Il commercio al dettaglio crea 41 mila posti, al di sopra della media annua vicina a zero sia nel 2018 sia nel 2019. La crescita degli occupati rimane solida nell’ospitalità, nella sanità/istruzione e nei servizi alle imprese, anche se su ritmi meno solidi rispetto ai mesi precedenti. Nel settore pubblico, i posti aumentano di 6 mila unità, con un contributo nullo del governo federale.
L’occupazione rilevata con l’indagine presso le famiglie aumenta di 267 mila, dopo -8 mila a novembre (media a 3 mesi: 168 mila). La forza lavoro è in rialzo di 209 mila (media a 3 mesi 168 mila) e il tasso di partecipazione è stabile a 63,2%, sui livelli della media degli ultimi 5 mesi. Il tasso di disoccupazione è stabile a 3,5%, con indicazioni di stabilità su questo livello da settembre 2019, sui minimi da dicembre 1969.
I salari orari sorprendono verso il basso con una variazione di 0,1% m/m, con un rallentamento della dinamica tendenziale a 2,9% a/a, dal picco di 3,4% a/a di febbraio 2019. L’indice delle ore lavorate è invariato sia per il settore privato nel suo complesso, sia per il manifatturiero, con indicazioni di debolezza della dinamica della produzione a fine 2019.
A febbraio verranno pubblicate i dati rivisti dell’indagine presso le imprese, che dovrebbero mostrare livelli inferiori per gli occupati degli ultimi due anni. I dati di dicembre incorporano invece le revisioni ai dati dell’indagine presso le famiglie, che non hanno modificato il sentiero del tasso di disoccupazione. Nel complesso i dati restano positivi, in linea con un trend di graduale rallentamento della dinamica occupazionale coerente con un ciclo maturo, confermato anche dal rallentamento della crescita annua dei salari. Con il tasso di partecipazione stabile al 63,2%, il tasso di disoccupazione sarebbe invariato al 3,5% a fine 2020 (come nelle previsioni del FOMC di dicembre) se la variazione mensile media degli occupati nel 2020 fosse pari a 105 mila posti. I dati restano coerenti con la previsione di una fase di pausa prolungata dei tassi dei fed funds.

 

COMMENTI:

ITALIA – La maggioranza di governo dovrebbe inviare alla Camera il testo di una nuova legge elettorale. I partiti di governo (con l’eccezione di LEU) sembrano aver trovato un accordo su un sistema proporzionale con sbarramento al 5% e il cosiddetto “diritto di tribuna” (una sorta di meccanismo di salvaguardia per partiti con rappresentanza tra il 3% e il 5% (su cui però Italia Viva si è detta contraria). Ad oggi l’approvazione in Senato richiederebbe la convergenza di forze non appartenenti all’attuale maggioranza. Nel frattempo, dovrebbero essere state depositate in Cassazione le firme per il referendum confermativo della riforma sul taglio dei parlamentari.

BCE Schnabel (membro del comitato esecutivo dal 1° gennaio) ha rimarcato la necessità di rafforzare il rispetto delle regole fiscali nelle fasi positive del ciclo economico e di rimuovere il trattamento privilegiato dei titoli di stato nella regolamentazione bancaria.
Allo stesso tempo, però, ha giudicato necessari l’introduzione di “safe securities”, la creazione di una capacità fiscale comune e uno schema europeo di assicurazione dei depositi.
Tuttavia, è necessaria l’attuazione combinata delle misure, secondo Isabel Schabel: da una parte, puntare soltanto sulla riduzione dei rischi è destabilizzante; dall’altra, la sola condivisione dei rischi conduce ad azzardo morale è alla lunga non è sostenibile.
Si veda “Mehr Europa für eine stabile gemeinsame Währung”.

STATI UNITI – Il Presidente Trump ha detto che la sigla dell’intesa sulla fase 1 delle trattative USA-Cina avverrà il 15 gennaio, o forse “poco dopo”. Rimane confermato per l’inizio della settimana l’arrivo a Washington della delegazione cinese guidata dal vice-primo ministro cinese Liu He.
Il direttore del National Economic Council, Kudlow, ha detto che tutti i documenti dell’intesa sono pronti e le traduzioni sono autenticate, con una previsione di pubblicazione del testo il 15 gennaio.
La fase 2 dei negoziati non si concluderà prima delle elezioni di novembre. Inoltre, il segretario del Tesoro Mnuchin e il rappresentante del commercio Lighthizer hanno annunciato che si terranno degli incontri su base “almeno semestrale” guidati da Lighthizer e Liu He (vice primo ministro cinese), con la collaborazione di Mnuchin, per risolvere eventuali conflitti, e altri incontri su temi macroeconomici a cui potrebbero partecipare anche i governatori delle rispettive banche centrali.
Questa iniziativa di incontri periodici su base regolare dovrebbe essere chiamata “Comprehensive Economic Dialogue” e sarà simile a iniziative analoghe perseguite dalle amministrazioni precedenti (Strategic Economic Dialogue dell’amministrazione Bush e Strategic and Economic Dialogue di Obama), ampiamente criticate (e chiuse) da Trump nel primo anno del suo mandato.

 

MERCATI VALUTARI:

USD – Il dollaro ha chiuso la settimana passata al rialzo, recuperando quasi del tutto la correzione subìta negli ultimi giorni dell’anno. Venerdì è sceso brevemente a livello intra-day sull’aumento, inferiore al previsto, dei non-farm payrolls, ma si è ripreso poco dopo, perché il quadro complessivo del mercato del lavoro resta positivo e un rallentamento della dinamica occupazionale è fisiologico durante la fase matura del ciclo. Successivamente però ha corretto nuovamente sulla notizia che gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni contro l’Iran in risposta all’attacco missilistico iraniano contro le basi USA in Iraq.
La settimana entrante propone numerosi dati (inflazione domani, indice Empire mercoledì, Philly Fed e vendite al dettaglio giovedì, produzione industriale e fiducia dei consumatori venerdì), attesi di tenore misto, con possibili segnali di debolezza nel manifatturiero. Nel complesso i dati dovrebbero convalidare la strategia Fed di un periodo di stabilità dei tassi, per cui la reattività del dollaro dovrebbe essere simmetrica, con risposta rialzista ad eventuali sorprese positive e ribassista in caso di delusioni. Interessante sarà la lettura del Beige Book mercoledì, utile per una valutazione più aggiornata delle prospettive del settore manifatturiero.
Questa settimana, probabilmente mercoledì 15, è prevista l’attesa firma dell’accordo commerciale della fase 1 tra Stati Uniti e Cina, che dovrebbe favorire un sentiment di mercato positivo, ma è possibile che la reazione sia limitata trattandosi di un evento già perlopiù scontato dai mercati. Restano inoltre da tenere ancora monitorati gli sviluppi sul fronte della crisi USA-Iran, anche se sembra che un’ulteriore escalation possa essere evitata.

EUR – L’euro ha chiuso invece la settimana al ribasso scendendo da un massimo in area 1,12 EUR/USD a un minimo in area 1,10 EUR/USD. Nemmeno venerdì è riuscito a trarre beneficio dai dati di produzione industriale francese, spagnola e italiana, risultati migliori delle attese, traendone invece, ma in misura modesta e solo temporaneamente, dai dati USA dell’employment report e, poco dopo, dal riemergere di nuove tensioni sul fronte USA-Iran. La settimana entrante propone pochi spunti di rilievo: mercoledì la produzione industriale aggregata dell’area dovrebbe mostrare un parziale recupero dopo la contrazione del mese precedente, ma in linea con le indicazioni già emerse dai dati nazionali, giovedì i verbali BCE non dovrebbero offrire novità rispetto a quanto già emerso al termine dell’ultima riunione, e venerdì la stima finale dell’inflazione dell’area dovrebbe confermare l’incremento registrato dalla lettura preliminare. A meno di sorprese eclatanti, l’euro dovrebbe quindi tendenzialmente mantenersi nel range degli ultimi giorni a 1,10-1,11 EUR/USD, con maggiore probabilità di rompere – da una parte o dall’altra – il range in caso di sorprese o delusioni significative dai dati USA piuttosto che da quelli europei. I segnali di stabilizzazione che pure sono giunti recentemente dall’area euro non sono ancora sufficienti a fornire maggiore slancio alla moneta unica, che necessita a tal fine di indicazioni più robuste di un concreto miglioramento più che di una semplice stabilizzazione, a meno di un significativo peggioramento del quadro USA.

GBP – La sterlina ha chiuso la settimana al ribasso contro dollaro da un massimo in area 1,32 GBP/USD a un minimo in area 1,30 GBP/USD, penalizzata sia dall’incertezza sui negoziati per il raggiungimento di un nuovo accordo commerciale con l’UE (che verosimilmente permarrà anche oltre il breve termine) sia dalle dichiarazioni dovish del governatore uscente della BoE, Carney, che ha aperto alla possibilità di un taglio dei tassi nel breve termine qualora la debolezza dell’economia domestica dovesse persistere. Indicazioni analoghe sono state espresse venerdì da Tenreyro, che ha spiegato di essere favorevole a un taglio entro i prossimi mesi qualora i rischi verso il basso, tuttora prevalenti, dovessero materializzarsi. Ancora più netto è stato Vlieghe domenica, dichiarando, in un’intervista all’FT, che intende votare per un taglio dei tassi già alla riunione di questo mese se i dati non mostreranno “un imminente e significativo miglioramento”.
Contro euro la sterlina è rimasta pressoché stabile nel range 0,84-0,85 EUR/GBP per via del contestuale calo dell’EUR/USD.
I numerosi dati in uscita questa settimana e la prossima saranno importanti per capire se un taglio potrà arrivare già alla prossima riunione del 30 gennaio, l’ultima che sarà presieduta da Carney.
La settimana entrante propone oggi la produzione industriale (attesa in peggioramento), mercoledì l’inflazione (attesa stabile a 1,5%) e venerdì le vendite al dettaglio (attese invece in recupero). In questo momento i dati di crescita sono più rilevanti di quelli di inflazione ai fini della decisione BoE e quelli relativi ai consumi dovrebbero rilevare un po’ di più rispetto a quelli del manifatturiero. Essendo le attese per questa settimana di tenore misto, la sterlina dovrebbe mantenersi nel range della settimana scorsa. In caso invece di sorprese o delusioni si potrebbe osservare una reattività asimmetrica – ovvero maggiore verso il basso che verso l’alto – a causa dell’incertezza che permane sul fronte dei prossimi negoziati con l’UE.

JPY – Al ridimensionarsi del rischio di un’ulteriore escalation nella crisi USA-Iran lo yen ha chiuso la settimana in calo da 107 a 109 USD/JPY, annullando interamente contro dollaro l’apprezzamento messo a segno sullo scavalco dell’anno all’insorgere della crisi. Durante la sessione di venerdì è risalito sulla notizia delle sanzioni USA contro l’Iran, ma si è comunque mantenuto in area 109 USD/JPY. La valuta nipponica è scesa anche contro euro, da 120 a 122 EUR/JPY. I livelli attuali del cambio sono piuttosto significativi, in particolare contro dollaro (area 109 USD/JPY), perché potrebbero preludere a una rottura del range degli ultimi mesi in presenza dello spunto opportuno, in direzione ribassista per la valuta nipponica.
Questa settimana si avrà un primo test in tal senso con l’attesa firma dell’accordo USA-Cina che, rimuovendo almeno parte dell’incertezza sul fronte delle guerre commerciali, dovrebbe indebolire lo yen portandolo almeno a testare quota 110,00 USD/JPY. Il calo dovrebbe trasmettersi interamente o quasi al cross contro euro portando almeno a rivedere i minimi recenti in area 122 EUR/JPY. Importanti saranno anche i dati USA, dove eventuali sorprese positive imprimerebbero un’ulteriore spinta ribassista allo yen.

 

PREVISIONI:

AREA EURO – La settimana è piuttosto povera di indicatori congiunturali. La produzione industriale a novembre dovrebbe confermare le indicazioni giunte dai principali Paesi, mostrando un recupero su base congiunturale dopo il calo di ottobre. Le stime finali dei prezzi al consumo di dicembre, nell’Eurozona e nelle maggiori economie dell’area, dovrebbero confermare la salita registrata nel mese, anche se dovuta soprattutto a effetti base sull’energia. In Italia, dovrebbe aversi maggiore chiarezza sulla sorte dei due possibili referendum all’orizzonte (uno confermativo sulla riforma costituzionale di taglio dei parlamentari, l’altro abrogativo della parte proporzionale dell’attuale legge elettorale).

STATI UNITI – La settimana ha molti dati in uscita, ma il focus sarà sull’accordo per la fase 1 dei negoziati USA-Cina. La sigla dell’intesa dovrebbe avvenire il 15 e confermare misure circoscritte principalmente a una riduzione dei dazi imposti dagli USA a settembre e impegni da parte della Cina ad aumentare gli acquisti di prodotti agricoli americani.
Le prime indagini del manifatturiero a gennaio dovrebbero mantenersi deboli, segnalando stagnazione dell’attività ma non contrazione come visto invece con l’ISM di dicembre. La fiducia dei consumatori a gennaio dovrebbe essere in marginale calo, pur restando su livelli elevati.
Fra i dati di attività di dicembre, le vendite al dettaglio dovrebbero essere in aumento moderato, frenate dalla correzione delle auto; la produzione industriale dovrebbe stabilizzarsi dopo il rimbalzo di novembre e i cantieri residenziali dovrebbero invece continuare a crescere. Sul fronte dei prezzi, non ci sono segnali di novità significative, con il CPI e il PPI core attesi in aumento di 0,2% m/m.
Il Beige Book dovrebbe riportare un quadro sempre positivo sul fronte del mercato del lavoro e dei consumi, a fronte di persistente debolezza del manifatturiero.