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4 Febbraio 2022 – nota economica giornaliera

GERMANIA – Gli ordinativi all’industria di dicembre hanno registrato un nuovo aumento di 2,8% m/m, dopo una crescita del 3,6% m/m (rivista al ribasso di un decimo) in novembre.
Il fatturato nel comparto manifatturiero è salito di 0,2% m/m in dicembre ma resta ancora più basso del 2,9% rispetto ai livelli pre-COVID.

AREA EURO
– I prezzi alla produzione nell’industria sono cresciuti di 2,9% m/m (26,2% a/a) a dicembre, ancora trainati dall’energia ma con rincari diffusi a tutti i comparti; la crescita dei prezzi dovrebbe essere proseguita su ritmi sostenuti anche a gennaio.
– Le stime finali degli indici PMI dei servizi a gennaio hanno registrato una limatura di quello relativo al complesso dell’Eurozona (51,1 da 51,2) mentre sono rimasti invariati quelli tedeschi e francesi.
In Italia e in Spagna gli indicatori hanno subito una marcata flessione, rispettivamente a 48,5 da 53 e a 46,6 da 55,8 precedente, su livelli coerenti con una contrazione dell’attività nel settore.
A gennaio in Italia l’indice PMI composito è calato a 50,1 da 54,7.

STATI UNITI
– Ieri, l’ISM dei servizi a gennaio ha registrato una flessione a 59,9 da 62,3 di dicembre, con cali dei sotto-indici di attività (a 59,9 da 68,3), ordini (a 61,7 da 62,1), occupazione (a 53,2 da 54,7) e prezzi pagati (a 82,3 da 83,9, sempre su massimi storici).
Scorte e tempi di consegna indicano strozzature all’offerta in ulteriore aumento.
La crescita rimane solida, nonostante Omicron, con una domanda forte e segnali di persistente scarsità di offerta di beni e lavoro e aumenti dei prezzi.
– Le nuove richieste di sussidi di disoccupazione al 29 gennaio sono calate a 238 mila, da 261 mila della settimana precedente e sono vicini alla media del 2019.

 

COMMENTI:

BCE – La BCE ha aperto alla possibilità di modifiche al percorso di avvicinamento al primo rialzo dei tassi in occasione della riunione del 10 marzo.
Alle due domande sulla possibilità che i tassi ufficiali vengano alzati nel 2022, come i mercati scontano, Lagarde ha evitato di ripetere quanto in passato aveva affermato, cioè che ciò fosse improbabile alla luce della forward guidance.
Il cambiamento è stato giustificato affermando che la precedente valutazione era “condizionata” e che le “condizioni sono mutate”, anche per l’andamento migliore delle attese dell’occupazione.
La presidente si è limitata a ribadire i due vincoli sulla strada del rialzo dei tassi (la sequenza, che impone di fermare prima gli acquisti netti, e condizioni sull’andamento dell’inflazione).
Per ora continuiamo a prevedere il primo rialzo nel 2023, con fine degli acquisti netti tra fine 2022 e marzo 2023, a motivo delle attese di netta riduzione dell’inflazione nel corso di quest’anno.
Come scenario di rischio, l’accorciamento più plausibile del percorso vedrebbe una riduzione degli acquisti netti APP a 20 miliardi mensili nel 3° trimestre, con azzeramento nel 4°, in modo da alzare i tassi il 27 ottobre o il 15 dicembre.
Nella curva OIS sono attualmente scontati 44pb di rialzo entro fine anno, di cui 23pb già a settembre.

REGNO UNITO – Ieri la Bank of England ha alzato i tassi, come da attese, da 0,25% a 0,50%, ma con una maggioranza stretta, di 5 su 9 (4 membri avrebbero preferito un rialzo più ampio, di 50 pb).
Per quanto riguarda il programma di acquisti, ha annunciato l’immediata cessazione del reinvestimento dei titoli che giungono a scadenza, indicando un programma per la vendita dei corporate bond che dovrà giungere a completamento attorno alla fine del 2023.
La vendita dei titoli di stato partirà invece solo dopo che il bank rate avrà raggiunto almeno l’1,00%.
La BoE ha comunque ribadito che lo strumento chiave per l’aggiustamento di policy rimane il bank rate.
Nel MPR aggiornato sono state riviste al ribasso le previsioni di crescita (da 5% a 3¾% quest’anno e da 1,5% a 1¼ % il prossimo) e al rialzo quelle di inflazione (da 3,5% a 5¾% per la fine di quest’anno e da 2¼% a 2,5% per la fine del prossimo).
Il mercato ha ridimensionato le attese di rialzo dei tassi, togliendo approssimativamente un rialzo di 25 pb da qui a metà dell’anno prossimo, assestandosi su un totale di cinque rialzi, di cui quattro quest’anno.
A nostro avviso, la BoE potrebbe attuare altri tre rialzi di 25 pb quest’anno (a maggio, agosto e novembre) e uno/due l’anno prossimo, avviando il programma di dismissione dei titoli di stato tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo.
L’incertezza sullo scenario è inusualmente elevata.

STATI UNITI – Nelle audizioni alla commissione bancaria del Senato per la nomina a membri del Board, i candidati di Biden Bloom-Raskin, Cook e Jefferson hanno affermato che il controllo dell’inflazione deve essere ora la priorità della Fed.

 

MERCATI VALUTARI:

USDIl dollaro è sceso ulteriormente, erodendo così del tutto la salita post-FOMC, principalmente di riflesso all’apprezzamento dell’euro sull’esito della riunione BCE, ma anche, seppure in misura inferiore, per via del rafforzamento della sterlina post-riunione BoE e per il calo, pur atteso, dell’ISM non-manifatturiero.
I rendimenti USA sono comunque tornati a salire, anche se meno rispetto a quelli di euro e sterlina.
Oggi dall’employment report si attendono indicazioni negative sul fronte occupazionale, ma per ragioni transitorie (Omicron).
Il dollaro dovrebbe pertanto rimanere sulla difensiva, ma anche in caso di sorprese positive dai dati e/o di parziale ritracciamento tecnico, si appresta comunque a chiudere la settimana al ribasso.
Resta ancora valida l’idea di un successivo recupero, in prospettiva dell’avvio del ciclo di rialzi dei tassi Fed a marzo, ma l’upside potrebbe cominciare a ridursi.

EURL’euro si è apprezzato in modo importante, da 1,12 a 1,14 EUR/USD, sull’esito della riunione BCE, che ha di fatto aperto alla possibilità di prendere in considerazione un’accelerazione del processo di normalizzazione della politica monetaria, qualora lo scenario di inflazione dovesse deteriorarsi significativamente.
Anche i rendimenti sono saliti molto, portando a un ulteriore restringimento dei differenziali rispetto agli USA.
Il mutato atteggiamento BCE convalida la nostra aspettativa di un’inversione rialzista dell’euro più avanti in corso d’anno.
Nel brevissimo l’upside dovrebbe restare contenuto entro quota 1,15 EUR/USD, ma prossimamente dovrebbe esserci ancora spazio per un nuovo calo, seppure forse con un minor downside (parte medio/alta del corridoio 1,10-1,12 EUR/USD), in vista dell’avvio del ciclo di rialzi Fed.
I rischi sembrano comunque leggermente verso l’alto in questo periodo.
Il test sarà infatti la prossima riunione BCE del 10 marzo, che vedrà anche la pubblicazione delle nuove previsioni di inflazione: se dovessero essere già riviste significativamente verso l’alto aprendo più esplicitamente ad un’accelerazione del sentiero di aggiustamento, l’euro si apprezzerebbe ulteriormente.
I giochi potrebbero comunque ancora riaprirsi la settimana successiva, in occasione del FOMC del 16 marzo, dove non si esclude che la Fed possa tracciare un sentiero di restrizione monetaria più rapido del previsto.

GBPLa sterlina si è rafforzata ieri contro dollaro sull’esito della riunione BoE, ma moderatamente, da 1,35 a 1,36 GBP/USD, e oggi è già in leggero arretramento.
Si è indebolita invece, molto, contro euro, da 0,82 a 0,84 EUR/GBP, per via del maggior apprezzamento post-BCE dell’EUR/USD.
La BoE ha alzato i tassi, come da attese, da 0,25% a 0,50%, ma con una maggioranza stretta, di 5 su 9, dove 4 avrebbero preferito un rialzo più ampio, di 50 pb.
Per quanto riguarda il programma di acquisti, ha annunciato l’immediata cessazione del re-investimento dei titoli che giungono a scadenza, indicando un programma per la vendita dei corporate bond che dovrà giungere a completamento attorno alla fine del 2023.
La vendita dei titoli di stato partirà invece solo dopo che il bank rate avrà raggiunto almeno l’1,00%.
La BoE ha comunque ribadito che lo strumento chiave per l’aggiustamento di policy rimane il bank rate.
Nel MPR aggiornato sono state riviste al ribasso le previsioni di crescita (da 5% a 3¾% quest’anno e da 1,5% a 1¼ % il prossimo) e al rialzo quelle di inflazione (da 3,5% a 5¾% per la fine di quest’anno e da 2¼% a 2,5% per la fine del prossimo), e qui si riassume il messaggio principale che la BoE intende veicolare: l’inflazione è salita e salirà più del previsto, per cui è necessario alzare i tassi e rimuovere progressivamente il QE per riportarla a target, ma la crescita sarà più debole delle attese, sia a causa dell’effetto negativo sulla domanda della più elevata inflazione sia per il venir meno delle misure di sostegno delle politiche monetaria e fiscale che erano state introdotte per fronteggiare lo shock pandemico.
Come ha spiegato Bailey, non bisogna pertanto pensare che il ciclo di aggiustamento sarà una restrizione poderosa: “nei prossimi mesi sarà probabilmente necessaria un’ulteriore modesta restrizione monetaria”, ma “sarebbe un errore… assumere che i tassi siano ora inevitabilmente su una lunga marcia al rialzo”.
Il mercato infatti ha ridimensionato le attese di rialzo dei tassi, togliendo approssimativamente un rialzo di 25 pb da qui a metà dell’anno prossimo, assestandosi su un totale di cinque rialzi, di cui quattro quest’anno.
A nostro avviso, la BoE potrebbe attuare altri tre rialzi di 25 pb quest’anno (a maggio, agosto e novembre) e uno/due l’anno prossimo, avviando il programma di dismissione dei titoli di stato tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo.
Il livello particolarmente elevato dell’inflazione attesa (5¾% a fine anno, ma passando per un picco a 7¼% in aprile) rende infatti necessaria una sequenza di rialzi “rapida” concentrata su quest’anno, visto che lo strumento del bank rate è considerato prioritario rispetto allo smantellamento del QE.
Tuttavia, alla luce delle più recenti dinamiche dei prezzi energetici, l’incertezza dello scenario è inusualmente elevata e la BoE aggiornerà di riunione in riunione la valutazione dello scenario di inflazione, anche perché nel MPR di febbraio ha utilizzato un’assunzione piuttosto “forte” per le previsioni di crescita e inflazione, ovvero un profilo dei prezzi dell’energia in linea con i futures da qui a 6 mesi, ma costante successivamente, laddove i futures avrebbero un calo dei prezzi l di là del breve.
L’impego di tale assunzione certifica una scelta, di tipo prudenziale, da parte della BoE, volta a dare priorità, ora, al rischio inflazione (che viene infatti giudicato verso l’alto) nel trade-off con la crescita.
Se però il quadro generale dovesse modificarsi, rendendo più plausibile lo scenario di successivo calo dei prezzi energetici, la BoE potrebbe alleggerire il proprio intervento (eventualmente limitandosi a due rialzi quest’anno, con avvio verso fine anno del programma di vendita dei titoli di stato).
La prospettiva di altri tre rialzi quest’anno e di avvio della rimozione del QE dovrebbe favorire un rafforzamento della sterlina rispetto al dollaro verso 1,42-1,44 GBP/USD a 6m-12m, ma di solo lieve rafforzamento contro euro (verso 0,83-0,82 EUR/GBP), sia perché anche l’EUR/USD è previsto in apprezzamento in funzione dell’avvio del processo di normalizzazione della politica monetaria sia perché l’aggiustamento BoE sarà incisivo ma non “aggressivoa causa del più debole scenario di crescita.

JPYLo yen è tornato a indebolirsi, sia contro dollaro da 114 a 115 USD/JPY sulla risalita dei rendimenti USA, sia – soprattutto – contro euro, da 129 a 132 EUR/JPY, per via dell’apprezzamento post-BCE dell’EUR/USD.
Il calo contro dollaro potrà proseguire nella misura in cui proseguirà l’ascesa dei rendimenti USA, alimentando un indebolimento, seppur non necessariamente continuativo, anche contro euro.

 

PREVISIONI:

AREA EURO – Prevediamo un ampio calo delle vendite al dettaglio a dicembre (-3,9% m/m), penalizzate dalla risalita dei contagi a cavallo d’anno.

FRANCIA – La produzione industriale dovrebbe tornare a crescere a dicembre, di 0,5% m/m dopo il calo di -0,4% m/m registrato a novembre.

STATI UNITI – Gli occhi saranno puntati sull’employment report di gennaio, che dovrebbe registrare un crollo temporaneo, per via dell’assenza dal lavoro del numero record di contagiati a metà mese.
Gli occupati non agricoli dovrebbero essere in calo di -250 mila, dopo 199 mila di dicembre.
A metà gennaio, i nuovi contagi erano in media intorno a 800 mila, con una stima di circa 5,5 mln in isolamento/quarantena e assenti per Covid nell’ordine di circa 500 mila nella settimana di rilevazione.
La stima ADP ha registrato un calo di -300 mila che potrebbe sovrastimare la correzione dei nonfarm payrolls nell’indagine BLS che, al contrario di ADP, non considera occupati i dipendenti assenti dal lavoro.
Il tasso di disoccupazione dovrebbe essere stabile a 3,9%, mentre i salari orari potrebbero accelerare significativamente, con una variazione di 0,8% m/m, per via dell’assenza dovuta a Omicron prevalentemente concentrata fra i lavoratori meno qualificati con salari nella fascia bassa della distribuzione.
I dati devono essere letti come un fenomeno transitorio collegato alla pandemia, che dovrebbe essere seguito da una netta ripresa della dinamica occupazionale già a febbraio.
La curva dei contagi ha svoltato e il numero di casi è circa un terzo del picco e vicino ai livelli di dicembre.