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Il marchio collettivo privato a salvaguardia del patrimonio agroalimentare regionale

Lo smarrimento delle Regioni dinanzi ad uno scenario confuso e penalizzante che erige il vessillo europeo della libera circolazione delle merci a fondamento della negazione di qualsiasi iniziativa che intenda promuovere le ricchezze agroalimentari del proprio territorio, è paragonabile a quello di chi, conseguito il permesso a compiere una certa azione, si veda negata tale facoltà non appena si appresti ad agire.

Eppure, è insito nelle norme assicurare l’ordine e la certezza del diritto ai propri cittadini. E anche quando i confini nazionali sono stati sostituiti da un ben più ampio spazio condiviso a livello europeo con altri Stati, la sovrapposizione di regole che ne è derivata, è stata risolta alla luce del principio del primato del diritto europeo. E, se in un primo momento, la garanzia del primato si è tradotta nella realizzazione di un mercato unico nel quale potessero circolare liberamente persone, merci e capitali secondo regole comuni, l’interpretazione che ne è seguita è stata quella di impedire agli Stati di adottare qualsiasi misura in grado di ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari.

Così che lo spazio ha sostituito le peculiarità normative e produttive dei territori e ha condotto gli Stati verso una rassicurante omologazione, espressa in termini ancora più netti da quando la giurisprudenza della Corte di giustizia ha riconosciuto, sulla base del principio del mutuo riconoscimento, la piena equivalenza tra merci prodotte secondo regole tecniche diverse, rese uniformi dal processo di armonizzazione delle legislazioni dei singoli Stati membri.

 

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Cinzia F. Coduti