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Brexit: ultima fermata prima del baratro

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a cura di Luca Mezzomo


ABSTRACT

• Siamo sempre più vicini alla scadenza del 29 marzo, e lo scenario di uscita senza accordo, nonostante sia il peggiore per tutti, sta diventando lo scenario più probabile.
Il parlamento britannico è riuscito a trovare una risicata maggioranza a favore di una mozione che chiede al governo di sostituire il meccanismo di salvaguardia per l’Irlanda con altri non specificati; peraltro, senza alcuna garanzia, l’accordo così emendato passerebbe in un parlamento profondamente diviso.
Inoltre, il mandato negoziale appare del tutto incompatibile con la posizione dell’UE, e rischia di tradursi in un nuovo fallimento del piano, se sarà rivotato entro fine febbraio.
• Una diversa ed esigua maggioranza ha fatto passare anche una mozione contraria a un’uscita senza accordo, ma in una forma che non impone alcun vincolo al governo.
• Gli scenari più benigni sono:
(a) la decisione di un numero sufficientemente alto di membri del partito laburista di appoggiare comunque l’accordo, come male minore di fronte alla minaccia di no-deal Brexit e
(b) una decisione della premier di rinunciare al sostegno degli Euroscettici e di accordarsi con i laburisti per un modello di relazione con l’UE più stretto.
La seconda garantirebbe un’ampia maggioranza. Tuttavia, ambedue gli scenari appaiono politicamente fantasiosi, al momento.
• Un rinvio della scadenza del 29 marzo è possibile, ma non scontato.
Un’ampia maggioranza trasversale lo sostiene, alla Camera dei Comuni.
Diversi membri del governo potrebbero dimettersi nei prossimi giorni per essere pronti a votare a favore di un’estensione dell’art. 50 il 27 febbraio.
Un rinvio di massimo tre mesi è facile, e potrebbe essere accordato anche se lo sbocco finale fosse un’uscita senza accordo, al solo fine di consentire un minimo di preparativi.
Estensioni più lunghe comportano diversi problemi legali e politici, e sono plausibili soltanto a fronte di sviluppi davvero clamorosi (referendum, svolta a favore di una relazione a regime più stretta, elezioni anticipate).
• Il ritiro della domanda di uscita dall’UE è teoricamente possibile, ma sembra altamente improbabile: implicherebbe probabilmente una scissione del partito conservatore e una crisi di governo.
• Le stime dell’impatto di una no-deal Brexitsono molto pesanti.
Una volta chiarito che questa è la strada, però, dovrebbero essere attivate alcune misure di mitigazione: aumento preventivo delle scorte, possibile estensione tecnica dell’art. 50 di 2-3 mesi per i preparativi, mancata applicazione dei controlli doganali per qualche tempo, anche unilaterale, per evitare la congestione del traffico merci ai punti di ingresso nel Regno Unito.
Anche sotto ipotesi benevole, però, la no-deal Brexit potrebbe rallentare la ripresa dell’Eurozona dalla fase di debolezza iniziata a metà 2018, e prolungare la fase di contrazione dell’economia italiana.
• Fino a questa settimana, i mercati hanno sottovalutato il rischio di no-deal Brexit.
Dopo il voto del 29 gennaio, infatti, la sterlina aveva sostanzialmente mantenuto le posizioni. Tuttavia, negli ultimi giorni sembra essere emersa una maggiore consapevolezza che un processo caotico, come quello che governa Brexit, può generare anche esiti irrazionali.
Non c’è alternativa a un’uscita senza accordo, infatti, se non si forma una maggioranza trasversale a favore di progetti alternativi.

 


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