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Campionamento di rifiuti: cogenza del metodo e relativo valore processuale

Cass. Sez. III Pen. 16 gennaio 2015, n. 1987

Due sono i temi che meritano una riflessione nel commento della sentenza in rassegna: la problematica della scelta del metodo da adottare in occasione del campionamento di rifiuti ed il successivo valore probatorio dei prelievi così come operati. Entrambi i rilievi assumono particolare pregnanza se si pensa alle conseguenze che possono scaturirne in sede processuale penale.

Nel dettare la disciplina del campionamento dei rifiuti funzionale alla successiva loro caratterizzazione chimico-fisica, l’art. 8, comma 1 del d.m. 5 febbraio 1998 recante Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, richiama oggi non più i criteri elaborati dal CNR-IRSA quaderno 64, ma le più attuali norme UNI 10802 (Rifiuti liquidi, granulari, pastosi e fanghi – Campionamento manuale e preparazione ed analisi degli eluati). Tale rinvio, secondo la Suprema Corte, deve essere ritenuto però privo di portata generale poiché riferibile unicamente alla disciplina delle analisi effettuate dal titolare dell’impianto di produzione al fine della caratterizzazione di quelle particolari tipologie di rifiuti richiamate dal legislatore.

Prima di procedere ad ogni qualsivoglia forma di prelevamento di campioni è opportuno svolgere una indagine preventiva sul grado di omogeneità e/o eterogeneità della composizione della matrice che si vuole sottoporre ad analisi, predisponendo un preciso ed articolato piano di campionamento (1) correlato alla tipologia dei rifiuti in esame, al loro stato fisico, alla giacitura, agli inquinanti e optando, quindi, per la tecnica di prelievo in grado di consentire le maggiori garanzie di rappresentatività del campione (2).

Solo in presenza di una massa di rifiuti omogena sarà applicabile la normativa tecnica dettata dal disciplinare UNI 10802 e dedicato a rifiuti liquidi, fangosi o granulari (cioè solidi con pezzatura non superiore ai 5 mm), esplicitamente richiamata dall’art. 8, d.m. 5 febbraio 1998.

In caso di ammassamenti eterogeni, il metodo di campionamento dovrà adeguarsi alla tipologia del rifiuto in questione, al fine di ottenere – mediante le metodiche più opportune e comunque riconosciute dalla comunità scientifica – il passaggio da una grande massa eterogenea ad una piccola massa omogenea e rappresentativa.

1Si veda: d.m. 3 agosto 2005 – Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica.

2Cfr. Pernice – Mininni, Il sistema tecnico e normativo di gestione dei rifiuti, Milano, 2008, 299 e ss.

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Andrea Pezzangora