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Attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti

Cass. Sez. III Pen. 6 novembre 2015, n. 44629

Attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti

 

Cass. Sez. III Pen. 6 novembre 2015, n. 44629 – Mannino, pres.; Ramacci, est.; Baldi, P.M. (diff.) – B. ed a., ric. (Annulla senza rinvio App. Bologna 25 febbraio 2014)

 

Sanità pubblica – Rifiuti – Art. 260 d.lgs. 152/06 – Reato abituale proprio.

 

La natura di reato abituale del delitto di cui all’art. 260, d.lgs. 152/06 è pacifica ed il fatto che esso sia caratterizzato dalla sussistenza di una serie di condotte le quali, singolarmente considerate, potrebbero anche non costituire reato, ne consente l’astratta qualificazione come reato abituale proprio, la cui consumazione deve ritenersi esaurita con la cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti.

 

(Omissis)

 

FATTO

 

  1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 25/2/2014 ha parzialmente riformato la decisione emessa in data 6/12/2010, a seguito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, dichiarando la prescrizione di parte delle condotte contestate a B.G. ed a B. C., rideterminando le pene loro originariamente inflitte, concedendo a B.G. la sospensione condizionale della pena, revocando la condanna al pagamento di provvisionali in favore delle costituite parti civili, nonché la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, già concessa a B.C., al pagamento delle somme oggetto delle suddette provvisionali.

Entrambi erano chiamati a rispondere dei reati di cui all’art. 110 c.p., D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, (capo A); art. 640 c.p., art. 61 c.p., nn. 7 e 11 (capo B); art. 640 cpv. c.p., art. 61 c.p., nn. 7 e 11 (capo C). B.G., inoltre, anche del reato di cui all’art. 321 c.p., (capo D1), reati commessi, per ciò che concerne quelli rubricati al capo C), fino all’ottobre 2005, gli altri fino all’ottobre (omissis).

Gli imputati, nella loro qualità di consiglieri di amministrazione della (omissis), titolare di autorizzazione alla gestione di rifiuti, avevano conferito, in più occasioni, presso la discarica META di Modena, rifiuti classificati con codice non rispondente alla realtà, in modo tale da versare un corrispettivo per lo smaltimento inferiore a quello effettivamente dovuto ed usufruire dell’esenzione dalla “eco-tassa”, lucrando, in altre occasioni, sempre sull’eco-tassa, rappresentando falsamente di aver eseguito, sui rifiuti conferiti, operazioni di selezione e recupero in realtà non effettuate ed ottenendo un finanziamento finalizzato a mettere in funzione il relativo impianto di selezione. Il tutto in danno della META e dell’Amministrazione Regionale.

Le condotte erano rese possibili dalla corresponsione di somme di denaro, da parte di B.G., ad alcuni dipendenti della META e, in particolare ad F.A., addetta al controllo dei rifiuti in ingresso in discarica.

Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p.

  1. Con un primo motivo di ricorso lamentano la violazione dell’art. 158 c.p., in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente qualificato il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, come reato abituale proprio, collocando il momento consumativo dello stesso al (omissis) e non rilevando la prescrizione.

Osservano, a tale proposito, che il reato in questione sarebbe un reato abituale improprio e che, pertanto, avrebbero dovuto essere valutate, ai fini del calcolo dei termini massimi di prescrizione, le singole condotte poste in essere.

  1. Con un secondo motivo di ricorso lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in punto di determinazione della pena inflitta a B.G., ritenuta eccessiva, così come eccessivi sarebbero gli aumenti applicati per la ritenuta continuazione fra i reati.

I giudici del merito non avrebbero tenuto adeguatamente conto, tra l’altro, della piena collaborazione offerta dall’imputato e dell’ampia confessione resa.

  1. Con un terzo motivo di ricorso deducono la illogicità della motivazione, considerando che, pur rilevando, riguardo a B. G., una capacità a delinquere molto significativa, i giudici del merito hanno comunque concesso le attenuanti generiche nella loro massima estensione e formulato una prognosi favorevole di non recidività, 5. Con un quarto motivo di ricorso denunciano la violazione di legge in relazione alla mancata revoca, in parte qua, della confisca disposta ai sensi dell’art. 322 ter c.p., nonostante l’intervenuta declaratoria di prescrizione dei reati.
  2. Con un quinto motivo di ricorso la violazione della medesima norma codicistica viene dedotta con riferimento anche al mantenimento della confisca nonostante B.G. avesse restituito all’amministrazione Regionale ed alla Provincia di Modena gli importi corrispondenti all’eco-tassa evasa ed alla società titolare della discarica la somma corrispondente alla differenza tra il minor costo di conferimento versato e quello effettivamente dovuto.
  3. Con un sesto motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione in relazione alla posizione di B.C., rilevando l’errata ed ingiustificata interpretazione delle conversazioni telefoniche intercettate e delle altre risultanze processuali.
  4. Con un settimo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge, sempre in relazione alla posizione di B.C., osservando che alla stessa era stata indebitamente attribuita, in quanto consigliere di amministrazione della società, una posizione di garanzia avente ad oggetto l’impedimento delle condotte poste in essere dal coimputato.
  5. Con un ottavo motivo di ricorso deducono la violazione di legge in relazione alla qualifica di incaricato di pubblico servizio attribuita ad F.A., dipendente della discarica, la quale non avrebbe avuto alcuna autonomia decisionale nè alcun potere discrezionale in ordine al conferimento dei rifiuti.

Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

In data 6/10/2015 venivano depositati motivi nuovi da entrambi i ricorrenti.

 

DIRITTO

 

  1. Il ricorso è solo in parte fondato, ma la sentenza impugnata deve essere comunque annullata senza rinvio, perchè i reati, avuto anche riguardo al periodo di sospensione di gg. 32 (dal 27/1 all’1/3/2010), sono tutti estinti per prescrizione.
  2. Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, è un reato abituale, come già questa Corte ha avuto modo di precisare (v. Sez. 3^, n. 29619 del 8/7/2010, Leorati e altri, Rv. 248145; Sez. 3^, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605. V. anche Sez. 3, n. 18669 del 8/1/2015, Gattuso, non massimata).

Va ulteriormente osservato che le richiamate decisioni non hanno indicato il numero minimo di condotte necessarie per la configurabilità del reato, mentre, in più occasioni, la dottrina ha affermato che esso debba individuarsi in almeno due, rinviando, come riferimento, ad una pronuncia di questa Corte (Sez. 4^, n. 28158 del 2/7/2007, P.M. in proc. Costa, Rv. 236907).

Riguardo al delitto contemplato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, ritiene, tuttavia, il Collegio che l’apprezzamento circa la soglia minima di rilevanza penale della condotta debba essere effettuato non soltanto attraverso il riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli ulteriori rimandi, contenuti nella norma, a “più operazioni” ed all’”allestimento di mezzi e attività continuative organizzate” finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti.

Tale valutazione complessiva, operata in concreto dal giudice, consente di superare agevolmente eventuali margini di incertezza proprio in ragione della sostanziale pianificazione e strutturale organizzazione della condotta che la norma richiede.

Inoltre, i requisiti della condotta indicati dalla legge – compimento di più operazioni e allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, attività di cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti, quantitativo ingente di rifiuti e finalità di ingiusto profitto – vanno considerati unitariamente e non singolarmente.

Va quindi affermato che la natura di reato abituale del delitto in esame è dunque pacifica ed il fatto che esso sia caratterizzato dalla sussistenza di una serie di condotte le quali, singolarmente considerate, potrebbero anche non costituire reato, ne consente l’astratta qualificazione come reato abituale proprio e la cui consumazione deve ritenersi esaurita con la cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti.

Risulta dunque corretta la determinazione dei giudici del gravame.

  1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che possono essere unitariamente esaminati, sono pure infondati.

La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p., con la conseguenza che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (così Sez. 5^, n. 5582 del 30/9/2013 (dep. 2014), Ferrano, Rv. 259142. Conf. Sez. 3^, n. 1182 del 17/10/2007 (dep. 2008), Cilia e altro, Rv. 238851; Sez. 6^, n. 829 del 09/12/1994 (dep. 1995), Cipriani ed altri, Rv. 200641; Sez. 6^, n. 481 del 5/12/1991 (dep. 1992), Lazzari, Rv. 188951).

Il giudice, dunque, nel quantificare la pena, opera una valutazione complessiva sulla base dei criteri direttivi fissati dall’art. 133 c.p.p. e la determinazione della misura tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale attribuitogli, che risulta legittimamente esercitato anche attraverso la globale considerazione degli elementi indicati nella richiamata disposizione (Sez. 4^, n. 41702 del 20/9/2004, Nuciforo, Rv. 230278).

Quanto alla motivazione, si è osservato che una specifica e dettagliata giustificazione sulla quantità della pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto nel caso in cui essa sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, ritenendosi negli altri casi adeguato il riferimento all’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., mediante espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2^, n. 28852 del 8/5/2013, Taurasi Rv. 256464; Sez. 4^, n. 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 2^, n. 36245 del 26/6/2009, Denaro, Rv. 245596).

Va peraltro ricordato che, nell’adempimento dell’obbligo di motivazione cui il giudice del merito è chiamato, da effettuarsi nei termini precisati nella menzionata giurisprudenza, questi non deve necessariamente procedere ad un’analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendosi limitare anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2^, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri, Rv. 239754).

Per ciò che concerne, poi, la determinazione dell’aumento applicato per la continuazione, non è dovuta alcuna motivazione, dovendosi fare riferimento alle ragioni poste a sostegno della quantificazione della pena base (Sez. 2^, n. 4707 del 21/11/2014 (dep. 2015), Di Palma e altro, Rv. 262313; Sez. 2^, n. 49007 del 16/9/2014, lussi e altri, Rv. 261424; Sez. 5^, n. 27382 del 28/4/2011, Franceschi e altro, Rv. 250465 ed altre prec. conf.).

  1. Nella fattispecie, la Corte del merito, nel valutare il trattamento sanzionatorio, accogliendo parzialmente, peraltro, le deduzioni formulate con l’atto di appello, ha rilevato come B. G. abbia posto in essere una intensa attività criminosa, protratta nel tempo nonostante ripetuti controlli e sequestri e posta in essere anche mediante atti di corruzione, dimostrando così una spiccata capacità a delinquere.

Nel contempo, la Corte territoriale ha dato atto della condotta successiva alla commissione del reato e, segnatamente, dell’intervenuto risarcimento del danno, individuando in essa un concreto segnale di ravvedimento tale da giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed una prognosi positiva ai fini dell’applicazione della sospensione condizionale della pena.

Si tratta, dunque, di valutazione giuridicamente corretta e priva di cedimenti logici o manifeste contraddizioni.

  1. Anche il quarto ed il quinto motivo di ricorso possono essere congiuntamente esaminati, rilevando che, effettivamente, la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che l’estinzione del reato preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto, potendo la stessa applicarsi, al pari delle sanzioni penali, solo a seguito dell’accertamento della responsabilità dell’autore del reato (cfr. Sez. 2^, n. 13017 del 22/1/2015, Chiazzese e altri, Rv. 262926; Sez. 6^, n. 21192 del 25/1/2013, Barla e altri, Rv. 255367; Sez. 6^, n. 18799 del 6/12/2012 (dep. 2013), Attianese e altri, Rv. 255164).

Inoltre, si è anche affermato, con riferimento ad una ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, che la confisca del profitto non può essere disposta nel caso di restituzione integrale all’erario della somma anticipata dallo Stato, giacchè tale comportamento elimina in radice l’oggetto della misura ablatoria che, se disposta, comporterebbe una duplicazione sanzionatoria contrastante i principi dettati dagli artt. 3, 23 e 25 Cost., ai quali l’interpretazione dell’art. 640 quater c.p., deve conformarsi (Sez. 3^, n. 44446 del 15/10/2013, Runco, Rv. 257628).

La diversa soluzione adottata dalla Corte territoriale si pone dunque in contrasto con i richiamati principi, sebbene da ciò non derivi alcuna concreta conseguenza, atteso che la declaratoria di prescrizione dei residui reati in questa sede implica, necessariamente, la revoca della confisca disposta dai giudici del merito.

  1. Il sesto ed il settimo motivo di ricorso, riguardanti entrambi la posizione di B.C., possono essere unitariamente esaminati e risultano infondati.

Va in primo luogo osservato, a tale proposito, che l’interpretazione e la valutazione dei contenuti delle intercettazioni telefoniche è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e che, nella fattispecie, la stessa è stata effettuata in maniera coerente e logica, dando compiutamente atto delle ragioni che hanno indotto la Corte territoriale a concordare con le conclusioni cui era pervenuto il primo giudice.

Precisano i giudici del gravame, sulla base dei dati fattuali presi in considerazione, che l’imputata, oltre ad avere piena consapevolezza della condotta illecita posta in essere dal fratello ed a non essersi attivata, pur rivestendo la posizione di amministratore della società, affinché tali condotte non venissero poste in essere, aveva comunque un comportamento attivo, ingerendosi, seppure in maniera più defilata rispetto al coimputato, nella commissione degli illeciti.

La sentenza impugnata pone anche in evidenza la sussistenza di alcune situazioni così evidenti da non poter non essere note a chi, come l’imputata, era stabilmente presente in azienda.

Viene quindi rilevato come il fatto che l’impianto per il trattamento dei rifiuti non fosse mai stato messo in funzione, circostanza ben nota all’imputata, la rendeva perfettamente consapevole della falsità dei dati riportati sui formulari dei rifiuti, così come non potevano passare inosservati gli ingenti ricavi provenienti dall’illecita attività.

Tali evenienze venivano pertanto considerate particolarmente significative dai giudici dell’appello, i quali, analizzando anche le contrarie deduzioni difensive, sono pervenuti alla conclusione che il comportamento della ricorrente fosse di fattiva partecipazione alle illecite condotte del coimputato, che non si limitava a non impedire ma, anzi, ratificava, rafforzandone così i propositi criminosi con un atteggiamento psicologico adesivo.

Le conclusioni cui perviene la Corte di appello appaiono corrette, scevre da cedimenti logici o manifeste contraddizioni ed i motivati riferimenti alla condotta attiva di partecipazione degli illeciti da parte dei giudici del gravame rendono superflua ogni ulteriore considerazione in merito alla dedotta erronea attribuzione di un ruolo di garanzia alla prevenuta.

  1. Infondato è, infine, l’ottavo motivo di ricorso.

Va premesso che i ricorrenti non contestano la natura pubblicistica dell’attività di gestione della discarica ove i rifiuti venivano conferiti, limitandosi a sostenere che la dipendente della società che l’aveva in gestione ( F.A.) svolgesse compiti meramente esecutivi, senza alcuna autonomia decisionale.

Ciò premesso, deve rilevarsi che la gestione delle discariche, avuto riguardo a quanto disposto dal D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, richiede, come stabilito, dall’art. 11, comma 3, peculiari procedure di ammissione del rifiuto, demandando al gestore del sito plurime operazioni di verifica e controllo al fine di garantire il corretto conferimento.

Procedure che, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, venivano aggirate grazie alla complicità della F., addetta al controllo dei rifiuti in entrata mediante pesatura e verifica dei formulari di accompagnamento.

E’ quest’ultima la fase più delicata, perché dalla prima verifica è possibile rilevare eventuali situazioni che impediscono il conferimento del rifiuto.

Non si tratta, dunque, di un compito di mera esecuzione, implicando tale verifica una specifica valutazione da parte di soggetto necessariamente qualificato.

Di tale circostanza i giudici del gravame hanno dato compiutamente atto, richiamando gli esiti dell’istruzione dibattimentale, ancora una volta con argomentazioni in fatto del tutto coerenti.

  1. La sentenza impugnata deve, conseguentemente, essere annullata senza rinvio per essere i residui reati ascritti agli imputati travolti dalla prescrizione, maturata dopo la pronuncia della decisione impugnata, con conseguente revoca della disposta confisca.

La legittimità dell’accertamento di responsabilità degli imputati effettuato dai giudici del merito implica la conferma delle statuizioni civili.

 

(Omissis)