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Attività connesse, società e fallimento

Cass. Sez. Trib. 10 aprile 2015, n. 7238

1. L’individuazione dei confini dell’agrarietà traccia il volto dell’imprenditore agricolo, realizzando l’actio finium regundorum tra fallibilità e sottrazione alle procedure concorsuali.

L’evoluzione del significato e dei contenuti della nozione di imprenditore agricolo codificata nel 1942, quando si discuteva se rientrasse nell’ allora vigente art. 2135 solo la coltivazione dei vegetali sul terreno e se il legame di complementarità tra fondo e bestiame potesse o meno consentire un ampliamento delle attività di allevamento a specie diverse da equini, bovini, caprini e ovini, è avvenuta sulla scia dei mutamenti della realtà economica , dell’interpretazione dottrinale, degli interventi della legislazione speciale, fino alle modifiche intervenute con il d.lgs. n. 228/2001. Non potendo dar conto in questa sede della vastissima produzione esegetica sull’originario art. 2135 c.c. e sulla sua intervenuta nuova formulazione1, è possibile qui solo ricordare che, positivizzando il criterio agro-biologico, il legislatore riformista affida al novellato art. 2135 c.c. le conclusioni raggiunte dalla dottrina in sede di interpretazione evolutiva e sistematica dell’originario articolo, identificando l’agrarietà non sulla base del rapporto di collegamento dell’attività di coltivazione e di allevamento con il fondo, ma con la cura del ciclo biologico di qualunque specie di animali e vegetali ed indipendentemente dalla tecnica utilizzata, non rilevando, ai fini della qualificazione giuridica, l’ubi dell’allevamento o della coltivazione ma il quomodo .

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Sonia Carmignani