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31 gennaio 2019 – nota economica giornaliera

ITALIA – A gennaio, si è registrata una ripresa della fiducia delle famiglie, ma in calo quella delle imprese. L’indice composito sul morale delle aziende diffuso dall’Istat è calato per il settimo mese a gennaio, a 99,2 da 99,7 di dicembre. Si tratta di un minimo da agosto del 2016. La fiducia delle imprese è scesa in tutti i settori, con la rilevante eccezione delle costruzioni, dove l’indice è salito (da 130,3 a 139,2), tornando in pratica vicino al record più che decennale toccato già lo scorso luglio (a 139,9).
Il morale è calato nel commercio (a 102,8 da 105) e nei servizi (da 99,5 a 98,6), ma in questo caso, si tratta di un minimo da gennaio del 2015.
Nel settore manifatturiero, il clima di fiducia è sceso più del previsto a 102,1 da 103,4, raggiungendo un minimo da settembre del 2016. Il dato è stato inferiore alla previsione ma il peggioramento è dovuto soprattutto al calo delle valutazioni correnti sugli ordini (particolarmente sul mercato domestico), ma anche le aspettative sono lievemente meno ottimistiche, sia sugli ordinativi che sulla produzione.
Inoltre, continuano a peggiorare le attese sull’economia (ai minimi dal 2014), e anche le valutazioni prospettiche sull’occupazione sono meno espansive.
Il morale dei consumatori è salito a 114 (da 113,2 precedente). Il dato ha sorpreso, ma è risultato esattamente in linea con la nostra aspettativa.
Il miglioramento è diffuso tra le varie componenti: migliorano i giudizi sulla situazione economica dell’Italia, ma peggiorano le attese. Viceversa, in merito alla condizione economica della famiglia, gli intervistati mostrano maggiore pessimismo corrente ma minore pessimismo per il futuro (e un miglioramento dei bilanci famigliari e delle possibilità future di risparmio).

AREA EURO – L’indice di fiducia economica elaborato dalla Commissione UE è calato più delle attese a gennaio fino a 106,2 da un precedente 107,4. Si tratta di un minimo da fine 2016 e un livello compatibile con un tasso di crescita appena al di sotto del potenziale (0,25% t/t su base congiunturale 1,2% a/a).
La tendenza dell’indice ESI e del PMI composito lascia quindi pochi dubbi sul fatto che la debolezza emersa dall’estate si sta protraendo anche ai primi mesi di quest’anno.
Il peggioramento di fiducia riflette un calo di morale particolarmente marcato nell’industria (-1,8 punti, a 0,5) e nel commercio al dettaglio (-1,8 punti, a -1,9).
Nei servizi le imprese riportano condizioni meno brillanti (-1,2 punti, a 11).
Gli indici di fiducia settoriale restano poco al di sopra della media storica.
Le costruzioni rappresentano un’eccezione con il morale ancora in miglioramento a gennaio, come pure è stato confermato il miglioramento di morale presso le famiglie a -7,9.
Le attese per i prossimi mesi sono però di ulteriore peggioramento nell’industria, dato il calo degli ordinativi sia interni che dall’estero e l’aumento delle scorte di prodotti finiti. Il forte calo della domanda negli ultimi mesi è confermato dall’indagine trimestrale che mostra i nuovi ordini in territorio negativo. Nonostante il rallentamento ormai prolungato, l’indagine rivela una stabilizzazione della capacità produttiva su livelli elevati. Le attese per i prossimi mesi sono calate anche nei servizi (-1,5 punti) e commercio al dettaglio (-2 punti).
L’andamento delle intenzioni ad assumere (in peggioramento nell’industria, ma in miglioramento nel commercio al dettaglio e costruzioni) suggerisce che per ora il circolo virtuoso di maggiore occupazione, aumento di salari e consumi rimane in essere.
Il rallentamento congiunturale sta però pesando sulle decisioni di prezzo, con le imprese che riportano un calo dei prezzi di vendita in particolare nell’industria e nel commercio al dettaglio, ma in aumento nei servizi.

GERMANIA – I prezzi al consumo sono calati di 0,8% m/m sulla misura nazionale e dell’1,0% m/m sull’indice armonizzato.
L’inflazione è calata di due decimi all’1,4% sulla misura nazionale ma è rimasta invariata all’1,7% a/a sull’indice armonizzato. L’andamento dei prezzi nel mese è più negativo rispetto all’usuale dinamica stagionale, per effetto del calo dei prezzi energetici.
L’inflazione tedesca potrebbe continuare a frenare tra febbraio e marzo a meno di un netto rimbalzo del prezzo del petrolio.

 

STATI UNITI – La stima ADP degli occupati non agricoli privati a gennaio registra una variazione ancora molto sostenuta, pari a 213 mila, dopo 271 mila di dicembre. L’aumento è diffuso omogeneamente a tutte le dimensioni di impresa.
L’industria crea 68 mila posti, di cui 35 mila nelle costruzioni e 33 mila nel manifatturiero, con un modesto ritracciamento nell’estrattivo (-1000). Nei servizi, l’aumento è di 145 mila, con le variazioni più ampie per istruzione e sanità (38 mila), servizi alle imprese (+46 mila), ricreazione e ospitalità (+31 mila), commercio e trasporti (+13 mila), finanza (+11 mila).
I dati sono solidi, anche perché seguono un mese di dicembre molto brillante, e il mercato del lavoro continua a marciare a pieno ritmo con la creazione di occupati che si mantiene molto al di sopra della crescita di medio termine della forza lavoro, mettendo pressione verso il basso sul tasso di disoccupazione.

CINA – L’indice PMI manifatturiero rilevato dal NBS è lievemente salito, passando a 49,5 in gennaio da 49,4 in dicembre, rimanendo però il secondo mese consecutivo al di sotto di 50.
Una dinamica simile ha riguardato la componente degli ordini esteri, che pur salendo da 46,6 a 46,9 resta sui minimi degli ultimi due anni come quella degli ordini interni, lievemente scesa da 49,7 a 49,6. La componente occupazione è scesa ulteriormente, toccando un minimo da metà 2016. Il PMI del settore non manifatturiero è invece salito per il secondo mese consecutivo portandosi a 54,7 in gennaio da 53,8 in dicembre, registrando un aumento dei nuovi ordini, saliti da 50,4 a 51.0, mentre quelli esteri sono rimasti al di sotto di 50.
L’aumento del PMI dei servizi, portatosi a 53,6, il massimo da luglio 2007, ha più che compensato il calo del PMI del settore costruzioni, sceso a 60,9 in gennaio da 62,6 in dicembre, pur rimanendo su livelli ancora molto sostenuti.
Il PMI composito è quindi salito da 52,6 in dicembre a 53.2 in gennaio.
I dati del NBS continuano a segnalare una dinamica divergente tra il settore dei servizi e il settore manifatturiero, dove l’attività rimane comunque in decelerazione anche se non è peggiorata rispetto a dicembre, a causa del rallentamento della domanda estera a cui si affianca ora anche il rallentamento della domanda interna.

 

COMMENTI:

In Italia, l’indagine sulla fiducia, sembra confermare che in questa fase la condizione delle famiglie appare più rassicurante rispetto a quella delle imprese. Ciò a nostro avviso per diversi motivi:
• Sulle decisioni di investimento delle imprese peserà l’incertezza sulle prospettive fiscali e finanziarie del Paese, che, pur ridottasi dopo l’accordo raggiunto con la Commissione Ue, permane, per via sia dalla scarsa prevedibilità delle politiche economiche.
• Gli effetti espansivi delle misure contenute in manovra sono sicuramente maggiori sulle famiglie; mentre per le imprese abbiamo stimato un impatto netto negativo di 5,8 miliardi sul 2019: in particolare, la manovra appare restrittiva per grandi imprese e banche/assicurazioni, mentre è espansiva quasi esclusivamente per le partite IVA.
• Il livello elevato registrato dagli indici di rischio-Paese negli ultimi mesi sta iniziando a trasferirsi in una restrizione delle condizioni finanziarie applicate dalle banche alle imprese, come emerso dai risultati per l’Italia dell’ultima Indagine sul Credito Bancario della BCE.
Per questi motivi, pensiamo che il rallentamento dell’economia italiana quest’anno sarà dovuto interamente agli investimenti, mentre i consumi dovrebbero mantenere la stessa velocità di crociera vista lo scorso anno e gli scambi con l’estero sono attesi tornare a dare un contributo positivo al PIL, a differenza di quanto avvenuto l’anno scorso.
In ogni caso, l’indagine di fiducia delle imprese si è dimostrata in passato affidabile come previsore degli sviluppi futuri dell’attività economica: gli indicatori mostrano che non soltanto l’industria, ma anche i servizi sono in una fase di sostanziale stagnazione dell’attività.
Di recente, abbiamo infine rivisto al ribasso la nostra previsione sulla crescita del PIL italiano, a 0,6%.
Il nostro scenario di base ipotizza che l’attività economica torni a crescere su base congiunturale nel 2019, marginalmente nel 1° trimestre (+0,1% t/t) e più sensibilmente dal 2° trimestre (+0,3% t/t, anche per via dell’implementazione delle misure di sostegno al reddito delle famiglie più povere), mantenendo tale ritmo almeno anche nel 3° trimestre.
Tuttavia l’indagine di fiducia delle imprese di gennaio conferma che tale scenario di base è soggetto a consistenti rischi verso il basso. Per una valutazione più accurata occorrerà attendere il dato sul trimestre finale del 2018 che sarà diffuso domani dall’Istat; in ogni caso, le indagini non segnalano per ora una riaccelerazione dell’economia a inizio 2019. Una mancata ripresa segnalerebbe quindi che i rischi sul nostro scenario di base, che già valutavamo al ribasso, sono in aumento.

 

Negli USA, la riunione del FOMC avrebbe dovuto segnalare una pausa per raccogliere informazioni sui fattori di rischio; invece, il comunicato e la conferenza stampa di ieri non sembrano segnalare tanto una pausa, quanto una virata molto potente, che ribalta diversi punti fermi mantenuti fino a poco fa.
Con una valutazione dell’economia sempre solida e positiva, in linea con quella di dicembre, il vero cambiamento è che non ci sono più indicazioni di ulteriori rialzi, i segnali di questa svolta sono molti, e non ambigui:
– Il comunicato abolisce il giudizio secondo cui “alcuni ulteriori graduali rialzi” del tasso dei fed fundssaranno coerenti” con gli obiettivi di massima occupazione e stabilità dei prezzi.
– Anche la valutazione di rischicirca bilanciati” viene eliminata.
– Il Comitato mantiene uno scenario centrale di ulteriore espansione dell’attività, mercato del lavoro forte e inflazione vicina al 2%, ma “alla luce delle deboli pressioni inflazionistiche, (…) sarà paziente mentre determina quali aggiustamenti futuri all’intervallo obiettivo del tasso dei federal funds saranno appropriati”.
– A una domanda esplicita sulla direzione della prossima mossa, Powell ha riposto che sarà determinata “interamente” dai dati, dicendo anche che “il caso per alzare i tassi si è un po’ indebolito”.
Secondo Powell per avere un rialzo occorrerà vedere prima un aumento dell’inflazione e che la stance attuale di politica monetaria è “appropriata”: “sappiamo che il nostro tasso di policy è nell’intervallo delle stime di neutralità” del Comitato.
Alla svolta dovish sui tassi se ne aggiunge anche una sul bilancio.
Infatti il Comitato all’unanimità ha approvato alcune modifiche al documento relativo alla normalizzazione della politica del bilancio.
Secondo il FOMC, i tassi restano lo strumento principale della politica monetaria, ma “cambiamenti occasionali” potrebbero essere giustificati in caso di necessità. In generale, ritiene opportuno mantenere un regime operativo in cui sia necessario un elevato livello di riserve e darà in futuro maggiori indicazioni.
Powell ha elencato, come atteso, una serie di rischi che minacciano il sentiero dell’economia americana:
indebolimento della crescita globale, con enfasi sul fatto che il commercio internazionale e la solidità delle altre economie è rilevante per gli USA;
rischi politici: lo shutdown, con effetti contenuti sull’attività, potrebbe minare la fiducia nella capacità di governare e prendere decisioni politiche; Brexit; – svolta restrittiva delle condizioni finanziarie da fine 2018, in corso ancora, che sostituiscono in parte interventi sui tassi.
Se ora il FOMC ritiene che il tasso dei fed funds a 2,25%-2,5% sia già alla neutralità, dovremmo vedere a marzo un’ulteriore revisione verso il basso del tasso neutrale.
Secondo Bullard (St Louis Fed), siamo in un regime di bassa inflazione, diverso da quello vigente nei cicli precedenti: l’impressione è che la politica monetaria sia entrata davvero in una fase di navigazione a vista, ma con un bias espansivo.

Dopo l’annuncio del FOMC ieri l’indice del dollaro ha visto cedere rapidamente lo 0,7%.

Ne ha approfittato l’euro che è schizzato appena sotto la resistenza di 1,1500 (0,7%), ma è possibile che con i dati in uscita oggi sul PIL nell’eurozona poco positivi, si abbia una correzione di EURUSD.

Il cedimento del dollaro è stato evidente anche contro yen, che è passato nella notte a scambiare a 108,80 (+0,9%).

Anche la sterlina è risalita sopra 1,3100 (+0,5%), guadagnando meno delle altre valute, avendo già beneficiato nei giorni scorsi di un effetto fiducia degli operatori per una possibile proroga di Brexit.
Contro euro ha invece ceduto lo 0,5% portandosi a 0,8760 dopo le parole del Presidente della CE Juncker che ha escluso l’ipotesi di rinegoziare l’accordo di uscita. Lo scenario di un no-deal exit sta prendendo piede, a meno di sorprese dell’ultimo minuto.

 

MARKET MOVERs:

ITALIA – Il PIL dovrebbe far segnare la seconda contrazione consecutiva su base congiunturale nell’ultimo trimestre del 2018.
Ancora una volta, la flessione sarebbe dovuta all’industria, in presenza di un apporto sostanzialmente nullo dai servizi. Stimiamo un contributo positivo della domanda estera, più che compensato dal calo della domanda interna.
Su base annua, l’attività economica rallenterebbe da 0,7% a 0,3%, un minimo da quasi 4 anni. Nell’insieme del 2018, il PIL dovrebbe essere cresciuto di 0,9% (dato corretto per i giorni lavorativi), da 1,6% del 2017. Per l’anno in corso c’è da attendersi un ulteriore rallentamento, ad almeno 0,6%, ma i rischi sono verso il basso.

AREA EURO – La stima flash per il 4° trimestre dovrebbe mostrare la crescita del PIL ancora a 0,2% t/t come nei mesi estivi.
La crescita annua è vista in rallentamento. La prima stima non include dettagli sulle componenti ma è probabile che dal lato della domanda i consumi siano frenati rispetto ai mesi estivi. Le esportazioni nette dovrebbero aver offerto ancora un contributo negativo.
I dati tra fine 2018 e inizio 2019 hanno sorpreso verso il basso segnalando che la debolezza dovuta a fattori transitori potrebbe proseguire a inizio 2019.

In Spagna, la crescita del PIL potrebbe essere rallentata da un precedente 0,6% t/t (2,5% a/a), come l’inflazione è vista a gennaio in calo da 1,2% sia sulla misura nazionale che sull’indice armonizzato

In Italia, il tasso di disoccupazione potrebbe essere calato per il secondo mese a dicembre, come pure la flessione degli inattivi: in tal senso conforta anche l’aumento di occupati permanenti visto nei dati degli ultimi due mesi.
Si dovrebbe vedere anche un ulteriore calo del tasso di disoccupazione giovanile (sceso a 31,6% a novembre).
In prospettiva, la sostanziale stagnazione in corso del ciclo mette a rischio la possibilità di un ulteriore significativo calo del tasso dei senza-lavoro, atteso rimanere in media sopra il 10% anche per il 2019.

La disoccupazione dell’Eurozona è attesa stabile a dicembre al 7,9% dopo il calo a sorpresa di dicembre.
Il rallentamento economico in atto non sembra per ora aver effetti significativi sulla dinamica del mercato del lavoro, tuttavia la discesa della disoccupazione nei prossimi mesi sarà meno rapida che nel 2018.

In Germania la disoccupazione è vista invariata al 5,0% per il 3° mese consecutivo.
Spazi per ulteriori cali dell’indice tedesco ormai sono assai limitati, dal momento che il mercato del lavoro è al pieno impiego e i margini per aumentare la partecipazione sono assai limitati.

Negli USA, la spesa personale, il reddito personale e il deflatore dei consumi di dicembre non verranno pubblicati per via dello shutdown, tuttavia con più di un mese di ritardo, vengono pubblicati oggi i dati delle vendite di case nuove a novembre: in tal senso, la fiducia dei costruttori di case è crollata per due mesi consecutivi a novembre e dicembre, portandosi su livelli di tre anni fa e dando quindi indicazioni negative per il trend delle vendite di case nuove, già ampiamente negativo da circa sei mesi.