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30 gennaio 2019 – nota economica giornaliera

FRANCIA – La stima flash del PIL del 4° trimestre sorprende verso l’alto, segnando una variazione di 0,3% t/t, in linea con quella dei mesi estivi, grazie a un contributo del canale estero che più che compensa il rallentamento della componente domestica.
La crescita su base tendenziale rallenta a 0,9% a/a da 1,3% a/a del 3° trimestre (rivista da 1,4% a/a).
A fronte di una domanda domestica relativamente debole, si registra infatti un contributo positivo della domanda estera: nonostante una significativa accelerazione delle importazioni (+1,6% t/t dopo -0,7% t/t), le esportazioni hanno segnato una crescita anche più solida (+2,4% t/t, dopo tre trimestri di significativa debolezza), sostenendo ampiamente la crescita complessiva.
I dati mostrano inoltre una stagnazione dei consumi, mentre gli investimenti fissi delle imprese sono in lieve rialzo (0,3% t/t), dopo due trimestri di crescita rapida (1,7% t/t e 1,2% t/t).
Anche la spesa pubblica accelera marginalmente da 0,2% t/t a 0,3% t/t.
Il dato definitivo del quarto trimestre sarà quindi cruciale per la previsione di crescita 2019. La crescita annua nel 2018 è pari a 1,5%, inferiore al 2,3% del 2017.

FRANCIA – L’indice di fiducia dei consumatori è rimbalzato a gennaio da 86 a 91.
L’aumento è stato superiore alle attese di consenso e ha riportato l’indice sul livello di novembre scorso e al di sopra della media storica.
Lo spaccato mostra un recupero dei giudizi sulla propria condizione finanziaria e sul proprio tenore di vita dopo il crollo di dicembre, come pure migliorano le attese sulle condizioni future.
In lieve recupero anche la propensione al consumo, ma non ritorna sui livelli di novembre.

STATI UNITI – La fiducia dei consumatori rilevata dal Conference Board a gennaio sorprende verso il basso, scendendo a 120,2 (minimo da luglio 2017) da 126,6 di dicembre (rivisto da 128,1).
La situazione corrente cala solo marginalmente (a 169,6), ancora ben al di sopra dei livelli della prima metà del 2018. Le aspettative invece crollano a 87,3 registrando un minimo da ottobre 2016.
La valutazione del mercato del lavoro resta però ultra-positiva, con un miglioramento del differenziale jobs plentiful-job hard to get a 33,7 di dicembre, indicando un probabile proseguimento del trend verso il basso del tasso di disoccupazione.
Sebbene le prospettive dei consumi restano positive e sostenute dalla continua espansione del mercato del lavoro, le aspettative di inflazione e di reddito sono in calo per il terzo mese consecutivo.
In sintesi, una correzione della fiducia nel 2019 era prevedibile, con la riduzione degli effetti espansivi della riforma tributaria del 2018 e in parte collegata allo shutdown e alla volatilità dei mercati: il peggioramento delle prospettive a sei mesi, accentuatosi a gennaio, è in atto ormai dall’autunno.

 

COMMENTI:

REGNO UNITO – La Camera dei Comuni ha approvato due emendamenti contrastanti alla mozione del Governo su Brexit.
Uno, passato con 8 voti di scarto, dichiara l’opposizione del Parlamento a “che il Regno Unito lasci l’Unione Europea senza un accordo di recesso e un quadro per una futura relazione”. In teoria, perciò, in caso di voto contrario all’accordo, il governo dovrebbe chiedere un’estensione del negoziato (essendo escluso che possa essere revocata la richiesta, con questo governo in carica).
L’altro emendamento approvato “richiede che la salvaguardia per l’Irlanda del Nord sia rimpiazzata con accorgimenti alternativi per evitare un confine fisico”, garantendo in tal caso l’appoggio all’accordo con l’UE. Tale condizione è insensata, perché è noto che l’UE non intende rinegoziare il trattato. Poco dopo il voto, infatti, il portavoce della presidenza UE ha dichiarato che “la salvaguardia è parte dell’accordo di recesso, e l’accordo di recesso non è negoziabile”.
Invece, sarebbe negoziabile la dichiarazione politica sulla relazione futura, “se le intenzioni del Regno Unito sulla relazione futura registrassero un’evoluzione”.
L’UE è anche disposta a considerare un’eventuale e motivata richiesta di rinvio della scadenza del 29 marzo, ma senza pregiudicare il funzionamento delle istituzioni comunitarie.
Tirando le somme, si può prevedere che il Governo britannico dovrà presto tornare in Parlamento per un nuovo giro di votazioni che potrebbe tenersi il 14 febbraio e che rischia di rivelarsi ancora inconcludente per i veti incrociati e le divisioni interne ai maggiori partiti.
In teoria, la posizione dei laburisti (che non negano la Brexit in sé, ma il modello proposto a regime) sarebbe compatibile con l’approvazione del trattato di recesso a condizione di modifiche alla dichiarazione politica sulla relazione a regime – ma percorrere tale strada implicherebbe probabilmente una spaccatura del Partito Conservatore.

USA – Inizia oggi l’incontro di due giorni fra la delegazione cinese guidata dal vice primo ministro Liu He, e quella americana, guidata dall’US Trade Representative Lighthizer e dal ministro del Tesoro Mnuchin.
Alla fine dell’incontro, Liu He dovrebbe essere ricevuto da Trump. La tregua sui dazi scade il 1° marzo e, secondo indiscrezioni di stampa, la delegazione cinese dovrebbe offrire concessioni anche significative per la riduzione del deficit commerciale, con impegno ad ampi acquisti di prodotti USA (soprattutto agricoli, fra cui soia, ma anche energetici). Invece sul fronte più spinoso dei cambiamenti strutturali relativi a tutela della proprietà intellettuale, trasferimento di tecnologia, riforma del trattamento fiscale per le aziende statali cinesi, sembra che la Cina non sia disposta a muoversi molto verso le richieste USA. Secondo Mnuchin non c’è ancora un documento su cui trattare, però c’è spazio per un avvicinamento, invece il segretario del commercio Ross ha detto che le parti sono ancora lontane mille miglia l’una dall’altra. Sui negoziati peseranno anche gli interventi americani contro Huawei.
In assenza di un accordo, alla scadenza del 1° marzo i dazi su 250 mld di dollari di importazioni USA dalla Cina dovrebbero salire dal 10% al 25%, con la minaccia di introdurre nuovi dazi su altri 267 mld di dollari di import.
Anche se si trovasse un compromesso accettabile a tutti, difficilmente gli USA eliminerebbero i dazi introdotti nel 2018. Il mercato ora sconta una soluzione accomodante, che almeno confermi lo status quo. Se ci fosse invece un’escalation sul tema dei dazi, potremmo rivedere tensioni simili a quelle di fine 2018.

 

Volatilità pressoché assente ieri sui mercati valutari: l’indice del dollaro ieri è rimasto stabile in attesa della riunione del FOMC e dell’inizio dei negoziati tra Usa e Cina.
La stima advanced del PIL del quarto trimestre, che il mercato già sconta negativa, non pensiamo peserà troppo sul biglietto verde. Potrebbe invece essere un fattore sorpresa l’uscita di eventuali anticipazioni sull’indagine condotta da Mueller su Trump, la cui istruttoria sarebbe in via di conclusione.

EURUSD è rimasto pressoché invariato ieri, ma sta iniziando ora a reagire all’uscita del dato di PIL e dei consumi francesi e poi a seguire con l’indice ESI e l’inflazione tedesca.
L’impatto complessivo dei dati potrebbe pesare sulla moneta unica, che però vede oggi anche il dollaro in una giornata di potenziale debolezza.

In tutto ciò, la sterlina ha registrato un riassestamento (-0,7%) contro dollaro a 1,3075, mentre contro euro il cedimento è stato più ampio (0,9%), e scambia ora a 0,8740.
Ciò nonostante, il cambio ha ceduto soltanto una minima parte del guadagno realizzato sull’aspettativa di rinvio dell’uscita dall’UE.

Tra le commodity currency, l’AUD si è apprezzato dello 0,6% contro USD dopo l’uscita ieri del dato di inflazione di gennaio più forte delle attese di un decimo all’1,8%.
Il dato è considerato importante alla luce della riunione di RBA della settimana prossima. Scambia ora a 0,7195.

Da monitorare la situazione della SEK, visto che il cambio con l’euro si è assestato ora sopra la media mobile a 200 giorni scambiando intorno a 10,3824.

 

MARKET MOVERs:

AREA EURO – Oggi c’è in calendario una pletora di dati in uscita:

Nell’Area euro, si attende la pubblicazione dell’indice di fiducia economica ESI elaborato dalla Commissione Europea per il mese di gennaio. In generale il livello dell’indice è tornato su livelli correnti, con una crescita del PIL Eurozona appena al di sopra del potenziale. L’indice per l’industria potrebbe migliorare leggermente, mentre nei servizi il morale potrebbe cedere ancora. La fiducia nel commercio al dettaglio e costruzioni dovrebbe invece essere poco mossa. Infine, la seconda lettura dell’indice di fiducia dei consumatori dell’Eurozona dovrebbe confermare una lieve risalita.

In Italia, la fiducia di imprese e famiglie dovrebbe vedere una ripresa a gennaio, sulla scia del rientro delle tensioni finanziarie in merito alla Legge di Bilancio. Sia il morale dei consumatori che l’indice composito di fiducia delle aziende sono visti salire. Tutti i comparti dovrebbero registrare un recupero, con l’eccezione del commercio, soprattutto nel manifatturiero anche sulla scorta dei segnali di moderata ripresa della domanda estera.

In Francia, la spesa per consumi a dicembre è attesa deludere nuovamente. Ad esempio, nel mese le registrazioni di veicoli sono di nuovo tornate a scendere dopo due mesi recupero.

In Germania, ci aspettiamo un forte calo dei prezzi al consumo a gennaio che dovrebbe essere spiegato in parte da una stagionalità negativa per i prezzi interni ma anche dal calo della componente energia. Quindi, l’inflazione è attesa frenare sia sulla misura nazionale sia sull’indice armonizzato.

STATI UNITI – La riunione del FOMC dovrebbe mantenere i tassi invariati fra 2,25% e 2,5% e confermare la volontà di essere pazienti e flessibili. Il tono della conferenza stampa potrebbe però essere molto diverso rispetto a quello di dicembre, nonostante una valutazione dello scenario economico positiva.
Si attende che Powell sottolinei che in assenza di pressioni inflazionistiche, la Fed può permettersi di fare una pausa di assestamento. È possibile però che durante la conferenza stampa, Powell dia nuove informazioni sul programma di riduzione del portafoglio titoli della Fed, sfruttando la fase di pausa sul sentiero dei tassi: l’attuale programma di disinvestimenti prevede una riduzione di 50 mld al mese, per un totale di 600 mld all’anno, vincolato ovviamente dalle scadenze dei titoli, dato che non sono previste vendite attive. In conclusione, se la Fed intende detenere titoli per un ammontare compreso fra 3 e 3,5 tln, il programma dovrebbe essere interrotto e/o modificato dal 2020.
È possibile che alla riunione di gennaio il Comitato cominci quindi a segnalare una discussione attiva del tema, da definire probabilmente entro giugno, quando terminerà il processo di analisi ora in corso degli strumenti di politica monetaria.