Seguci su twitter

Categorie

28 gennaio 2019 – nota economica giornaliera

COMMENTI: STATI UNITIFinisce dopo 35 giorni il periodo di shutdown più prolungato della storia USA.
Il Presidente Trump ha ceduto alle crescenti pressioni legate allo shutdown e venerdì ha firmato un disegno di legge approvato velocemente da Camera e Senato per estendere fino al 15 febbraio le leggi di spesa scadute e riaprire gli uffici federali, senza alcun accordo sul muro. Iniziano ora i negoziati fra i rappresentanti del Congresso per approvare una legge di finanziamento della durata di un anno, alla ricerca di un compromesso sull’immigrazione e sulla sicurezza dei confini.
Il lavoro iniziale sulle misure da includere in un eventuale disegno di legge sarà condotto da un gruppo di 17 membri, 9 democratici e 8 repubblicani.
Trump ha indicato che a suo avviso c’è una probabilità minore del 50% di ottenere un esito positivo e che, senza un accordo, procederà con una dichiarazione di emergenza nazionale e/o con un altro shutdown.
L’esito dei negoziati avrà rilevanza per lo scenario politico del 2019, con implicazioni importanti per due appuntamenti politici: Il 1° marzo termina la sospensione del limite al debito federale, mentre il 1° ottobre scadono le leggi di spesa che finanziano la difesa e l’assistenza.
Per entrambi questi appuntamenti, il clima politico è essenziale. In caso di non convergenza, come per lo shutdown appena concluso, possono far scoppiare conseguenze significative, non solo politiche ma anche economiche.

STATI UNITI – In un articolo di venerdì il WSJ segnala che alla riunione del FOMC di questa settimana potrebbero emergere nuove informazioni sul programma di riduzione del portafoglio titoli della Fed, sfruttando la fase di pausa sul sentiero dei tassi.
L’ultima indagine condotta dalla NY Fed presso le istituzioni finanziarie (Survey of Market Participants) mostra una previsione di 2.900 miliardi di Treasury e 725 mld. di MBS nel portafoglio della Fed nel medio termine (2025), dagli attuali circa 4 mila miliardi (suddivisi in 2.200 mld. di Treasury e 1.631 miliardi di MBS).
L’indagine fra i primary dealers dà risultati simili, con valori marginalmente più elevati: l’attuale programma di disinvestimenti prevede una riduzione di 50 mld al mese, per un totale di 600 mld all’anno, vincolato ovviamente dalle scadenze dei titoli. Il rapporto della NY Fed sulle Open Market Operations del 2017 offre un aggiornamento dei sentieri previsti per il bilancio con tre diversi livelli di riserve e mostra che la riduzione del bilancio dovrebbe concludersi fra il 2020 e il 2022.
Con lo scenario mediano di riserve, il portafoglio smetterebbe di ridursi a metà 2021: la NY Fed proietta un livello minimo di Treasury intorno a 2,7 tln nel 2020, per arrivare a circa 3 tln nel 2025. Invece, con lo scenario di maggiori passività, il minimo del bilancio sarebbe raggiunto nel 1° trimestre 2020.
In conclusione, se la Fed intende detenere titoli per un ammontare compreso fra 3 e 3,5 tln, il programma dovrebbe essere interrotto e/o modificato dal 2020.

 

La settimana si è chiusa che un aumento della volatilità tra i principali cross. L’indice del dollaro ha ceduto piuttosto ampiamente, con movimenti ad ampio raggio, sulla scia di voci dal WSJ che la Fed potrebbe interrompere la riduzione del portafoglio titoli prima del previsto.

Indebolimento del biglietto verde contro euro che è risalito dello 0,9% riportandosi venerdì sopra 1,14.

Il guadagno cumulato dalla sterlina in una settimana è stato del 2,4%, ai livelli odierni di 1,3180 con USD, e poco meno contro euro (1,9%).

 

MARKET MOVERs:

Nell’area euro la dinamica monetaria M3 potrebbe frenare ulteriormente a dicembre, ma ci si aspetta una crescita stabile dei prestiti al settore privato per il terzo mese consecutivo.

Sempre nella zona euro il focus sarà sulle stime di crescita per il 4° trimestre e di inflazione per il mese di gennaio. Ci aspettiamo che il PIL Eurozona sia avanzato allo stesso ritmo dei mesi estivi (0,2% t/t). Anche l’indice di fiducia economica elaborato dalla Commissione UE è atteso scivolare leggermente verso il basso ma ad un livello coerente con una crescita del PIL appena al di sopra del potenziale a inizio 2019.
L’inflazione Eurozona potrebbe frenare a gennaio, per effetto ancora del calo della componente energetica. Tuttavia, dovrebbe trattarsi di una frenata temporanea giustificata dal calo dell’energia e dalla stagionalità: da marzo, l’inflazione è vista risalire ovunque, se si verificherà il rimbalzo atteso del prezzo del greggio.

Nel Regno Unito, si attende martedì 29 il voto del Parlamento sulla mozione del Governo riguardo la strategia per l’uscita dall’UE, e sui vari emendamenti che sono stati presentati al riguardo.
Il Governo intende richiedere un nuovo voto sull’accordo già bocciato dal Parlamento, che però potrebbe avvenire soltanto fra qualche settimana, mentre alcuni degli emendamenti tentano di ostacolare un’eventuale uscita senza accordo qualora l’accordo venisse nuovamente bocciato.

La settimana ha diversi dati negli Stati Uniti, che potrebbero diventare una “valanga” quando verrà annunciata la data di pubblicazione dei dati non usciti nelle scorse settimane, ora che lo shutdown è concluso. Fra i dati di gennaio, l’employment report dovrebbe mostrare un rallentamento della dinamica occupazionale: il tasso di disoccupazione è previsto in calo a 3,8%.
La fiducia dei consumatori dovrebbe assestarsi su livelli inferiori a quelli di dicembre, mentre l’ISM manifatturiero potrebbe stabilizzarsi su livelli coerenti a una crescita a ritmi inferiori rispetto a quelli del 2018 Inoltre, il focus sarà sulla riunione del FOMC, che dovrebbe confermare il nuovo corso di “pazienza e flessibilità”, sancendo un periodo di pausa sul sentiero dei tassi.
Un altro evento rilevante sarà l’incontro del vice-premier cinese Liu He con l’US Trade Representative Lighthizer e il Segretario del Tesoro Mnuchin per i negoziati sul commercio.
Il periodo di tregua sul fronte dei dazi scade il 1° marzo e sui temi più spinosi (proprietà intellettuale, tecnologia) non sono stati fatti passi avanti.