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19 novembre 2018 – nota economica giornaliera

ITALIA – A settembre, il fatturato industriale è rimasto fermo (dopo essere salito di 1,2% m/m ad agosto) e gli ordini all’industria sono calati di -2,9% m/m (dopo il +4,9% precedente). In frenata anche il mercato estero.
Su base annua, gli ordinativi sono calati a -0,9% (da +0,8% precedente), dopo sedici mesi di crescita ininterrotta. A differenza di quello sulle commesse, il dato sul fatturato, corretto per gli effetti di calendario (solo 20 giorni lavorativi contro i 21 di settembre 2017), mostra viceversa una accelerazione a 3,9% (2,9% al netto dell’energia), rispetto al 3,2% del mese precedente.
Il dettaglio settoriale evidenzia che gli unici comparti in crescita sono i mezzi di trasporto e i prodotti chimici, mentre sono in netto calo il fatturato delle attività estrattive e gli ordinativi di computer ed elettronica. Il dato conferma che è in atto un trend di rallentamento per l’attività economica nell’industria, soprattutto sulla scia del minor traino dall’estero.
In sintesi, il commercio estero ancora non sembra dare chiari segnali di ripartenza, e resta un freno per la crescita in virtù di una maggiore dinamicità delle importazioni rispetto alle esportazioni (specie verso i Paesi extra-Ue).
Tuttavia, la performance dovrebbe migliorare sulla scia della normalizzazione del mercato tedesco dell’auto nei mesi finali del 2018.
I dati di settembre sul commercio estero hanno evidenziato un calo dell’export (-2,1% m/m) a fronte di una sostanziale stabilità dell’import (-0,3% m/m).
Le esportazioni risultano in diminuzione su base annua di -2,8%: si tratta di un minimo da oltre due anni. A spiegare la flessione tendenziale dell’export sono i mezzi di trasporto (-13,1%), i macchinari (-3,2%), gli alimentari (-4,3%), i farmaceutici (-5,4%) e gli apparecchi elettrici (-4,8%). Tra i pochi comparti in crescita, computer e ottica (+4,4%).
I mercati che contribuiscono maggiormente al calo delle esportazioni sono Stati Uniti (-8,6%), Turchia (-31%), Russia (-24,7%), Cina (-17,2%) e paesi OPEC (-11,2%).
Le importazioni rallentano ma mantengono comunque un progresso tendenziale (+5,7%).

STATI UNITI – La produzione industriale a ottobre aumenta di 0,1% m/m, dopo lo 0,2% m/m di settembre.
Il manifatturiero registra una variazione di 0,3% m/m, quinto rialzo consecutivo, nonostante una correzione di -2,8% m/m nel comparto auto; al netto di auto e componentistica, la produzione manifatturiera sale di 0,5% m/m, con una forte spinta dai macchinari (+1,2% m/m).
Viceversa, le utility correggono di -0,5% m/m e l’estrattivo registra -0,3% m/m, secondo calo consecutivo. Finora i dati e le indagini hanno indicato solidità del manifatturiero, nonostante il dollaro forte e il rallentamento della crescita globale.
L’espansione nel settore probabilmente proseguirà ma a ritmi in via di rallentamento nei prossimi trimestri.

 

COMMENTI:

BREXIT – Il negoziatore europeo Barnier ha proposto di estendere il periodo di transizione di altri due anni fino a tutto il 2022 per dare modo alle parti di proseguire la negoziazione.
La proposta, che vorrebbe facilitare la transizione, potrebbe però apparire provocatoria ad alcuni esponenti politici inglesi radicali.
Su questo fronte, Theresa May in un’intervista ha scoraggiato un cambio di leadership che “a questo punto dei negoziati non faciliterebbe il processo”.
Membri del Parlamento comunque stanno raccogliendo consensi per un voto di sfiducia (per ora pare ci siano soltanto 25 lettere sulle 48 richieste), anche se pare molto difficile che l’iniziativa possa avere successo.
Esclusa la possibilità di modifiche sostanziali al testo concordato, il vero rischio resta quello della mancata ratifica parlamentare dell’accordo per somma di opposizioni con intenzioni diverse.

BCEDraghi ha tenuto un discorso sul ciclo e prospettive per la dinamica inflazionistica nella zona euro: la Banca Centrale continua ad aspettarsi che la fase di espansione prosegua nei prossimi trimestri, ma il rallentamento è spiegato per lo più da fattori transitori come l’entrata in vigore della nuova normativa comunitaria sui gas di scarico che ha depresso produzione e vendite di auto in particolare in Germania.
Vi sono, però, fattori esterni di più lunga durata: la deriva protezionistica sta avendo un effetto di freno sul commercio mondiale che sembra si stia stabilizzando su tassi di crescita più deboli rispetto al periodo pre-crisi. Al momento vi sono indicazioni che le imprese più aperte agli scambi con l’estero stanno già rivedendo i piani di spesa.
Tuttavia, ha sottolineato Draghi, i rischi per la crescita sono ritenuti ancora bilanciati dal momento che la domanda interna rimane solida.
Il circolo virtuoso tra occupazione, reddito da lavoro e consumi è rimasto intatto: ed anzi la quota dei redditi da lavoro delle famiglie ha toccato un massimo in 10 anni.
La resilienza della dinamica occupazionale è dovuta a una maggiore partecipazione per la fascia 55-74 anni grazie alle riforme sull’età pensionabile.
Vi è quindi una maggior fiducia del Consiglio in un rialzo dei prezzi interni, dal momento che il miglioramento del mercato del lavoro: la dinamica dei salari non dovrebbe essere compromessa ma rimane ancora incerta la tempistica della risposta dell’inflazione ad un futuro aumento dei salari. Draghi non ha mancato di sottolineare che vi sono rischi per la stabilità finanziaria e questi potrebbero derivare dal mancato consolidamento fiscale in Paesi ad alto debito con conseguenti tensioni sui rendimenti dei titoli governativi.
Draghi ha riconosciuto che la politica monetaria continuerà a fornire un ampio stimolo monetario dopo la fine degli acquisti a dicembre, con una forward guidance che è stat definita “state contingent”.
Tuttavia, per Jens Weidmann al momento non ci sono ragioni sufficienti di deviare dal sentiero di normalizzazione della politica monetaria.

Negli Stati Uniti, la Fed ha annunciato che l’anno prossimo si rivedranno “le strategie, gli strumenti e le pratiche di comunicazione” usate per raggiungere i propri obiettivi.
Secondo Powell, con il mercato del lavoro al pieno impiego e l’inflazione intorno al 2%, “ora è un buon momento per fare il punto su come formuliamo, conduciamo e comunichiamo la politica monetaria”.
Il processo di revisione culminerà in una conferenza che si terrà il 4-5 giugno 2019 alla Fed di Chicago e sarà preceduta da eventi pubblici di discussione.
Diversamente dal passato, sotto la guida di Yellen, la Fed aveva sì condotto una rivalutazione nella gestione della politica monetaria, ma questa volta si aggiunge un aspetto nuovo cioè la condivisione pubblica del processo di analisi.
A partire da metà 2019, infatti, gli esponenti della Fed discuteranno pubblicamente e alla fine del processo ci sarà un rapporto che trarrà le conclusioni per la gestione della politica monetaria.

Francia e Germania hanno raggiunto un accordo per proporre un fondo comune fra gli Stati membri, alimentato da entrate tributarie, utilizzato per co-finanziare spesa per investimenti degli Stati e conseguire “un più alto livello di convergenza e competitività nell’Eurozona”.
La proposta dovrebbe essere illustrata ai ministri europei delle finanze oggi. Il fondo sarebbe parte del budget pluriennale dell’UE, il che significa che la sua creazione sarà soggetta all’approvazione di tutti e 27 gli Stati membri, con forti rischi che non possa mai vedere la luce.

In Italia, il Ministero dell’Economia ha pubblicato il rapporto sui fattori rilevanti che influenzano la dinamica del debito pubblico, messo a punto per rispondere ai rilievi della Commissione Ue.
Al momento, è improbabile che tali argomentazioni siano sufficienti ad essere riconosciute come “fattori rilevanti” che consentano una tolleranza verso il mancato rispetto della regola sul debito. L’unico “fattore rilevante” che aveva impedito all’Italia una procedura per debito eccessivo per l’anno in corso era il rispetto “di massima” della regola sull’aggiustamento strutturale.
In presenza di uno scostamento molto ampio sul disavanzo al netto del ciclo e delle una tantum, tutte le altre argomentazioni difficilmente potranno godere di ampia considerazione dalla Commissione Europea nelle prossime settimane. Tuttavia, il governo elenca sette fattori:
1) è in atto una tendenza al rallentamento del ciclo economico, che sarebbe significativamente aggravato da una correzione strutturale pari allo 0,6% del PIL come quella richiesta dall’Europa;
2) l’economia italiana è caratterizzata da un sottoutilizzo delle risorse molto più ampio di quello stimato dalla Commissione: il rapporto stima un output gap di -3,2% quest’anno, con la conseguenza che il deficit strutturale risulterebbe vicino a zero quest’anno (-0,2%): in queste ipotesi anche la regola del debito sarebbe stata rispettata già dall’anno scorso;
3) gli obiettivi della moderata espansione fiscale inclusa nel budget sono favorire l’inclusione sociale e rivitalizzare gli investimenti pubblici e tali target andrebbero nella direzione delle raccomandazioni indirizzate dalla Commissione Europea all’Italia;
4) il programma del governo include numerose riforme (sistema giudiziario, settore pubblico, lotta all’evasione e alla corruzione), che avranno un impatto positivo sul tasso di crescita potenziale e sull’attrattività del Paese per gli investitori esteri;
5) il debito italiano è sostenibile: anche nel caso in cui la crescita non raggiungesse i target governativi, il rapporto debito/PIL calerebbe nella maggior parte degli scenari; gli indicatori S1 (medio termine) e S2 (lungo termine) usati dalla Commissione per monitorare la sostenibilità del debito segnalerebbero per l’Italia un rischio medio (S1) e basso (S2), anche tenendo conto delle proiezioni sulla spesa legata all’età;
6) i rischi sulla finanza pubblica sono limitati dal trend di recente calo della spesa per interessi e dal basso livello delle passività potenziali e garanzie pubbliche;
7) infine, la recente salita di tassi di interesse è gestibile grazie alla composizione caratterizzata da titoli a tasso fisso e a lungo termine; il debito privato è basso, specie delle famiglie; non vi è sopravvalutazione nei prezzi degli asset; le banche sono state ricapitalizzate e stanno riducendo significativamente la loro quota di crediti deteriorati; l’Italia vanta un surplus di partite correnti vicino al 3% del PIL e la sua posizione netta sull’estero è vicina al pareggio.

 

La settimana si è chiusa con livelli di volatilità più alti della norma, con l’indice del dollaro che ha registrato un calo venerdì sulla scia della risalita dell’euro che è ritornato sopra 1,1400.

La sterlina rimarrà in balia del flusso di notizie da oltremanica. Contro dollaro ha recuperato nel fine settimana e scambia ora a 1,2851 mentre contro euro ha invece ceduto (0,8878).

Lo yen è andato moderatamente rafforzandosi contro dollaro scambia ora a 112,78.

 

MARKET MOVERs:

Nei prossimi giorni nella zona euro, il focus sarà sul PMI composito atteso in modesto recupero e coerente con una crescita del PIL euro zona appena al di sopra del potenziale a fine 2018.
Sarà poi il turno dell’indice sulla fiducia presso le imprese in Francia e in Germania la seconda stima del PIL dovrebbe confermarne il calo sul trimestre.
Inoltre, i verbali della riunione BCE potrebbero confermare un maggior grado di fiducia del Consiglio in un ritorno dell’inflazione al target, mentre la Commissione Europea emetterà il parere definitivo sui Budget 2019 dei Paesi membri: Bruxelles dovrebbe confermare che la manovra italiana configura uno scostamento significativo dalle regole.

Per gli Stati Uniti invece la settimana ha pochi dati in uscita, anche per la presenza della festività del Giorno del Ringraziamento.
Le informazioni relative all’edilizia residenziale potrebbero essere positive a partire dalla diffusione dell’indice immobiliare NAHB, mentre gli ordini di beni durevoli a ottobre potrebbero correggere dopo un ampio aumento a settembre.