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16 gennaio 2019 – nota economica giornaliera

GERMANIA – I conti annuali mostrano una crescita media del PIL tedesco di 1,5%. Si tratta di un netto rallentamento rispetto al 2,2% dei due anni precedenti ma ancora un ritmo superiore alla media degli ultimi dieci anni (1,2%).
La stima media annua è coerente con un tasso di crescita del PIL tedesco marginalmente positivo nell’ultimo trimestre 2018, dopo il -0,2% t/t dei mesi estivi.
Lo scorso anno la crescita è stata sostenuta in particolare dagli investimenti fissi (0,6%) e consumi privati (0,5%), anche se in minor misura rispetto ai due anni precedenti nel caso della spesa delle famiglie.
Per la prima volta, nel 2018 la crescita del valore aggiunto nell’industria è stata inferiore rispetto ai servizi.
La dinamica delle retribuzioni è accelerata in media al 4,7% dal 4,5% del 2017.
La Germania sta attraversando una fase di rallentamento dovuta anche a fattori transitori, in particolare l’impatto della nuova normativa EU (sulle auto diesel) su produzione e immatricolazioni.
Anche se il Paese dovesse assestarsi su di un tasso di crescita dell’1,2%, leggermente inferiore al trend, ci sembra assi improbabile che una recessione possa verificarsi. Ricordiamo che tra i paesi avanzati la Germania è l’unica che può far leva sulla politica fiscale: i dati annuali mostrano un netto aumento del surplus di bilancio a 1,7% del PIL dall’1,0% del 2017.

GERMANIA – La seconda stima per il mese di dicembre conferma l’inflazione in calo all’1,7% da 2,2% sulla misura nazionale e da 2,3% su quella armonizzata.

STATI UNITI – Il PPI a dicembre cala di -0,2% m/m (+2,5% a/a): la riduzione dei prezzi a dicembre è infatti guidata dall’energia, ma si registra anche un trend debole nei servizi, con indicazioni di un andamento contenuto di questa componente anche nel CPI nei prossimi mesi.
L’indice core corregge di -0,1% m/m mentre quello al netto di energia, alimentari e commercio è invariato su base mensile (+2,8% a/a). Il comparto dei beni è in calo di -0,4% m/m, con una correzione di -5,4% m/m dell’energia e un aumento di +2,6% m/m degli alimentari.
Se i beni core vedono un rialzo di +0,1% m/m, i servizi hanno prezzi in calo di -0,1% m/m, con il commercio in flessione di -0,3% m/m.

STATI UNITI – L’indice Empire della NY Fed a gennaio corregge a 3,9 (da 11,5 di dicembre), toccando il minimo da maggio 2017.
L’indagine mostra un’espansione dell’attività solo marginalmente positiva a inizio anno. Si indeboliscono gli ordini (da 13,4 a 3,5), gli ordini inevasi (da -5,1 a -7,6), le consegne (da 20,3 a 17,9), gli occupati (da 17,5 a 7,4).
Sul fronte dei prezzi, i prezzi pagati correggono a 35,9 (da 39,7), mentre quelli ricevuti aumentano marginalmente, da 12,8 a 13,1.
Gli indicatori a sei mesi restano in territorio moderatamente espansivo, ma su livelli più contenuti: indice di attività a 17,8, nuovi ordini a 19,5, occupati a 8,5, spesa in conto capitale a 17,9.
L’indagine quindi segnala un ulteriore rallentamento della crescita nella prima parte del 2019, senza però vedere un costante deterioramento, ma piuttosto una moderata ripresa nella parte centrale dell’anno.
Nella fase attuale pesa l’accumularsi di incertezza da diverse fonti (dazi, chiusura degli uffici federali, indebolimento della crescita mondiale).

STATI UNITI – A causa della chiusura degli uffici federali, non saranno pubblicati oggi i dati delle vendite al dettaglio e delle scorte di dicembre, nè dei flussi di capitale di novembre.

 

COMMENTI:

REGNO UNITO – La Camera dei Comuni ha respinto l’accordo per il recesso dall’Unione Europea. La bocciatura è avvenuta con larghissima maggioranza (432 a 202) e ha visto anche numerosi deputati conservatori votare contro la proposta del Governo.
A seguito del voto, il leader del Partito Laburista, Corbyn, ha presentato una mozione di sfiducia contro il governo, che sarà discussa e votata oggi.
Tuttavia, è opinione comune che la mozione sarà respinta, perché né i conservatori, né i nord-irlandesi del DUP vogliono elezioni anticipate.
Entro lunedì 21, il Governo dovrà presentare una nuova proposta, ma soprattutto dovrà verificare se esiste una potenziale maggioranza a favore di qualche soluzione alternativa: uscita senza accordo, nuovo referendum, rinegoziazione dell’accordo su nuove basi, rinuncia alla Brexit.
Quasi tutte le opzioni, eccetto quella di una rischiosa uscita senza accordo il 29 marzo, implicano la necessità di estendere il periodo negoziale, che dovrà probabilmente essere richiesta all’UE nelle prossime settimane.

BCEDraghi nel suo intervento al Parlamento Europeo, per il 20° anniversario della moneta unica, si è soffermato a lungo sull’evoluzione della politica monetaria negli ultimi anni e ha sottolineato che la credibilità della BCE dipende da un mandato ben definito.
Un set di strumenti sia convenzionali che non convenzionali è indispensabile in particolare in tempi di crisi in cui la trasmissione dell’impulso di politica monetaria può incepparsi.
La comunicazione, in particolare in fasi in cui la banca centrale adotta misure straordinarie, è essenziale e diventa parte integrante nel determinare l’orientamento di politica monetaria. Draghi si è anche soffermato sullo stato di salute dell’economia euro zona alla luce dei dati assai deboli delle ultime settimane: il rallentamento non porterà ad una recessione nella zona euro, dati i fondamentali ancora di supporto per investimenti e consumi e la buona tenuta del mercato del lavoro.
Tuttavia, il rallentamento è più marcato delle attese e dura ormai da diversi mesi.
È ragionevole che la BCE riveda al ribasso le stime di crescita 2019-20 che a dicembre erano di espansione del Pil di 1,7%, mentre ci sembra più probabile che la crescita si assesti a 1,4% già quest’anno.
Draghi ha lasciato intendere che la BCE non rivedrà la guidance sui tassi e riacquisti la prossima settimana, dal momento che anche con una crescita più debole delle attese la politica monetaria rimane ampiamente accomodante.

STATI UNITI – La pausa nel sentiero dei rialzi dei tassi è ormai consolidato e diffuso in tutto il FOMC. Kaplan (Dallas Fed) ha detto che vede “un trimestre o due di pazienza”, non soltanto settimane, ribadendo che la Fed ha il lusso di poter attendere e vedere l’evoluzione dello scenario.
La chiusura degli uffici federali aggiunge incertezza e freni alla crescita. George (Kansas City Fed), concorda sul fatto che una pausa nel sentiero dei rialzi dia la possibilità di valutare gli effetti degli interventi del passato e degli sviluppi attuali: i tassi non sono ancora arrivati alla neutralità, anche se sono vicini, ma occorre vedere come l’economia risponde alla rimozione di stimolo, per evitare un eccesso di restrizione.
A suo avviso “è possibile che siano appropriati alcuni altri rialzi, ma questo giudizio non è urgente”.
George ha anche ribadito che è opportuno che il FOMC non dia guidance sui tassi in un contesto di incertezza e di tassi vicini alla neutralità.
La conferenza stampa di Powell a fine mese sarà molto diversa da quella di dicembre e sarà guidata dall’indicazione di flessibilità e pazienza di fronte a una combinazione di incertezza e venti contrari.

 

Ieri la volatilità valutaria si è concentrata particolarmente su EURUSD e GBPUSD e EUGBP, lasciando gli altri cross nella norma: l’indice del dollaro è salito dello 0,4% in particolare a spese della moneta unica.

L’euro ha risentito anche del voto parlamentare britannico (in attesa della pronuncia della Camera dei Comuni), cedendo lo 0,6% per poi recuperare e scambiare ora appena sopra 1,1400.

La sterlina si è apprezzata contro dollaro (+1,3%) fino ad arrivare a 1,2865 livello su cui scambia ora, mentre contro euro è passata da poco sotto 0,9000 a 0,8868 (+1,3%). Non pensiamo tuttavia che gli attuali livelli siano significativi in quanto il mercato ora sta attendendo di capire in che direzione si evolverà lo scenario.

Lo yen ha ceduto lo 0,3% contro dollaro e rimane stabile attorno al livello di 108,60.

 

MARKET MOVERs:

ITALIA – La seconda stima dovrebbe confermare l’inflazione in calo da 1,6% di novembre: le maggiori pressioni al ribasso sono venute dai carburanti. In prospettiva, sembra iniziato un trend al ribasso per il CPI, che potrebbe caratterizzare buona parte del 2019.

STATI UNITI – I prezzi all’import dovrebbero proseguire sul trend in calo causato dal persistente crollo del prezzo del petrolio, mentre i prezzi al netto del petrolio dovrebbero essere invariati.

Sempre negli USA, la Fed pubblica il Beige Book: il rapporto sarà utile per valutare se le imprese restano ottimiste sulle prospettive cicliche, nonostante l’indebolimento dell’economia globale e l’incertezza politica.
Sul fronte del mercato del lavoro si dovrebbe confermare la difficoltà a reperire manodopera e il moderato trend verso l’alto dei salari, a fronte di una correzione dei costi delle materie prime.
Potrebbe infine emergere se ci sono stati effetti dalla chiusura degli uffici federali in atto dal 22 dicembre sull’attività delle imprese.