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15 gennaio 2019 – nota economica giornaliera

EUROZONA – La produzione industriale europea è calata più di quanto non avessero suggerito i deludenti dati nazionali in Germania, Italia, Francia e Spagna. A novembre la produzione si è contratta di -1,7% m/m dopo la semi-stagnazione del mese precedente. Il calo è in larga misura spiegato dal comparto dei beni capitali, ovvero dal segmento auto e componentistica, dove la produzione è crollata del 2,3% m/m.
Ma i cali sono diffusi anche agli altri settori: -1,7% m/m la discesa nei beni durevoli; -1,0% m/m nei beni non durevoli e -1,2% m/m negli intermedi. La debolezza del comparto auto è da ricondursi alle difficoltà di adattare le linee di produzione, in particolare in Germania, alle nuove regolamentazioni sui diesel.
Dovrebbe, quindi, trattarsi di una contrazione temporanea, ma sul comparto industriale peserà nei prossimi mesi il rallentamento del commercio mondiale. Il dato di novembre lascia la produzione in rotta per un calo a fine anno: anche assumendo un rimbalzo a dicembre della produzione, nel quarto trimestre 2018 il contributo della produzione alla formazione del PIL è stato sicuramente negativo.

 

COMMENTI:

REGNO UNITO – Si attende in serata il cosiddetto “voto significativo” della Camera dei Comuni sul Trattato di Recesso concordato dal governo con l’UE. Il voto, inizialmente previsto a dicembre, era poi stato rinviato a causa della forte e trasversale opposizione parlamentare, che rischiava di tradursi in una umiliante sconfitta per il governo May.
Negli ultimi giorni, il Governo è stato sconfitto due volte su emendamenti connessi a Brexit.
Nel secondo di questi, relativo a una mozione d’ordine, il Parlamento ha chiesto al Governo di presentarsi entro tre giorni da un’eventuale bocciatura dell’accordo, con un piano alternativo – la scadenza cadrà il 21 gennaio.
L’unico piano B prospettato dal governo è per ora quello di una managed no-deal Brexit alla scadenza del 29 marzo (che, peraltro, è anche l’unico automaticamente conseguibile).
Altri scenari richiedono che si formino maggioranze parlamentari alternative al momento non evidenti, che il Governo proceda quindi a richiedere all’UE un’ampia estensione del periodo negoziale, che tutti gli altri 27 Stati membri concedano di accordarla e che, successivamente, si negozi un trattato di recesso alternativo (possibile soltanto se implica un legame più stretto con l’UE) oppure che il Regno Unito rinunci ad uscire.

STATI UNITI – Il vice-presidente della Fed, Clarida, ha ribadito il messaggio di pazienza e flessibilità emerso nella comunicazione della banca centrale da inizio anno, e ha detto che le decisioni verranno prese a ogni riunione, guardando al “quadro completo”.
Clarida ha ripetuto che “con l’inflazione contenuta (…) il Comitato può permettersi di essere paziente mentre guarda come si evolvono i dati nel 2019”, rilevando anche che la chiusura parziale degli uffici federali offuscherà in parte le informazioni e la Fed dovrà fare del suo meglio, anche se “i dati del PIL sono davvero essenziali”.

 

Con uno shutdown negli Stati Uniti che non sembra ancora aver trovato una soluzione, l’attesa dei mercati oggi si focalizzerà ovviamente per l’esito del voto in Inghilterra: l’indice del dollaro è comunque rimasto praticamente invariato.

L’euro in marginale risalita (0,2%) scambia ora a 1,1480 nonostante il dato di produzione industriale di ieri peggiore delle attese.

La sterlina è riuscita a mettere a segno un apprezzamento contro USD (+0,4%) risalendo a 1,2890, mentre contro euro è rimasta circa stabile (-0,1%) attorno a 0,8900.
Il mercato, al momento, appare non spaventato dalla sconfitta quasi certa di Theresa May, ma rimane concreto il rischio di pesanti correzioni di GBP sia verso USD sia verso EUR.

Lo yen ha ceduto qualcosa contro USD in una giornata di chiusura della borsa giapponese. USDJPY sale dello 0,4% in area 108,60. Agenda giapponese sempre poco rilevante per il mercato valutario.

 

MARKET MOVERs:

In Germania, la pubblicazione dei conti annuali potrebbe mostrare una crescita del PIL tedesco a 1,5% nel 2018, in rallentamento dal 2,2% del 2017.
I dati annuali forniranno anche indicazioni sulla crescita nel 4° trimestre che rischia di essere solo marginalmente positiva, dato l’andamento deludente della produzione industriale.

In Francia, la seconda lettura dei prezzi al consumo dovrebbe confermare che a dicembre sono rimasti fermi sull’indice nazionale, ma lievemente cresciuti sull’armonizzato.
Di riflesso anche l’inflazione dovrebbe essere confermata in rallentamento; tuttavia in media annua l’inflazione armonizzata dovrebbe essere comunque salita nel 2018 al 2,1% (da 1,2% del 2017), spinta dai rincari di energia, tabacco e beni manufatti.

STATI UNITI – L’indice Empire della NY Fed a gennaio potrebbe registrare un modesto rialzo, dopo l’ampio calo a 10,9 a dicembre.
Il PPI a dicembre è previsto in calo, trainato verso il basso dalla correzione del prezzo del petrolio, ma l’indice al netto di alimentari ed energia dovrebbe invece aumentare seppur di poco, con un rallentamento nei servizi ma un trend stabile a +0,2% m/m.