Seguci su twitter

Categorie

14 gennaio 2019 – nota economica giornaliera

ITALIA – La produzione industriale si è contratta più del previsto a novembre (-1,6% m/m), accompagnato da una revisione verso il basso del dato di ottobre, a -0,1% m/m.
La tendenza annua della produzione, dopo un breve passaggio in positivo a settembre e ottobre, è tornata in territorio negativo a novembre, a -2,6%: si tratta di un minimo degli ultimi quattro anni.
Tuttavia, nel caso dell’Italia un ruolo sembra essere stato giocato dall’incertezza sulle prospettive fiscali e finanziarie del Paese: l’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari potrebbe indurre un effetto meno negativo sull’attività economica all’inizio del nuovo anno, ma l’uscita debole dall’anno scorso peserà inevitabilmente sulla crescita media 2019.
• L’unico tra i raggruppamenti principali di industrie a salvarsi dal calo congiunturale è l’energia, che fa segnare un rimbalzo di +1%, dopo la flessione del mese precedente (da -3% m/m). Il calo è diffuso ai beni di consumo (-0,9% m/m) e durevoli (-1,5%), ai beni strumentali (-1,7% m/m) e a quelli intermedi (-2,4% m/m).
Su base annua, solo i beni di consumo sono in crescita di +0,7%, (grazie ai non durevoli: +1,4%). L’andamento per settore non è incoraggiante. Delle 13 industrie manifatturiere, solo 3 risultano in progresso su base annua: si tratta del comparto alimentare, di quello farmaceutico e delle altre industrie manifatturiere (+2,7%, +1,3% e +1,1% rispettivamente). Per trovare un minor numero di settori in espansione, bisogna tornare indietro al 2012. Viceversa, il settore maggiormente in crisi si conferma quello del legno, carta e stampa (-10,4%). Al di fuori del manifatturiero, in rosso anche attività estrattive e fornitura di energia (-9,7% e -1,7% rispettivamente).
• Sul dato hanno pesato due fattori e cioè:
1) il “ponte” festivo di inizio mese;
2) le condizioni meteo sfavorevoli in buona parte del territorio nazionale. In ogni caso, a meno di un rimbalzo spettacolare nell’ultimo mese dell’anno, la produzione industriale, che già era calata in ciascuno dei primi tre trimestri del 2018, dovrebbe essersi contratta ancora. Anche in caso di crescita di mezzo punto percentuale su base congiunturale a dicembre, l’output risulterebbe in flessione di -0,5% t/t nel 4° trimestre.
• In altri termini, l’industria dovrebbe aver frenato il PIL anche nella parte finale dell’anno, con un contributo di -0,1% t/t. Ciò significa che viene rivista al ribasso la stima sulla crescita congiunturale del PIL nel 4° trimestre, da un intervallo di zero/+0,1% a un range -0,1%/zero: il rischio che l’economia italiana sia entrata nella parte finale del 2018 in una fase di “recessione tecnica” appare elevato.
• È vero che il trend di rallentamento è comune agli altri Paesi dell’eurozona (nello stesso mese, -1,9% m/m in Germania e -1,3% m/m in Francia).

STATI UNITI – Il CPI a dicembre cala di -0,1% m/m (1,9% a/a), con una correzione di -3,5% m/m dell’energia (benzina: -7,4% m/m) e un aumento di 0,4% m/m nel comparto alimentare. L’indice core aumenta di 0,2% m/m (2,2% a/a).
I beni core registrano una variazione di +0,1% m/m, con un andamento generalmente debole: auto nuove e abbigliamento, variazione nulla; auto usate, -0,2% m/m; beni sanitari, -0,2% m/m. I servizi al netto dell’energia aumentano di 0,3% m/m, spinti dall’abitazione (+0,3% m/m) e dalla sanità (+0,4% m/m), mentre i trasporti correggono di -0,2% m/m (principalmente per il calo delle tariffe aeree, -2,4% m/m).
L’andamento dei prezzi dei servizi core mostra qualche segnale di ripresa nel comparto della sanità, che ha un peso maggiore nel deflatore che nel CPI.

CINA – La dinamica del commercio estero è rallentata più delle attese in dicembre, in particolare quella relativa ai beni da assemblare poi destinati alla riesportazione, più marcata rispetto a quella dei beni ordinari.
La crescita delle esportazioni è scesa del 4,4% a/a rispetto a una crescita del 3,9% a/a in novembre (rivista al ribasso da 5,4%), guidata dal rallentamento della domanda globale, visibile soprattutto da parte dei Paesi industrializzati: le esportazioni sono scese in particolare negli USA (-3,5% a/a da +9,8% a/a in novembre) frenate dai dazi e, in Europa, in particolare in Francia (-5,3% a/a) e Spagna (-7,9% a/a).
Anche le importazioni sono scese in termini tendenziali, registrando una diminuzione del 7,6% a/a rispetto a una crescita del 2,9% a/a in novembre, trainate dal netto calo delle importazioni dagli USA (-35,8% a/a), per il secondo mese consecutivo a due cifre, ma anche dal Giappone, dall’area ASEAN e, in misura minore, dall’Area Euro.
Il calo delle importazioni è in linea con il rallentamento degli ordini interni emerso dagli indici PMI di dicembre, che ora si somma a quello degli ordini internazionali. Le prospettive del commercio estero restano di rallentamento nei prossimi mesi.

 

COMMENTI:

ITALIADBRS ha confermato i ratingBBB (high) /R-1 (low)” del debito italiano, con trend stabile. Ricordiamo che il rating DBRS è il più favorevole per l’Italia tra quelli delle quattro principali agenzie.
La conferma del rating e del trend stabile riflette due elementi positivi:
• la revisione dei target fiscali, che ha consentito di evitare la procedura di infrazione europea e ha abbassato sia pur moderatamente il costo del debito;
• i progressi del settore bancario nel processo di riduzione dello stock di crediti deteriorati. A giudizio di DBRS, l’incertezza delle politiche economiche resta elevata:
• si sottolinea, come principale elemento di criticità, l’insufficiente attenzione del governo ai problemi strutturali, in un contesto di rallentamento del ciclo;
• un giudizio più accurato sull’azione dell’esecutivo è rimandato ai prossimi mesi, quando si vedrà se il governo confermerà la maggiore attenzione alla disciplina fiscale, prevedendo una revisione della spesa, e disporrà misure adeguate per creazione di lavoro e il rilancio degli investimenti;
• DBRS considera elevata la probabilità di cambiamenti nella compagine di governo o elezioni anticipate, ma tali eventi a giudizio dell’agenzia potrebbero avere ripercussioni positive se inducessero uno spostamento dell’agenda governativa verso una maggiore moderazione. Il rating DBRS potrebbe essere migliorato in caso di:
• riforme che supportino le prospettive di crescita economica a medio termine;
• consolidamento fiscale che migliori significativamente la traiettoria del rapporto debito/PIL. Viceversa, il rating potrebbe essere abbassato in caso di:
• una significativa revisione al ribasso delle prospettive di crescita, che causi un aumento del rapporto debito/PIL;
ulteriori misure di allentamento fiscale, eventualmente combinate con un aumento significativo della spesa per interessi, che portino a un aumento del rapporto debito/PIL;
nessuna evidenza nel tempo di significative riforme a supporto della crescita.
I prossimi pronunciamenti sono quelli di Fitch il 22 febbraio (rating BBB, outlook negativo), Moody’s il 15 marzo (rating Baa3, outlook stabile) e S&P il 26 aprile (rating BBB, outlook negativo).

REGNO UNITO – Secondo il quotidiano The Guardian, nell’eventualità di bocciatura dell’accordo al voto parlamentare di domani, l’UE sarebbe disponibile a concedere un’estensione tecnica del periodo negoziale fino al mese di luglio, o meglio fino all’insediamento del nuovo parlamento europeo, e potrebbe considerare un’estensione più ampia in caso di elezioni anticipate o di nuovo referendum.

STATI UNITI – La chiusura parziale degli uffici federali entra oggi nel 24° giorno ed è ormai la più lunga della storia.
Il Presidente continua a non fare alcuna apertura per una possibile soluzione dello shutdown.
Gli effetti sono stimati dal Council of Economic Advisers in -0.1% di PIL ogni due settimane.
Oltre alle conseguenze sulla spesa dei dipendenti federali senza stipendio (circa 800 mila) e quelli delle società con contratti con il governo federale ci sarebbero anche altre ricadute indirette per esempio sull’approvazione di prestiti e di nuovi farmaci, ovvero sull’attività del commercio nelle aree ad alta concentrazione di dipendenti federali.
Gli effetti sulla crescita trimestrale dovrebbero però essere in gran parte compensati nel trimestre successivo, dato che il Congresso ha già predisposto un disegno di legge che prevede il pagamento degli stipendi a tutti i dipendenti, sia quelli in congedo sia quelli precettati.
Se la chiusura finirà questa settimana, si potrebbe concludere con un freno di -0,1 punti percentuali sul Q4 e di -0,2/-0,3 sul Q1-2019.
In questo caso la crescita 2019 resterebbe 2,5%. Tuttavia, con un ulteriore prolungamento ed effetti più ampi, la crescita di Q1 potrebbe essere ridotta di 0,4-0,5 pp e quella annua di 0,1 pp.
Ovviamente, l’estensione di questa chiusura record aumenta l’incertezza e la polarizzazione politica, con rischi crescenti per la prossima battaglia relativa al limite del debito in arrivo nella primavera.

 

La settimana si è chiusa con livelli di volatilità nella norma per i mercati valutari e l’indice del dollaro è rimasto positivamente intonato (+0,3%) grazie anche all’effetto calmante del FOMC sui mercati, che ora si aspettano solo un rialzo nel 2019.

Euro cede lo 0,5% contro il biglietto verde e apre la settimana scambiando a 1,1463, indebolito dalle prospettive poco entusiasmanti per il manifatturiero.

L’attenzione dei mercati questa settimana sarà inevitabilmente concentrata sul Regno Unito, dove la sterlina apre la settimana in apprezzamento dello 0,8% su USD a 1,2830 e di ben l’1,3% contro EUR a 0,8930. Data l’estrema incertezza della direzione che prenderà la saga Brexit questa settimana, ci aspettiamo forte volatilità sulla sterlina nei prossimi giorni.

Lo yen è in rafforzamento (+0,4%) dopo l’uscita dei dati negativi sul commercio estero cinese mentre sul fronte interno lo scenario rimane stabile.

 

MARKET MOVERs:

Nell’area euro l’unico dato del giorno sarà la produzione industriale, sulla scia della contrazione registrata in Germania, Francia, Italia e Spagna.

Nel Regno Unito, il focus della settimana sarà certamente sull’esito del voto del 15 gennaio alla Camera dei Comuni sul Trattato di Recesso.

La settimana ha invece molti dati in uscita negli Stati Uniti: le prime indagini del manifatturiero, la fiducia dei consumatori (che potrebbe flettere anche sulla scia della chiusura degli uffici federali), e i dati di dicembre sulle vendite al dettaglio, produzione industriale e cantieri residenziali.
Sul fronte dei prezzi di dicembre, si dovrebbe vedere una correzione di PPI e prezzi all’import. Inoltre, il Beige Book dovrebbe ancora mostrare uno scenario positivo.
Infine, sul fronte del commercio internazionale proseguiranno in settimana i negoziati tra USA e Cina.

In Giappone i mercati sono chiusi per festa nazionale dei maggiorenni (Seijin No Hi).