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12 dicembre 2018 – nota economica giornaliera

GERMANIA – Moderate buone nuove dall’indice ZEW sulle aspettative per i prossimi mesi che ha recuperato terreno dopo i continui cali precedenti. L’indice è infatti risalito a -17,5 da un precedente -24,1, in linea con le attese, ma meglio delle previsioni di consenso.
La valutazione sulla situazione corrente, invece, continua a peggiorare (da 58,2 a 45,3), raggiungendo il livello più basso dal 2015. L’indice ZEW sembra suggerire che l’economia tedesca stia perdendo ancora velocità tra metà novembre e i primi di dicembre, ma indica come probabile un recupero nei prossimi mesi.
Ma è possibile che bisognerà attendere i primi mesi del 2019 per un recupero più deciso.
Tuttavia, la crescita del PIL tedesco potrebbe essere già tornata al potenziale, confermando le previsioni di crescita del PIL tedesco all’1,6% quest’anno e all’1,4% l’anno prossimo.
L’andamento dell’indice ZEW suggerisce una lettura stabile anche per l’indice IFO (in uscita il prossimo 18 dicembre).

 

COMMENTI:

FRANCIA – Le misure proposte dal Presidente francese Macron per tacitare le proteste potrebbero appesantire il disavanzo pubblico francese di 10-12 miliardi, portandolo al 3,4% del PIL.
Il ministro delle finanze prevede di compensare parzialmente l’impatto mediante risparmi per 3-4 miliardi di euro.

REGNO UNITO – Il Governo non intenderebbe riproporre il voto sull’accordo con l’UE in tempi stretti, e per ora ha confermato soltanto che avrà luogo entro il 21 gennaio 2019. Prima di questa scadenza, si proverà a rinegoziare i contenuti e a ottenere qualche modifica alla dichiarazione politica sulla relazione a regime.
La strategia, dunque, rimarrebbe quella di mettere il parlamento di fronte all’alternativa fra accettare l’accordo e ritrovarsi con un’uscita senza la copertura di alcun trattato, e con il ripristino di controlli doganali.

STATI UNITI – La prima conversazione, avvenuta lunedì sera, fra il segretario del Tesoro Mnuchin, il rappresentante del commercio Lighthizer e il vice primo ministro cinese Liu He sembra aver dato luogo a qualche prima concessione da parte della Cina.
Secondo fonti informate, Liu He avrebbe detto che verranno ridotti i dazi sulle auto importate dagli USA, dal 40% al 15% e aumentati gli acquisti di prodotti agricoli, fra cui la soia. I dazi sulle auto si riallineano così al livello applicato agli altri paesi.
A giugno la Cina aveva ridotto in modo generalizzato i dazi sulle auto al 15%, ma alzato quelli sulle auto importate dagli USA al 40%, in risposta ai dazi attuati dagli Stati Uniti sull’import cinese.
Per quanto riguarda gli acquisti di soia, l’aumento dei dazi cinesi sui prodotti agricoli americani, imposto sempre in risposta alle misure USA, sta danneggiando pesantemente gli agricoltori americani e favorendo i produttori di altri paesi, in particolare il Brasile.
Questo inizio delle trattative in sostanza eliminerebbe una piccola parte dei dazi introdotti dalla Cina, probabilmente in cambio di una moratoria sul possibile rialzo dei dazi dal 10% al 25% su 200 mld di importazioni dalla Cina minacciati dall’amministrazione Trump.
Non è chiaro quale sentiero prenderanno i negoziati sia sugli altri dazi, sia sulle questioni legate alla protezione della proprietà intellettuale e al trasferimento di tecnologia imposto alle imprese che operano in Cina.
La scadenza del 1° marzo è molto ravvicinata per ottenere risultati concreti su tutti i temi aperti, ma non è escluso che, nonostante la linea dura del rappresentante statunitense, ci possa essere un’estensione. Sembra che si stia programmando un incontro di Liu He a Washington a inizio 2019.

STATI UNITI – La scadenza di alcune leggi di spesa, originariamente datata all’8 dicembre, era stata rinviata al 21 dicembre per dare tempo al Congresso di trovare una soluzione alla questione spinosa del finanziamento del muro con il Messico.
Ieri uno scontro aperto fra i leader democratici in Congresso e Trump si è concluso con minacce da parte del Presidente di chiusura degli uffici federali se non verranno approvati i 5 mld di dollari richiesti per la costruzione della barriera al confine con il Messico.
Trump ha detto che sarà “orgoglioso” di imporre il veto su una legge di spesa che non soddisfi i suoi requisiti.
Repubblicani e democratici in Congresso avrebbero già trovato un accordo, che rinnovi la legge esistente per un anno.
Il rialzo dei toni della polemica da parte di Trump danneggia la posizione repubblicana più conciliante e porterebbe ad attribuire ai repubblicani la responsabilità di un’eventuale chiusura degli uffici federali.
Pertanto, è probabile che i repubblicani in Congresso aumentino gli sforzi di mediazione. Per ora la probabilità di uno shutdown il 21 dicembre rimane, a nostro avviso, limitata.

 

I mercati azionari sono tornati positivi e l’indice del dollaro ha tratto vantaggio (+0,5%) ieri dall’esito dei primi colloqui commerciali tra USA e Cina, che sembra aver dato luogo a qualche prima concessione da parte della Repubblica Popolare.

Contro euro il biglietto verde ha tentato un nuovo affondo (+0,6%) ritornando sul livello di 1,1322 anche in attesa dei dati americani di inflazione di oggi. Anche l’aumento dello spread ai massimi da 18 mesi tra titoli francesi e tedeschi in seguito alle concessioni di Macron ai “gilet gialli” ha pesato sulla moneta unica.

Sterlina sotto pressione, a 1,25 contro dollaro e 0,905 contro euro. La sterlina è ritornata sotto pressione riportandosi sui minimi di lunedì contro dollaro dopo che è stato dichiarato che il governo non intenderebbe riproporre il voto sull’accordo con l’UE in tempi stretti.

Anche lo yen flette contro dollaro cedendo lo 0,4% in un movimento omogeno ieri che riporta il cross all’interno del trading range a 113,60.

La SEK ha recuperato lo 0,4% contro euro in attesa oggi del dato svedese sull’inflazione di novembre. La corona svedese scambia ora circa in linea alla media mobile a 20gg.

 

MARKET MOVERs:

AREA EURO – La produzione industriale a ottobre è attesa recuperare grazie ai contributi positivi che dovrebbero venire da Germania e Francia. Anche la crescita degli occupati nei mesi estivi dovrebbe essere stata positiva: le indicazioni dalle indagini sono di tenuta nella creazione di posti lavoro anche a fine 2018, con la dinamica occupazionale attentamente monitorata dal Consiglio BCE.

Negli USA, Il CPI (consumer price index) a novembre dovrebbe mantenersi in lieve aumento, con un contributo negativo dell’energia dovuto alla benzina, ma limitato da spinte positive dal gas naturale e dagli alimentari.
Anche l’indice core dovrebbe essere in leggero rialzo, come a ottobre, con un rallentamento della dinamica di abbigliamento, auto usate e tariffe aeree e una stabilizzazione di sanità e abitazione sui trend recenti.
La tendenza dell’inflazione resta contenuta, senza pressioni verso l’alto nonostante l’output gap in aumento, e spinte verso il basso dovute al calo del prezzo della benzina.
Il crollo del prezzo del petrolio impatterà direttamente sull’indice di novembre e dicembre e avrà effetti indiretti (e transitori) sull’indice nei prossimi trimestri, aumentando l’incertezza della relazione fra risorse inutilizzate e prezzi al consumo.