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10 gennaio 2019 – nota economica giornaliera

ITALIA – La disoccupazione è tornata a calare a novembre, dopo due mesi di aumento. Il tasso dei senza-lavoro è sceso a 10,5% (era 10,6% a ottobre).
Il tasso di disoccupazione giovanile è invece calato più dell’indice generale, da 32,2% a 31,6%. Dal 2011, e solo lo scorso luglio, era stato toccato un valore (lievemente) più basso (31,5%).
Nel mese l’occupazione è risultata poco variata (-4 mila unità dopo le +14 mila di ottobre), ma il calo della disoccupazione è dovuto principalmente all’aumento degli inattivi, in salita di +26 mila unità dopo i cali di settembre e ottobre. I dati quindi non cambiano di molto il quadro: la disoccupazione è scesa per via dell’aumento delle persone con età e caratteristiche sufficienti per svolgere un impiego ma che non cercano lavoro attivamente (ma nei mesi precedenti era accaduto esattamente il contrario).
La notizia positiva è però il “travaso” di occupazione dai contratti temporanei a quelli permanenti: un ruolo potrebbe essere stato giocato dal Decreto “Dignità, che proprio a novembre è entrato in vigore in tutti i suoi aspetti.
Per il secondo mese, infatti, si registra un aumento degli occupati dipendenti permanenti (+15 mila unità dopo le +53 mila del mese precedente) a fronte di un calo dei dipendenti temporanei (-22 mila unità, circa in linea con il mese precedente).
Poco variati gli autonomi (+4 mila unità, dopo il calo di -16 mila registrato a ottobre).
Lo spaccato per sesso mostra che l’aumento dell’occupazione interessa gli uomini, quello dell’inattività le donne.
Il dettaglio per età evidenzia che la creazione di posti di lavoro è confinata ai 24-35enni, mentre l’aumento dell’inattività riguarda le classi estreme (+16 mila unità sotto i 24 anni e +32 mila unità tra i 50 e i 64 anni). Su base annua, però, l’occupazione ha perso velocità, a +99 mila unità (+0,4% a/a), mostrando ormai da diversi mesi una minor vivacità: l’attuale debolezza del ciclo economico (entrato in una fase di sostanziale stagnazione), potrebbe indurre un cambiamento in peggio delle condizioni sul mercato del lavoro.
D’altra parte, le recenti indagini di fiducia hanno segnalato che le aspettative sui livelli occupazionali da parte delle imprese e soprattutto delle famiglie sono diventate meno ottimistiche negli ultimi mesi.

AREA EURO – La disoccupazione è tornata sui minimi da ottobre 2008, il mercato del lavoro non è lontano dal pieno impiego. Il tasso di disoccupazione giovanile rimane, tuttavia, su livelli ben più elevati nella media area euro (16,1%) ma pur sempre in calo dal 17,8% di un anno fa.
La forte crescita degli ultimi due anni continua a generare un aumento solido degli occupati nella media euro zona.
Il tasso di disoccupazione a novembre è a 7,9%: si tratta del livello più basso da ottobre 2008. Secondo le stime OCSE, il NAIRU nella zona euro è intorno all’8,0%. Il mercato del lavoro sarebbe, quindi, tornato circa al pieno impiego. Il miglioramento in essere del mercato del lavoro dovrebbe contribuire a sostenere la dinamica di salari e prezzi interni.

FRANCIA – La produzione industriale a novembre è crollata di -1,3% m/m dopo il +1,3% m/m del mese precedente. La produzione è ora in rotta per un deciso calo di -0,7% t/t nell’ultimo trimestre del 2018, che cancella così l’aumento di 0,7% t/t del trimestre estivo.

FRANCIA – L’indice INSEE di fiducia delle famiglie delude nuovamente e segna un nuovo calo a dicembre da 91 a 87, un minimo da ottobre 2014. Le proteste dei gilet gialli hanno minato il morale dei consumatori accentuandone la flessione tra novembre e dicembre, ma un riassestamento del livello era già corso dalla fine dell’estate.
Lo spaccato mostra ancora una volta un peggioramento dei sotto-indici abbastanza omogeneo, con una brusca frenata della propensione ai consumi nel mese, cosa che non lascia ben sperare per l’andamento della spesa delle famiglie in chiusura d’anno.
Il livello medio dell’indice nel 2018 è sceso a 97 da 102 del 2017, al di sotto della media storica.

STATI UNITI – Un’analisi della NY Fed stima un effetto dell’aumento dei dazi sull’inflazione al consumo di circa 0,3 pp. Secondo il lavoro di Amiti et al., i dazi sono più che raddoppiati, passando da una media di 1,6% nel 2017 a una media di 3,3% ora.
Per adesso è impossibile valutare la persistenza degli effetti stimati, vista la brevità del periodo in cui sono stati in vigore i nuovi livelli di dazi.
Anche un nuovo lavoro della San Francisco Fed tocca il tema del commercio internazionale e conclude che rialzi dei dazi abbiano effetti negativi sulla crescita e positivi sull’inflazione.

CINA – L’inflazione dei prezzi al consumo è scesa ulteriormente da 2,2% a 1,9% a/a, trainata al ribasso dal calo dei prezzi nel comparto dei trasporti e comunicazioni (-1,9% m/m e -0,7% a/a) su cui ha inciso il calo del prezzo del petrolio.
La dinamica dei prezzi degli alimentari è rimasta stabile a 2,5% a/a così come quella dell’inflazione al netto di alimentari e carburanti (1,8% a/a).
L’inflazione dei prezzi alla produzione è scesa sui minimi degli ultimi due anni da 2,7% a/a a 0,9% a/a in novembre, guidata da un netto rallentamento dei prezzi delle materie prime industriali e dei beni del settore manifatturiero ma anche da un effetto base molto favorevole.
La dinamica inflativa rimane quindi contenuta e non pone freni ad un ulteriore allentamento delle condizioni monetarie nel corso dell’anno.

 

COMMENTI:

Nel Regno Unito, nuova sconfitta del Governo nel dibattito parlamentare su Brexit.
Un emendamento a una mozione d’ordine, accolto a sorpresa dal presidente del Parlamento e poi approvato dall’assemblea con 308 voti a 297, ha imposto al Governo di presentarsi al Parlamento entro 3 giorni dal voto negativo sull’accordo con l’UE per illustrare il suo piano alternativo.
Il Withdrawal Bill prevede un termine di 21 giorni. La sconfitta ha visto diversi deputati conservatori votare contro il Governo.
La decisione, sebbene a rigore non legalmente vincolante per il governo, rende più difficile uno scivolamento passivo verso una no-deal Brexit: difficilmente il governo può ignorare la mozione. Resta il problema che non c’è una maggioranza a favore di una specifica alternativa e che comunque richiederebbe come minimo la concessione di una significativa estensione del periodo negoziale da parte dell’UE.
Intanto, il voto del Parlamento sull’accordo è stato confermato per il 15 gennaio.

STATI UNITI – Nei verbali della riunione del FOMC di dicembre si legge che già a metà dicembre i timori sulla crescita mondiale e sui dazi, insieme alla volatilità dei mercati avevano reso “l’entità e i tempi di ulteriori rialzi meno chiari che in precedenza”.
I verbali riportano che proprio queste preoccupazioni avevano indotto il Comitato a modificare il testo del comunicato cercando di evidenziare l’aumento di incertezza e la possibilità che non ci fosse nel 2019 una cadenza di interventi trimestrali come nel 2018. Infatti, “molti” partecipanti ritenevano che, con l’inflazione sempre bassa, “il comitato potesse permettersi di essere paziente riguardo a ulteriore restrizione”.
In generale, i verbali mostrano un consenso nel FOMC per una pausa di qualche riunione nel sentiero dei rialzi. Powell aveva fatto riferimento alla pazienza nella conferenza stampa, ma il messaggio era decisamente meno centrale rispetto al resto della comunicazione.
Infine, sul bilancio i verbali riportano il proseguimento della discussione e sottolineano che la riduzione del portafoglio non dove essere uno strumento di policy. Per ora il consenso è per la prosecuzione del calo dei reinvestimenti di Treasury, anche se si è discussa la possibilità di considerare la vendita di MBS una volta che il livello dei titoli governativi sia arrivato alla soglia desiderata.
Tutti i recenti interventi dei partecipanti al FOMC per ora hanno sottolineato che è opportuno essere pazienti e attendere prima di muovere ancora i tassi, con diversi esponenti che comunque mantengono una previsione di qualche ulteriore rialzo.
Bullard, da tempo dell’opinione che i tassi non dovrebbero più salire, ha ribadito che ulteriori rialzi potrebbero portare l’economia in recessione. Secondo Bullard l’economia è solida e il livello dei tassi è appropriato, anzi Bullard ha detto che sarebbe pronto a tagliare i tassi in caso di rallentamento inatteso di crescita e/o inflazione.
Rosengren ha detto che al momento ci sono due possibili scenari, piuttosto diversi fra loro: “rallentamento economico implicito nei mercati finanziari o crescita un po’ al di sopra della crescita del PIL potenziale, coerente con le previsioni economiche”. Secondo Rosengren si può “aspettare per maggiore chiarezza prima di aggiustare la politica” attuale e pertanto si “possono osservare pazientemente gli sviluppi economici futuri”. Rosengren era uno dei partecipanti al FOMC più preoccupati dei rischi di tassi bassi troppo a lungo, ma ora mantiene una sua visione positiva di crescita moderatamente sopra il potenziale, ritenendo che i mercati stiano eccedendo in pessimismo.
Evans, recentemente in favore di rialzi dei tassi, ha detto che, con l’inflazione senza pressioni verso l’alto, a suo avviso la Fedha una buona capacità di aspettare a valutare attentamente i dati in arrivo e gli altri sviluppi” prima di modificare la politica monetaria. Evans ha sottolineato che si sono accumulati sia fattori di rischio verso il basso, fra cui crescita mondiale, politica commerciale e possibile restrizione fiscale, sia anche rischi verso l’alto: se la crescita prosegue e i rischi verso il basso si dissipano, allora Evans favorirebbe altri rialzi con un punto di arrivo marginalmente al di sopra della neutralità.

 

In questo contesto di accentuata prudenza dei banchieri centrali americani rispetto al panorama di fine anno, l’indice del dollaro sta continuando il suo ritracciamento (-0,7%).

Ne approfitta soprattutto l’euro che ha messo a segno un altro +0,8% ieri (e quasi +2% in una settimana) e scambia ora a 1,1554.
Sarà ora da valutare con attenzione la reazione del mercato ai verbali della BCE: ma il maggiore rischio è il posizionamento del mercato: la chiusura del lungo speculativo di dollaro potrebbe infatti anticipare il rialzo del cambio EUR/USD, malgrado la maggiore debolezza dell’economia europea.

La sterlina ha reagito in modo incerto alla seconda sconfitta in due giorni del Governo nel dibattito parlamentare su Brexit rafforzandosi parzialmente contro dollaro ma cedendo ancora contro euro a 0,9050 in uno scenario che il mercato interpreta ora come più favorevole alla moneta unica che a GBP.

Anche lo yen si rafforza contro il biglietto verde, portandosi a 107,88 (+1,0%).

Tra le commodity currency, il CAD attendeva le decisioni di politica monetaria della BoC che ieri ha mantenuto fermi i tassi. Il Governatore Poloz ha indicato che ulteriori rialzi sono in programma nonostante il prezzo del petrolio e che l’economia canadese è attesa marciare a pieno ritmo.

 

MARKET MOVERs:

BCE – In pubblicazione i verbali della riunione del 13 dicembre, che offriranno maggiori indicazioni sulle posizioni interne al Consiglio sullo scenario macro e sui rischi per la crescita nonché su eventuali aperture per altre operazioni di rifinanziamento a più lungo termine.

Agenda non troppo rilevante negli USA, con in uscita i dati sulle richieste di sussidio (attese in calo).