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07 gennaio 2019 – nota economica giornaliera

GERMANIA – Il livello degli ordinativi è tornato sui numeri di inizio 2017, ma le vendite al dettaglio sono salite di 1,4% m/m a novembre, mentre su base tendenziale registrano solo un +1,1% a/a. In particolare, gli ordini all’industria sono calati di -1,0% m/m a novembre dopo il marginale aumento di ottobre. Il calo di novembre è dovuto agli ordini esteri (-3,2% m/m), mentre gli ordini domestici sono cresciuti di 2,4%.

ITALIA – L’inflazione è calata sensibilmente a dicembre, a 1,1% a/a (1,2% secondo l’indice armonizzato), da 1,6% di novembre.
Nel mese i prezzi sono scesi di un decimo su entrambi gli indici.
Le maggiori pressioni al ribasso sono venute dai trasporti (-0,9% m/m), in quanto il deciso calo dei carburanti ha più che compensato i rincari stagionali dei servizi di trasporto.
Anche le bevande alcooliche e tabacchi hanno fatto segnare decisi ribassi (-0,6% m/m), dovuti soprattutto ai vini, e la discesa dei prezzi dei servizi ricettivi e di ristorazione (-0,4% m/m), nonostante la stagionalità di dicembre.
Viceversa, rincari significativi sono stati registrati (in misura superiore alla stagionalità del mese) dalle spese per ricreazione, spettacoli e cultura (+1,6% m/m, dopo il calo dei tre mesi precedenti).
Dicembre ha anche registrato un ulteriore rallentamento dell’inflazione sui beni a più alta frequenza di acquisto (da 1,9% a 1,3% a/a), nonché sul cosiddetto “carrello della spesa” (beni alimentari, per la cura della casa e della persona: da 0,9% a 0,8% a/a).
Per via dell’effetto statistico nel confronto con l’anno scorso, tale trend potrebbe caratterizzare almeno la prima metà del 2019, dovuto principalmente a componenti esogene (l’energia), ma con pochi segnali di risalita anche della componente core.
Si stima che entrambi gli indici possano registrare in media nel 2019 una variazione marginalmente inferiore a quella vista lo scorso anno.

FRANCIA – Secondo la stima flash, l’inflazione a dicembre ha rallentato di tre decimi all’1,6% da 1,9% sull’indice nazionale (esattamente come il dato rilevato per tutta l’eurozona) e all’1,9% da 2,2% su quello armonizzato: il contributo della componente energetica ha pesato sulla frenata di dicembre. Rispetto al mese precedente, i prezzi al consumo sono però rimasti stabili sulla misura nazionale mentre sono addirittura aumentati di un decimo su quella armonizzata. In media annua l’inflazione francese si è attestata all’1,9% nel 2018 da 1,0% del 2017. Per il 2019 la previsione è di un rallentamento all’1,2%.

AREA EURO – La seconda stima rivede il PMI composito al ribasso a 51,1 da un precedente 51,3. Si tratta del minimo da novembre 2014.
In media nel 4° trimestre, il PMI composito è calato a 52,3 da 54,3 e indica un ulteriore rallentamento della crescita. La revisione del PMI a dicembre è spiegata da una lettura più debole sia per l’indice composito tedesco che per quello francese.
Gli analisti sperano che il rallentamento di fine 2018 sia dovuto per lo più ai servizi francesi, in quanto il calo del PMI composito riflette in larga misura proprio la flessione dell’indice per i servizi, che nell’eurozona è sceso a 51,2 da 53,4; a preoccupare è però la frenata del PMI tedesco nei servizi da 53,3 a 51,8 dal momento che non vi dovrebbero essere stati fattori inusuali come in Francia, dove l’indice PMI servizi è crollato da 55,1 a 49 molto probabilmente per effetto delle proteste dei “giubbotti gialli.
In Italia, il PMI dei servizi è migliorato di due decimi a 50,5 da 50,3, mentre in Spagna, il PMI servizi è rimasto stabile a 54.

AREA EURO – L’inflazione è calata più del previsto a dicembre all’1,6% da un precedente 1,9%. Il calo è in gran parte dovuto all’andamento del prezzo del petrolio che ha depresso l’indice energia del 3,2% m/m. Il calo dei prezzi dell’energia continuerà anche a inizio 2019, dal momento che il prezzo del greggio stenta a risalire dai minimi recenti. L’inflazione core è rimasta invariata all’1,1% rispetto sulla misura preferita dalla BCE e all’1,0% sull’indice al netto di alimentari, energia e tabacchi. Anche l’inflazione nei servizi e nei beni non energetici è rimasta invariata a dicembre.

STATI UNITI – L’employment report a dicembre supera anche le attese più ottimistiche su tutti i fronti. Gli occupati non agricoli aumentano di 312 mila (media 3 mesi: +254 mila), di cui 11 mila nel settore pubblico.
La crescita dell’occupazione è diffusa e solida in tutti i settori: manifatturiero +32 mila, costruzioni +38 mila, servizi privati +227 mila (commercio al dettaglio +23 mila, servizi alle imprese +43 mila, istruzione e sanità +82 mila, ricreazione e ospitalità +55 mila).
Il tasso di partecipazione sale a 63,1%, ma il tasso di disoccupazione cresce a 3,9%: questo incremento è da vedere in modo positivo, dato che è il risultato di un aumento della forza lavoro (occupati, inattivi e disoccupati) in rialzo di 419 mila. È positivo che la forza lavoro in media sia stabile o aumenti, cosi da ridurre ulteriormente le risorse inutilizzate e aumentando la diffusione dell’occupazione a fasce di individui finora scoraggiati o solo marginalmente attaccati alla forza lavoro.
I salari orari accelerano, con una variazione di 0,4% m/m (3,2% a/a), e le ore lavorate sono in aumento, segnalando una dinamica positiva della produzione industriale a fine 2018. I dati sono omogeneamente forti e indicano ancora forte espansione dell’attività, nonostante i segnali deboli dell’ISM di dicembre. Le informazioni dell’employment report sono ancora coerenti con uno o due rialzi dei tassi nel 2019, al contrario di quello che si aspetta ora il mercato.
La crescita del PIL dovrebbe rallentare quest’anno dopo un 2018 (troppo) forte, ma la dinamica occupazionale appare in linea con un ritmo di espansione superiore al potenziale. La stima nowcasting dell’Atlanta Fed vede una variazione del PIL nel 4° trimestre pari a 2,6% t/t ann.

 

COMMENTI:

BCE – Il percorso dell’inflazione nei prossimi 3/6 mesi sarà chiave per le decisioni di politica monetaria della BCE: ciò che conta per le decisioni della Banca Centrale sarà in particolare la tendenza dell’inflazione core che è prevista in aumento già dal mese di gennaio; se i prezzi del petrolio restassero sui livelli recenti, si potrebbe però vedere un aumento dell’inflazione core inferiore a quanto previsto. Continuiamo a pensare che la BCE proverà a disfarsi della politica di tassi negativi entro il 2020, tuttavia, la dinamica ancora incerta dell’inflazione e i crescenti rischi verso il basso per la crescita aumentano i dubbi sull’avvio di un ciclo di rialzi nel 2019.

STATI UNITI – Il presidente della Fed, Powell, ha utilizzato un intervento ai meeting dell’American Economic Association per chiarire la posizione del FOMC in una fase di grande volatilità e debolezza dei mercati e mandare un messaggio rassicurante sul sentiero dei tassi. Powell ha affermato che la Fed non ha un sentiero “prefissato” verso l’alto per i tassi e che, grazie all’inflazione contenuta, “sarà paziente mentre guarda per vedere come si evolve l’economia”.
Secondo la Fed, per ora lo scenario resta di proseguimento dell’espansione a ritmi positivi, tuttavia Powell ha puntualizzato che la Fed è pronta a reagire “in modo rapido e flessibile e a usare i propri strumenti per sostenere l’economia” se fosse appropriato.
Powell ha ricordato che nel 2016 la banca centrale aveva risposto ai timori di conseguenze recessive del rallentamento cinese mettendo in pausa il processo di rialzi dei tassi ed ha anche minimizzato gli effetti della riduzione del bilancio della Fed sui mercati e sulla liquidità, sottolineando che l’aumento delle emissioni del Tesoro è di dimensioni molto maggiori rispetto al mancato reinvestimento dei titoli in scadenza attuato dalla Fed.
Powell ha infine detto che non si dimetterebbe se Trump gli chiedesse di farlo, dando rassicurazioni sull’indipendenza della banca centrale della politica.
Altre voci dal FOMC hanno sostenuto in questi giorni una posizione di flessibilità e pazienza in una fase turbolenta e incerta: Mester ha detto di ritenere che non ci sia urgenza di alzare i tassie che se la Fed alzerà i tassi una o due volte quest’anno la preoccupazione è “malriposta”; Kaplan ha affermato che è opportuno prendere tempo per valutare la natura e la durata delle incertezze sull’economia e sui mercati finanziari prima di muovere di nuovo i tassi e che potrebbero volerci “diversi mesi” per avere un quadro più chiaro; Barkin ha detto che l’economia rallenterà nel 2019, senza commentare il sentiero dei tassi.
Lo shutdown degli uffici federali e le possibili ripercussioni sui dati del 1° trimestre potrebbero spostare in avanti il prossimo rialzo dei tassi verso metà 2019.

STATI UNITI – La chiusura parziale degli uffici federali iniziata il 22 dicembre prosegue.
Gli incontri fra il presidente e i leader democratici e repubblicani finora non hanno sortito alcun risultato.
Il Presidente ha ripetuto che se non ci saranno i finanziamenti per il “muro” potrebbe dichiarare un’emergenza nazionale nei prossimi giorni: secondo Trump si potrebbe costruire una barriera di acciaio anziché di cemento, aggirando così l’opposizione democratica a un muro vero e proprio.
Tuttavia i democratici richiedono un aumento di misure di sicurezza al confine, prevalentemente di tipo tecnologico: sembra trasparire qualche spiraglio che permetta di trovare un compromesso dignitoso per entrambe le parti.
Nel frattempo i democratici alla Camera presenteranno e approveranno dei disegni di legge per finanziare il Tesoro e l’IRS (agenzia delle entrate) proprio per sottolineare la loro volontà di voler far funzionare il governo federale a pieni ritmi.

 

A cavallo d’anno le turbolenze sui mercati azionari sono proseguite, accresciute dai persistenti dubbi sull’andamento del ciclo mondiale. L’indice del dollaro ha reagito indebolendosi a cavallo d’anno, con EURUSD che, dopo il tracollo del 2 gennaio che in un picco di volatilità ha portato il dollaro fino a 1,1313, ha recuperato riportandosi ora sul livello di 1,1413.

La sterlina ha visto un profilo simile all’euro, trascinata fino a 1,2483 contro dollaro il 2 gennaio per poi recuperare e ritornare a 1,2742. Contro euro ha visto un rafforzamento dell’1% nella prima settimana di gennaio e scambia ora a 0,8955.

Com’era prevedibile, lo yen ha agito da collettore dei timori dei mercati mettendo a segno un rafforzamento che, nella giornata di picco della volatilità (2 gennaio), a mercati giapponesi chiusi, è arrivato fino a 105,34 per poi cedere e assestarsi ora a 108,20 (già a +1,3% da inizio anno).

 

MARKET MOVERs:

AREA EURO – Le vendite al dettaglio sono attese ancora in aumento a novembre; dopo la stagnazione dei mesi estivi, anche i dati delle vendite nell’ultimo trimestre sono in rotta per un probabile aumento. Nonostante la debolezza degli ultimi mesi, le indicazioni per i consumi delle famiglie sono ancora di crescita solida grazie alla tenuta del mercato del lavoro e all’accelerazione dei salari.

Sempre nell’AREA EURO, in settimana si attende la pubblicazione dell’indice di fiducia della Commissione Europea, che dovrebbe confermare una stabilizzazione dell’attività economica. L’indice ZEW tedesco sulle attese potrebbe essere tornato a calare a dicembre sulla scia del nervosismo sui mercati e dell’incertezza sull’andamento del commercio mondiale. In merito agli altri dati, si segnalano quelli sulla produzione industriale di novembre dovrebbero mostrare un aumento in Germania ma un calo in Italia, Spagna e Francia.

BCE – Il 10 gennaio sono in pubblicazione i verbali della riunione di dicembre, che insieme ai numerosi discorsi dei membri del Consiglio potrebbero fornire indizi sulle prossime mosse di politica monetaria.

STATI UNITI – L’ISM non manifatturiero a dicembre dovrebbe calare leggermente da 60,7 precedente. L’indagine continuerebbe comunque segnalare ancora crescita sostenuta che troverà supporto nel potere d’acquisto delle famiglie grazie al calo del prezzo della benzina. Infatti, tra gli altri dati in uscita di rilievo è il CPI di dicembre, che dovrebbe registrare una flessione, ma l’indice core dovrebbe rimanere in linea con il trend recente. Tuttavia le indicazioni della Business Leaders Survey della NY Fed registrano indebolimento dell’attività nei servizi e la continua correzione del prezzo del petrolio fa prevedere un ritracciamento nel comparto estrattivo.

Sempre negli USA, la pubblicazione dei verbali della riunione del FOMC di dicembre sarà meno rilevante del solito, dato che si riferiscono a un periodo precedente allo shutdown in corso: le parole di Powell del 4 gennaio superano qualsiasi indicazione dei verbali.