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04 Marzo 2019 – nota economica giornaliera

ITALIA
– Il PMI manifatturiero è calato ancora a febbraio a 47,7 (da 47,8).
È vero che il consenso si aspettava una caduta più accentuata (a 47,2), ma si tratta del quinto mese in territorio recessivo.
La flessione è dovuta ai nuovi ordini, dal mercato domestico visto che gli ordinativi dall’estero rimbalzano sopra il valore-soglia a 50,5 (da 48,1 precedente).
Rallentano acquisti e scorte, mentre si nota un recupero per la componente produzione e per l’occupazione.
In ogni caso, l’andamento degli indici di fiducia nei primi due mesi del 2019 non segnala un recupero ma anzi una tendenza all’ulteriore indebolimento dell’attività economica.
Ciò, dopo un primo trimestre ancora verosimilmente negativo per il PIL, aumenta il rischio che nemmeno nel trimestre primaverile si possa assistere a un ritorno a una fase espansiva.

– Il tasso di disoccupazione è salito al 10,5% a gennaio, da 10,4% precedente.
L’aspettativa era per un aumento di un decimo. Tuttavia, la salita è dovuta interamente a una diminuzione del numero di inattivi (-22 mila unità ovvero -0,2% m/m), mentre l’occupazione è aumentata al ritmo massimo dallo scorso agosto (+21 mila unità ovvero +0,1% m/m).
A differenza del mese precedente, l’aumento degli occupati è dovuto interamente ai dipendenti permanenti (+56 mila unità, un record da 3 anni), mentre sono diminuiti i dipendenti a termine (-16 mila) e i lavoratori indipendenti (-19 mila).
Il tasso di disoccupazione giovanile è salito ancora a 33%.
In sintesi, i dati di gennaio sono misti: da un lato, aumentano le probabilità di una inversione della tendenza del mercato del lavoro, visto il rallentamento in atto del ciclo; dall’altro, il dato di gennaio è meno brutto di quel che sembra, in quanto mostra un aumento dell’occupazione, per di più stabile. Nel complesso, manteniamo la nostra stima di un calo del tasso di disoccupazione al 10,1% nel 2019 (da 10,6% nel 2018).

– I dati annui su PIL e indebitamento netto della PA nel 2018 sono stati peggiori delle attese.
L’anno scorso, il PIL è cresciuto di 0,9% in volume (in termini non corretti per i giorni lavorativi). Tale stima è lievemente inferiore all’1% non corretto per gli effetti di calendario comunicato dall’Istat in occasione della diffusione della stima preliminare sul 4° trimestre dell’anno lo scorso 31 gennaio. Il dato si confronta con l’1,6% del 2017.
Il PIL a prezzi di mercato è aumentato di 1,7% (dopo il 2% del 2017). Il dato è inferiore alle nostre stime: sia il PIL nominale che quello reale sono inferiori alle ipotesi assunte dal governo nel più recente quadro programmatico di finanza pubblica (PIL reale 0,9% vs 1%, PIL nominale 1,7% vs 2,1%).
• Come atteso, la crescita (reale) è venuta dalla domanda interna, che ha contribuito per l’1% (al netto delle scorte), mentre il commercio con l’estero ha dato un apporto negativo (di un decimo).
Dal lato della domanda domestica, si nota un rallentamento sia dei consumi che degli investimenti (da 1,1% a 0,5% e da 4,4% a 3,4%).
Questi ultimi comunque hanno dato il contributo più alto al PIL e hanno mantenuto un buon ritmo di crescita grazie all’accelerazione delle costruzioni e della spesa in macchinari, mentre è rallentata (pur mantenendo un’espansione a due cifre) la componente dei mezzi di trasporto.
• In conseguenza della minore crescita nominale, i principali indicatori di finanza pubblica risultano peggiori del previsto.
Il rapporto deficit/PIL è stato pari al 2,1%, contro l’1,9% incluso nello scenario programmatico del governo (sia pur in miglioramento rispetto al 2,4% del 2017).
Lievemente peggiore delle attese anche l’avanzo primario, salito all’1,6% del PIL dopo l’1,4% dell’anno precedente (l’obiettivo governativo era pari all’1,7%).
La pressione fiscale, dopo anni di miglioramento, è rimasta stabile, al 42,2%.
Il rapporto debito/PIL è salito al 132,1% (dal 131,3% del 2017): il dato va confrontato con l’obiettivo governativo di 131,7%.
In sintesi, sia il rapporto deficit/PIL che il rapporto debito/PIL sono risultati più alto del previsto (di due decimi e di quattro decimi rispettivamente). Ciò soprattutto a causa della crescita inferiore alle previsioni del PIL ai prezzi di mercato.
Ceteris paribus, i dati peggiorano il percorso tendenziale di finanza pubblica per l’anno in corso. Solo per via del trascinamento dall’anno precedente, nel 2019 il deficit potrebbe salire al 2,2% (contro il target del 2%), e il debito potrebbe attestarsi al 131,1% (invece che al 130,7% come da obbiettivo governativo). Tuttavia, il consuntivo 2019 potrebbe essere peggiore con ipotesi più realistiche sulla crescita.
Con un PIL in possibile aumento di solo lo 0,6%, le conseguenze sarebbero limitate sul deficit (che potrebbe essere contenuto al 2,1% grazie all’utilizzo del fondo di 2 miliardi previsto dall’accordo con la Ue), ma l’impatto sarebbe significativo sul debito (che potrebbe raggiungere il 132,5%). Con una crescita zero quest’anno, il deficit salirebbe al 2,4% e il debito al 133,5%. La dinamica del debito sarebbe anche peggiore se il governo non dovesse centrare l’obiettivo ambizioso di un piano di privatizzazioni pari al punto di PIL già quest’anno.

STATI UNITI
– La spesa personale a dicembre corregge più delle attese, con un calo di -0,5% m/m, dopo due mesi di variazioni solide e revisioni verso l’alto (+0,6% m/m a novembre e +0,7% m/m a ottobre).
Le informazioni complessive sui consumi nel 4° trimestre erano già note dalla stima trimestrale pubblicata con il PIL, che aveva mostrato una dinamica di 2,8% t/t ann.
La spesa ha segnato correzioni nel comparto dei beni, sia durevoli sia non durevoli, mentre i servizi sono stati in aumento contenuto anche per via del clima mite.
Complessivamente nel 2019 i consumi dovrebbero fornire la principale spinta alla crescita del PIL, come nel 2018, anche se nel 1° trimestre i dati saranno decisamente deboli.
L’eccellente stato di salute del mercato del lavoro è un indicatore positivo per i consumi nel 2019, anche se il 1° trimestre potrebbe essere debole in parte per via dello shutdown e di una partenza lenta dei rimborsi fiscali.
Il reddito personale balza di 1% m/m a dicembre, mentre corregge di -0,1% m/m a gennaio; le retribuzioni sono in crescita solida in entrambi i mesi (+0,5% m/m a dicembre e +0,3% m/m a gennaio). La correzione complessiva di gennaio è da ascrivere al reddito da capitale, sia dividendi sia nel settore agricolo.
Pertanto i dati restano in linea con un continuo supporto ai consumi dal reddito da lavoro.
Il tasso di risparmio a dicembre balza a 7,6% da 6,1% di novembre, toccando il massimo da gennaio 2016.
Il deflatore dei consumi a dicembre aumenta di 0,1% m/m (1,7% a/a). Il deflatore core è in rialzo di 0,2% m/m (1,9% a/a), confermando il sentiero contenuto dei prezzi.

– L’ISM manifatturiero a febbraio cala a 54,2, al di sotto delle attese (da 56,6 di gennaio). Lo spaccato dell’indagine vede correzioni diffuse: produzione a 54,8 (da 60,5), ordini a 55,5 (da 58,2), occupazione a 52,3 (da 55,5). Ci sono però alcuni spiragli positivi: gli ordini dall’estero riprendono a 52,8 (da 51,8) e gli ordini inevasi salgono a 52,3 (da 50,3).
Le imprese riportano ancora ottimismo sulle prospettive di crescita della domanda, anche se a ritmi più contenuti che a gennaio. Si riporta crescita delle esportazioni con una modesta accelerazione rispetto al mese precedente. Secondo l’ISM, la crescita del PIL associata al livello dell’indice composito di febbraio sarebbe pari a 3,3% t/t ann. L’indagine, pur registrando rallentamento della domanda, resta coerente con ulteriore espansione del settore nel trimestre.

– Le vendite di autoveicoli a febbraio calano a 16,6 mln di unità ann. (-2,8% a/a).
I primi mesi dell’anno sono deboli, dopo un 2018 molto solido, tuttavia i concessionari notano che ci sono alcuni freni transitori alle vendite, in particolare gli effetti dello shutdown, il clima avverso e una partenza debole dei rimborsi fiscali. Nei prossimi mesi si dovrebbe vedere un moderato rimbalzo.

– La fiducia dei consumatori rilevata dall’Univ. of Michigan a febbraio (finale) corregge modestamente a 93,8 sulla scia di flessioni sia delle condizioni correnti (da 110 a 108,5), sia delle aspettative (da 86,2 a 84,4).
Le aspettative di inflazione a 1 anno aumentano di 1 decimo a 2,6%, mentre quelle a 5-10 anni sono stabili a 2,3%. L’indagine supporta ancora consumi in rialzo e inflazione moderata.

 

COMMENTI:

ITALIA – Come preannunciato qualche settimana fa, anche Moody’s, dopo Fitch, ha rivisto ufficialmente le sue stime di crescita sulle principali economie tra cui quella italiana, a 0,4% per quest’anno e 0,8% per il prossimo (la precedente stima per il 2019 era 1,3%).
L’agenzia sottolinea l’incertezza particolarmente elevata della previsione, anche dovuta a eventuale instabilità politica, e che il rischio è di una crescita molto più debole rispetto allo scenario di base. Ricordiamo che Moody’s ha sul debito italiano la valutazione più pessimistica tra le principali agenzie (Baa3, solo un gradino al di sopra dell’area sub-investment grade, con outlook stabile), e si esprimerà il prossimo 15 marzo.

USA
– Un accordo commerciale con la Cina potrebbe essere siglato entro fine marzo, quando il presidente cinese dovrebbe incontrare Trump in Florida.
I dettagli non sono ufficiali, ma secondo notizie di stampa la Cina ridurrebbe i dazi e limiti su molti prodotti americani (fra cui beni agricoli, auto, prodotti chimici ed energetici), si impegnerebbe ad acquistare elevate quantità di beni energetici e agricoli (gas naturale e soia, fra i principali), e procederebbe con un sentiero di liberalizzazione dell’economia riducendo i vincoli di proprietà congiunta per le imprese straniere.
Gli USA sarebbero disposti a eliminare la maggior parte dei rialzi dei dazi attuati nel 2018.
Le parti stanno negoziando una procedura per dirimere le controversie, che dovrebbe passare attraverso incontri bilaterali; in caso di mancata soluzione, gli USA tornerebbero ad aumentare i dazi.
Restano ancora aperti molti nodi, fra cui i sussidi alle imprese statali cinesi e la difesa della proprietà intellettuale: su questi fronti sembra difficile raggiungere un accordo nel giro di poche settimane. Riteniamo probabile che la volontà di Trump di ottenere un primo risultato, anche se parziale e potenzialmente criticabile dai suoi stessi negoziatori dopo un anno di guerra commerciale, prevalga sulla sostanza dell’accordo. Pertanto, entro fine marzo l’amministrazione potrebbe rivendicare un (parziale) successo sul fronte.

Trump ha attaccato di nuovo la Fed e Powell, affermando che il dollaro è troppo forte per via delle politiche della banca centrale.
Trump ha detto di volere un dollaro forte, ma anche “un dollaro che faccia bene al nostro paese, non così forte da rendere proibitivo fare business con altre nazioni”.
Senza nominare Powell, Trump ha citato la presenza alla Fed di “un signore a cui piace alzare i tassi (…), che ama il quantitative tightening (…) e a cui piace un dollaro molto forte”. Naturalmente gli attacchi di Trump non influenzeranno la politica monetaria, ma minano la credibilità e la reputazione della Fed presso il pubblico.

 

La settimana si è chiusa senza vere sorprese sui mercati valutari, con l’indice del dollaro in lieve risalita, supportato dai mercati azionari positivi e da rinnovata fiducia sull’esito dei negoziati USA-Cina sul commercio, in un contesto di volatilità ancora bassa.

L’euro ha registrato un andamento oscillante in chiusura di settimana, risolto in un nulla di fatto con un cambio sempre attorno a 1,1360. Le minori tensioni sul fronte Brexit stanno sostenendo anche la moneta unica.

La sterlina ha proseguito venerdì il lento rientro dai massimi registrati subito dopo l’annuncio di Theresa May di essere favorevole a una dilazione della data di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Contro dollaro scambia ora a 1,3225 (-0,2%), contro euro il cedimento è stato analogo e scambia in apertura stamattina a 0,8590. Apparentemente i livelli delle quotazioni di GBP sembrano suggerire che l’opzione di no-deal exit sembra ora essere stata rimossa dagli operatori.

Il principale apprezzamento del biglietto verde è stato a spese dello yen (+0,5%) che sfiora ora il livello di 112,00 in particolare per l’attesa di notizie positive sul dossier sino-americano, che potrebbero arrivare entro fine mese.

 

MARKET MOVERs:

ZONA EURO – Il focus della settimana sarà sulla riunione BCE di marzo che dovrebbe aprire a nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine. I dettagli operativi saranno formalizzati più avanti, ragionevolmente ad aprile.
Sul fronte dei dati, la stima finale potrebbe confermare che la crescita di 0,2% t/t del PIL euro zona è spiegata ancor in larga misura dalla domanda interna ed in particolare dalla tenuta degli investimenti aziendali. Tuttavia in Italia, il PIL dovrebbe essere confermato in calo di 0,2%t/t.
I dati sulla produzione industriale dovrebbero mostrare un rimbalzo della produzione a gennaio di 0,4% m/m in Italia e di 1,5% m/m in Spagna, ma un calo in Francia (-0,7% m/m).
Infine, le vendite al dettaglio euro zona dovrebbero recuperare parte del calo del mese di dicembre.

STATI UNITI
– La settimana ha diversi dati di rilievo, ma il focus sarà sull’employment report di febbraio, che dovrebbe mostrare un rallentamento della dinamica occupazionale dopo un rialzo insostenibilmente forte a gennaio; il tasso di disoccupazione dovrebbe calare a 3,9% e i salari orari dovrebbero riaccelerare, segnando una variazione di 0,3% m/m.
– L’ISM non manifatturiero a febbraio è previsto in rialzo dopo la modesta correzione di gennaio, con indicazioni positive per l’attività nel 1° trimestre.
– La spesa in costruzioni e le vendite di case nuove a dicembre dovrebbero essere circa stagnanti, dopo +0,8% m/m di novembre. A dicembre la componente non residenziale potrebbe restare debole (dopo due correzioni nei tre mesi precedenti), mentre anche per la componente residenziale è probabile una pausa, alla luce della debolezza dei nuovi cantieri di dicembre.
– Il Beige Book potrebbe dare informazioni utili sulle prospettive degli investimenti, in una fase di carenza informativa per via dello shutdown.