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L’agricoltura come produzione di alimenti

1. ? Legato alla visione della terra a diretto contatto con l’ambiente esterno, il legislatore non ha conosciuto, nella tradizione, altra forma di svolgimento dell’agricoltura che quella connessa all’esercizio delle facoltà di godimento inerenti al diritto di proprietà, assecondando il pacifico e diffuso apprezzamento che, senza i1 fondo, non fosse concepibile l’agricoltura.

Fatto sta, che ciascuna struttura aziendale ha operato in una condizione di sostanziale isolamento dal complessivo contesto economico e territoriale (1) in vista di sopperire quasi esclusivamente a bisogni e consumi locali.

In specie, gli indicatori demografici evidenziano come, ancora all’inizio del XX secolo, oltre il sessanta per cento della popolazione fosse addetta all’agricoltura: «una popolazione di braccianti, coloni e piccoli proprietari…affamata, costretta ad una dieta pressoché vegetariana, poverissima, basata prevalentemente sul consumo di polenta di mais, di pane raffermo o mal cotto basato su di una miscela di crusca e di grani inferiori, di minestre scondite di legumi, nella quale i grassi e le proteine animali erano fornite solo del formaggio, carni bovine, ovine e caprine, mentre non erano presenti stabilmente né l’olio, né il vino, né il sale» (2).

È, in effetti, la vita delle campagne a rivelare uno scenario di emarginazione sociale e di malnutrizione: alla composizione del fabbisogno alimentare concorre l’autoconsumo praticato da «contadini poveri dunque e, in larga misura esterni-estranei al mercato, che non fosse meramente locale, ai cui circuiti si rivolgeva quasi per intero il sistema manifatturiero non solo alimentare, che non gestiva transazioni commerciali oltre l’immediato circondario delle singole aziende» (3).

Basta rilevare come il momento speculativo dei beni indirizzati alla produzione, ovvero sia la specifica considerazione dell’attività dell’agricoltore successiva alla percezione dei frutti per il mercato di consumo, non abbia trovato una immediata rilevanza nel codice di commercio del 1882, ma sia destinata ad affiorare più tardi «sotto la pressione di esigenze sociali nuove e per l’influenza di sistemi politici che al fattore economico attribuivano un valore più accentuato nel campo giuridico» (4).

Risulta, così, nitidamente scolpita l’opinione di un eminente studioso di diritto commerciale: «finché la mira principale dei suoi affari è quella di utilizzare le proprie terre, l’agricoltore non fa atto di commercio» (5) e, cioè, non si interpone nella circolazione nel senso che, pur presentando una necessaria coordinazione di beni e organizzazione di rapporti, non opera per lo scambio ossia per il soddisfacimento dei bisogni del mercato.

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