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La Bussola dell’economia italiana

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a cura di Elisa Coletti, Paolo Mameli e Andrea Volpi


ABSTRACT

L’evoluzione dello scenario congiunturale

L’Italia è tra i Paesi europei che mostrano la più ampia contrazione dell’offerta di lavoro rispetto ai livelli pre-pandemici.
Non vi è evidenza che il recente aumento delle dimissioni volontarie possa configurare un fenomeno di uscita strutturale dalle forze di lavoro, che tuttavia, anche per ragioni demografiche, potrebbero rimanere inferiori ai livelli pre-pandemici.
Un pieno recupero del tasso di partecipazione non appare imminente ma potrebbe avvenire entro un orizzonte di 12 mesi.
Il nostro Paese, assieme alla Germania, è tra le economie dell’Eurozona in cui l’offerta di lavoro rimane ben al di sotto dei livelli antecedenti lo scoppio del COVID-19 (-2,1% in Germania e -3,1% in Italia nel 2° trimestre 2021 rispetto al 4° trimestre 2019); di contro, le forze di lavoro si collocano in prossimità dei livelli pre-COVID in Francia e Spagna (-0,4% e +0,2%, rispettivamente), e registrano livelli nettamente più elevati nei Paesi Bassi (+4,8%).
Tra le ragioni che spiegano la flessione ben più accentuata delle forze di lavoro in Italia rispetto al resto dell’Eurozona, ve ne sono innanzitutto alcune di ordine demografico.
Il calo delle forze di lavoro è concentrato tra le classi di età più giovani sotto i 25 anni e i 35-49enni, mentre le coorti più anziane mostrano una tenuta.
Tuttavia, sarebbe affrettato trarre la conclusione che la crisi indotta dalla pandemia abbia avuto l’effetto più persistente sulla partecipazione delle coorti più giovani.
Infatti, una analisi controfattuale descritta dalla Banca Centrale Europea nel suo ultimo Bollettino economico mostra che, tenendo conto dei trend in atto nel periodo pre-pandemico, il divario del tasso di partecipazione è più ampio per i lavoratori in età più avanzata.
In ogni caso, anche al netto dei fattori demografici, la pandemia ha causato un calo del tasso di partecipazione che appare ancora lontano dall’essere colmato.
In tal senso, il nuovo aumento delle infezioni registrato nelle ultime settimane potrebbe far sì che chi è uscito dalle forze di lavoro a causa della preoccupazione di contrarre il virus possa
non avere intenzione di ritornare a breve tra le forze di lavoro.
Di recente, si è sviluppato un intenso dibattito a livello internazionale su un fenomeno che pare particolarmente rilevante negli Stati Uniti, dove è stato chiamato “Great Resignation” o “Big Quit”: l’aumento delle dimissioni volontarie nella fase post-pandemica, di fronte alla necessità di un graduale rientro nei luoghi di lavoro.
Le cause possono essere molteplici: dalla presa di coscienza di fenomeni di “burn-out” alla richiesta di maggiore flessibilità per conciliare il lavoro con le esigenze di vita, a un ripensamento, indotto dalla pandemia, degli obiettivi che le persone intendono raggiungere attraverso il lavoro.
Non sempre le dimissioni si traducono in un’uscita dalle forze di lavoro; tuttavia, almeno negli Stati Uniti, vi è evidenza di flussi cospicui in uscita dal bacino degli occupati e in ingresso verso l’inattività o il pensionamento anticipato.
Anche in Italia, i dati degli ultimi mesi mostrano un netto aumento del volume di dimissioni volontarie. I dati più recenti, disponibili solo per la regione Veneto, sembrano confermare questa tendenza.
Le possibili spiegazioni di questo fenomeno sono molteplici. In tal senso, non è da escludere che si tratti almeno in parte di decisioni prese nel periodo pandemico e rimandate, o più verosimilmente di dimissioni in qualche modo indotte dai datori di lavoro, stante il divieto di licenziare ancora in vigore, per il periodo considerato, nella maggior parte dei settori. Se fosse vera questa spiegazione, i prossimi mesi potrebbero vedere un nuovo calo delle dimissioni in parallelo con l’intensificarsi dei licenziamenti economici.
I dati della Regione Veneto sembrano suggerire che potrebbero essere in corso due distinti fenomeni:
flussi in uscita da alcuni settori in seguito a fenomeni di burn-out. Ciò sembrerebbe coerente con il fatto che l’aumento delle dimissioni è particolarmente marcato per i rapporti di lavoro di medio-lunga durata (oltre 1 anno) mentre per i rapporti di recente attivazione (inferiori a un anno di durata) si registra ancora un trend di contrazione;
ricollocazione volontaria verso le imprese dinamiche all’interno dei settori e fra settori. La maggior parte dei processi di ricollocamento avviene nell’ambito del medesimo settore di provenienza, ma si nota anche una riallocazione tra settori: il bilancio netto è positivo per i settori industriali e negativo per i servizi.
In ogni caso, se la spiegazione fosse questa, resterebbero due punti critici:
-l’aumento dei flussi di riallocazione tra aziende e settori segnala un’accelerazione dei cambiamenti nella domanda relativa di competenze innescati dallo shock COVID-19, che potrebbe portare con sé problemi di mismatch tra domanda e offerta di lavoro (che d’altronde appaiono coerenti con le difficoltà riscontrate dalle imprese in alcuni settori di reperire manodopera); l’implicazione di policy sarebbe quella di assecondare e accelerare tali processi attraverso politiche attive di re-training dei lavoratori;
-quanto al tema delle possibili pressioni salariali, se le dimissioni volontarie sono solo un segnale di maggiore mobilità del lavoro, difficilmente innescheranno effetti significativi sulle retribuzioni (come messo in luce da un Occasional Paper della Banca d’Italia di giugno 2020).
Infine, un ultimo elemento da considerare nell’analisi è il ruolo svolto dalle misure di protezione del reddito e dell’occupazione messe in campo dal Governo per contrastare la crisi economica e sanitaria, che, se hanno avuto una parte decisiva nel mitigare gli effetti della crisi sul mercato del lavoro, potrebbero aver temporaneamente ridotto gli incentivi alla ricerca di un’occupazione.
Mettendo insieme tutti gli elementi di questa analisi, anche se permane molta incertezza, si può ipotizzare la seguente conclusione: l’aumento dei tassi di posti vacanti e del numero di dimissioni volontarie non pare riconducibile a un eccesso di domanda di lavoro (se non in alcuni settori ben circoscritti, tra quali le costruzioni e l’information technology).
Piuttosto, è in corso un fenomeno di contrazione dell’offerta di lavoro che in parte è strutturale in quanto dovuto a ragioni demografiche, e in parte è legato all’emergenza sanitaria che ha compresso il tasso di partecipazione.

 

Tendenze del settore bancario italiano

I prestiti alle società non-finanziarie hanno rallentato ancora, a +0,7% a/a. L’andamento risente della minore domanda di credito da parte delle imprese, che si riflette sulla frenata dei prestiti a medio-lungo termine, mentre a seguito delle ampie disponibilità liquide il trend dei prestiti a breve resta fortemente negativo.
Si conferma la crescita robusta dei prestiti alle famiglie consumatrici, pari a +3,7% a/a a settembre. La dinamica è trainata dai prestiti per l’acquisto di abitazioni, il cui ritmo si è rafforzato a +4,8% a/a a settembre.
Secondo le anticipazioni ABI, a ottobre è proseguito il rallentamento della crescita dei prestiti complessivi al settore privato, a +1,5% a/a, e a +1,7% per l’aggregato più ristretto dei prestiti a famiglie e imprese, dal +2,0% di settembre.
La crescita dei depositi resta robusta, benché in rallentamento a +7,4% a/a a settembre. Un andamento più moderato si è registrato anche a ottobre, secondo le stime ABI.
La dinamica resta trainata dai conti correnti, in aumento dal 10,5% a/a a settembre.
Riflettendo il moderato rallentamento dei depositi, la crescita della raccolta complessiva da clientela è scesa di 0,7 punti percentuali rispetto a quella di agosto, ma ha mantenuto un buon ritmo, del 5,7% a/a.
Secondo le stime ABI, a ottobre la dinamica ha decelerato di altri 0,4 punti percentuali.

 


Indice dei contenuti

• La partecipazione al mercato del lavoro tornerà ai livelli pre-crisi? (p. 2 )
Sintesi della previsione macroeconomica (p. 10 )
L’industria rallenta ma è più resiliente che negli altri Paesi dell’Eurozona (p. 11 )
• Le indagini manifatturiere stanno probabilmente sovrastimando l’attività (p. 12 )
• Decelerano le costruzioni dopo un solido 1° semestre, ma lo scenario resta favorevole (p. 13 )
• I servizi sono stati sinora trainanti, ma comincia a emergere qualche segnale di rallentamento (p. 14 )
• Fiducia delle famiglie su livelli ancora elevati, ma l’attenzione ora è sui prezzi (p. 15 )
• Tornano a crescere gli occupati a settembre (p. 16 )
• Il commercio estero potrebbe frenare il PIL nei prossimi trimestri (p. 17 )
• Inflazione ai massimi dal 2012, i rischi restano verso l’alto (p. 18 )
• La crescita dei mutui per l’acquisto di abitazioni ha raggiunto il +4,8% annuo (p. 19 )
• Dinamica dei conti correnti ancora a due cifre, ma sta rallentando (p. 22 )

 


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Novembre 2021