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Area Euro. L’impatto economico della pandemia: le condizioni di partenza contano più delle politiche

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a cura di Luca Mezzomo


ABSTRACT

Nel determinare la perdita complessiva di valore aggiunto durante la crisi pandemica, le condizioni di partenza (in particolare, la composizione settoriale dell’economia) sono state più rilevanti di qualsiasi altro fattore.
Anche la politica fiscale ha giocato un certo ruolo, mitigando l’impatto iniziale: il contributo alla crescita è stato abbastanza simile, ma ciò significa che nei paesi mediterranei e in Austria, più dipendenti dal turismo, ha compensato una quota minore dello shock pandemico iniziale.
L’impatto della crisi pandemica sul PIL degli Stati facenti parte dell’Eurozona è stato molto variabile.
Per tutti i Paesi dell’Eurozona il 2° trimestre 2020 ha rappresentato il minimo assoluto del ciclo, ma sia l’intensità della caduta, sia la ripresa successiva sono state molto diverse.
La variazione fra il 4° trimestre 2019 e il 1° trimestre 2020, che include anche il rimbalzo successivo alla prima ondata di contagi e poi l’effetto delle restrizioni della stagione fredda, va da un minimo di -1,1% dell’Irlanda a un massimo di -9,8% per la Spagna.
Per il totale dell’Eurozona, la contrazione cumulata è pari al 5,5%.
Tale dispersione è molto più ampia rispetto a quella normalmente osservabile fra i tassi di crescita medi annui dei paesi membri.
La perdita cumulata di valore aggiunto fra il 1° trimestre 2020 e il 1° trimestre 2021, calcolata come somma delle deviazioni in rapporto al livello del 4° trimestre 2019, va da un minimo del 6% (Irlanda) fino a un massimo del 55% (Spagna).
In quale misura tale differenza è attribuibile alle politiche sanitarie ed economiche dei governi? E quanto, invece, è imputabile alle condizioni di partenza dei Paesi?
In questa nota, presentiamo alcune considerazioni relative all’esperienza delle 12 maggiori economie dell’area.

 


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