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27 Gennaio 2020 – nota economica giornaliera

ITALIA – I dati di dicembre sul commercio coi Paesi extra-UE mostrano, per il secondo mese, un calo congiunturale per entrambi i flussi, con -0,9% per le esportazioni (da -8,1% m/m di novembre), -1,8% m/m per le importazioni (da -0,9% precedente).
Il calo è dovuto per l’export a energia e beni di consumo non durevoli, nel caso dell’import a beni strumentali e di consumo non durevoli.
Nel 2019, il surplus verso i Paesi extra-Ue è salito a 37,6 miliardi, dai 26,9 mld del 2018 (da 69,2 a 75,6 miliardi al netto dell’energia).
Su base tendenziale, l’export torna a crescere (+5,2%), mentre l’import resta in negativo (-5,9%).
Nel confronto tendenziale, mostrano decisi incrementi delle vendite all’estero Giappone (+22,2%), Cina (+21,3%), Svizzera (+19,3%) e Turchia (+18,2%), mentre è in calo l’export verso Stati Uniti (-7,7%), India (-4,5%) e Paesi OPEC (-3,7%).
Dal lato dell’import, le flessioni più marcate riguardano Russia (-26,5%), Paesi MERCOSUR (-23,6%), OPEC (-20,6%), Stati Uniti (-10,5%) e Cina (-7,6%), mentre sono in aumento gli acquisti da Turchia (+16,1%) e Paesi ASEAN (+5,0%).
Nell’insieme, il 2019 si chiude con una crescita dell’export più che doppia rispetto a quella del 2018 (3,8% contro 1,7%), grazie soprattutto a Stati Uniti, Svizzera e Giappone, mentre registrano ampie flessioni i principali Paesi emergenti (OPEC, MERCOSUR, Medio Oriente e Cina).

AREA EURO – La stima flash del PMI manifatturiero ha segnato un aumento a gennaio da 46,3 di dicembre a 47,8 (massimo in 9 mesi), correggendo la sorpresa negativa di un mese fa e confermando la tendenza a una faticosa stabilizzazione del comparto. L’indice, nonostante il miglioramento, rimane per il dodicesimo mese in territorio recessivo.
I nuovi ordini e gli ordini esteri hanno segnato un rialzo per gennaio, anche se il loro tasso di espansione rimane marginale, contribuendo all’attuale debolezza della produzione. Ancora una volta l’espansione è sostenuta dai servizi, con un indice in leggero calo a 52,2 in gennaio (dal 52,8 in dicembre), ma che rimane in territorio positivo.
Il PMI composito è rimasto invariato a 50,9. La composizione degli indici segnala che il PMI manifatturiero potrebbe avvicinarsi ulteriormente alla soglia di invarianza in febbraio.

 

COMMENTI:

ITALIA – Le elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria si sono concluse in linea con i sondaggi della vigilia, ovvero con una vittoria del candidato del Centrosinistra Bonaccini in Emilia Romagna e della candidata del Centrodestra Santelli in Calabria.
La vittoria del Centrosinistra in Emilia Romagna (niente affatto scontata alla vigilia) rende più forte la voce del Partito Democratico all’interno della maggioranza, amplifica i tormenti interni del Movimento 5 Stelle, in attesa degli “Stati Generali” del 13-15 marzo, e depotenzia la richiesta di elezioni anticipate della Lega. In ogni caso, il turno elettorale riduce i rischi di crisi di governo, almeno nel breve termine, il che potrebbe essere visto con favore dagli investitori.
• In Emilia Romagna, quando il risultato è quasi definitivo, Bonaccini è in vantaggio con il 51,4% dei voti, contro il 43,7% della Borgonzoni (molto staccato il candidato del Movimento 5 Stelle Benini, che si ferma al 3,4%).
Il distacco è stato ben più ampio di quanto anticipato dai sondaggi, probabilmente grazie a un’affluenza più elevata del previsto (67,7%, il 30% in più dell’ultima tornata elettorale regionale del 2014). Le liste di Centrosinistra hanno ottenuto il 48,1% dei voti (circa il 3% in meno rispetto a Bonaccini), il Centrodestra il 45,4% (quasi il 2% in più della candidata Borgonzoni). Il Partito Democratico è tornato il primo partito nella regione, con il 34,7% contro il 32% della Lega.
• In Calabria, la candidata del Centrodestra Santelli ha ottenuto il 52,9% dei voti, l’avversario del Centrosinistra Callipo si è fermato al 30,8% (il candidato del Movimento Cinquestelle Aiello ha raccolto il 6,7%).

REGNO UNITOC’è molta attesa per l’esito della riunione di giovedì prossimo 30 gennaio della Bank of England, l’ultima pre-Brexit e l’ultima di Carney. Alla luce delle novità più recenti, la nostra previsione è per tassi fermi, ma la decisione potrebbe essere ampiamente dibattuta all’interno del MPC, e non è escluso che oltre a Saunders e Haskel, che hanno già votato per un taglio alle ultime due riunioni, possa aggiungersi un altro dissenziente (eventualmente Vlieghe). La situazione è stata infatti piuttosto “movimentata” in questo avvio del nuovo anno. Tutto è cominciato con una dichiarazione del governatore BoE (il 9 gennaio) che aveva infatti sollevato il dubbio che la BoE potesse decidere di tagliare i tassi già questo mese, alla vigilia di Brexit (31 gennaio) e in occasione dell’ultima riunione presieduta da Carney (al quale da marzo subentrerà Bailey). Alcuni dei dati sull’economia britannica usciti nel frattempo avevano deluso (in particolare la produzione industriale e le vendite al dettaglio) e dopo Carney anche Vlieghe e Tenreyro, nonché Saunders (la cui posizione era però già nota), si sono espressi a favore di un allentamento in caso di segnali non favorevoli per lo scenario dell’economia. Il mercato è arrivato a incorporare una probabilità attesa di taglio superiore al 70%.
Nell’ultima settimana però il quadro si è modificato. Gli ultimi dati pubblicati – su mercato del lavoro, indagine CBI sul settore industriale e indici PMI – sono infatti risultati migliori delle attese e la probabilità di un taglio implicita nei tassi di mercato è scesa da poco sopra 70% a poco sopra 50%.
Come interpretare le indicazioni – contrastanti – giunte in queste due settimane?
A nostro avviso, per quanto riguarda i dati, quelli più importanti per la decisione di giovedì sono quelli che hanno sorpreso positivamente, perché sono i più recenti in grado di offrire una valutazione post-elezioni e, almeno parzialmente, post-ratifica dell’accordo su Brexit, avendo inoltre (sia l’indagine CBI sia i PMI) valenza prospettica.
Per quanto riguarda le dichiarazioni sopra menzionate di Carney, il governatore aveva prospettato un allentamento “in caso di accresciuta evidenza che la debolezza della crescita potesse persistere” (“if evidence builds that the weakness in activity could persist”), ma – appunto – i primi dati di gennaio hanno fornito indicazioni in senso contrario, migliorative.
Similmente anche Tenreyro si era detta propensa a votare per un taglio nei prossimi mesi non in caso di mancato miglioramento, ma in caso di materializzazione dei rischi verso il basso (“if downside risks emerge”), per cui sia Tenreyro sia Carney dovrebbero votare per tassi fermi.
Leggermente più incerta potrebbe essere la posizione di Vlieghe, che si era esposto a favore di un taglio a meno di “un imminente e significativo miglioramento dei dati” (“an imminent and significant improvement in the UK data”). A nostro avviso comunque, avendo Vlieghe fatto esplicitamente riferimento nel suo discorso ai dati post-elezioni, anche per lui quelli più indicativi dovrebbero essere quelli (positivi) di gennaio.
Ci aspettiamo pertanto che al termine della riunione di giovedì i tassi vengano lasciati invariati, non all’unanimità ma ancora con una maggioranza di 7 su 9 (con Saunders e Haskel ancora dissenzienti) e con un dibattito più ampio sull’opportunità o meno di tagliare i tassi già questo mese o comunque nel breve. Riteniamo infine che se anche i tassi resteranno fermi a gennaio non sia comunque da escludersi un intervento più avanti, in funzione del rischio che l’incertezza sui negoziati per l’accordo commerciale con l’UE potrebbe tornare a generare, con possibili ripercussioni negative sul clima di fiducia, le decisioni di investimento delle imprese e le scelte dei consumatori.

STATI UNITI – Alla riunione del FOMC di questa settimana dovrebbe proseguire il dibattito in corso sulla strategia e sugli strumenti di politica monetaria.
Nella conferenza stampa di Powell, o più probabilmente nei verbali, si potrebbe iniziare ad avere maggiore informazione sugli strumenti considerati per sostenere la crescita quando il tasso sui fed funds è a zero. Oltre agli acquisti di titoli e alla forward guidance sarà probabilmente discussa la possibilità di introdurre un limite ai rendimenti dei titoli, come proposto da Brainard a fine 2019.
Questo strumento, adottato dalla Fed all’inizio degli anni ’50, studiato durante la crisi dalla Fed di Bernanke, è stato adottato dalla BoJ negli ultimi anni.
Secondo Brainard, un cap sui rendimenti di titoli a scadenza relativamente breve avrebbe il vantaggio di non appesantire eccessivamente il bilancio, in una fase in cui i ritorni dal QE potrebbero essere decrescenti e di essere a termine, nel senso che i titoli acquistati sotto questo vincolo scadrebbero naturalmente in un lasso di tempo prevedibile. La questione di policy principale in questo caso riguarderebbe la scelta della durata dei titoli su cui imporre il cap.
Questa proposta potrebbe raccogliere il consenso di due gruppi di partecipanti al FOMC, quelli contrari a un aumento massiccio del bilancio e quelli preoccupati per gli effetti progressivamente più limitati dei programmi QE.

 

MERCATI VALUTARI:

USD – Il dollaro ha chiuso la settimana passata al rialzo, principalmente sul calo post-BCE dell’euro. La settimana entrante propone molti spunti di rilievo, primo su tutti il FOMC di mercoledì, che lascerà i tassi invariati, confermando la prosecuzione della fase di stabilità annunciata il mese scorso e mantenendo una valutazione moderatamente positiva sull’economia USA con rischi comunque ancora verso il basso. Tra i dati principali rileviamo oggi le vendite di case, domani gli ordini di beni durevoli e la fiducia dei consumatori, giovedì il PIL del 4° trimestre e venerdì il PMI di Chicago. Le attese sono complessivamente positive. A meno di delusioni dai dati il dollaro dovrebbe riuscire a consolidare o quantomeno a stabilizzarsi.

EUR – L’euro ha chiuso la settimana al ribasso, da 1,11 a 1,10 EUR/USD, indebolito dall’esito della riunione BCE e venerdì dai PMI dell’area. Questi hanno fornito indicazioni contrastanti: mentre il PMI manifatturiero è salito più delle attese (rimanendo però sotto 50), quello dei servizi ha deluso scendendo contro attese di stabilizzazione, e così l’indice composito si è stabilizzato contro previsioni di aumento. La settimana entrante propone molti dati di rilievo, tra i quali spiccano l’IFO tedesco oggi, gli indici di fiducia dell’area giovedì, l’inflazione e il Pil area euro del 4° trimestre venerdì. Complessivamente le attese sono favorevoli e, a meno di delusioni, dovrebbero contribuire a stabilizzare il cambio evitandogli di proseguire il calo intrapreso post-BCE. L’upside dovrebbe tuttavia essere limitato (non oltre 1,11 EUR/USD) per via delle indicazioni positive attese simultaneamente negli Stati Uniti.

GBP – La sterlina ha chiuso la settimana al rialzo grazie ai dati che sono risultati migliori del previsto, da quelli sul mercato del lavoro, all’indagine CBI sul settore industriale fino ai più rilevanti, i PMI (sia manifatturiero sia servizi) di venerdì. Contro dollaro la valuta britannica è salita da 1,29 a 1,31 GBP/USD e contro euro da 0,85 a 0,83 EUR/GBP, toccando in entrambi i casi i massimi sui PMI. Sui dati la probabilità attesa di un taglio dei tassi BoE alla riunione di questa settimana (giovedì) è scesa da poco sopra 70% a poco sopra 50%. C’è pertanto molta attesa per questa riunione: le nostre aspettative sono per tassi fermi. In tal caso la valuta britannica dovrebbe riuscire a stabilizzarsi. Meno probabile infatti che riesca a rafforzarsi ancora, se non di poco, perché la BoE potrebbe lasciare le porte aperte a un taglio più avanti.
Se invece dovesse tagliare già questa settimana la sterlina dovrebbe indebolirsi. L’altro evento della settimana sarà Brexit: venerdì 31 infatti il Regno Unito uscirà dall’UE, ma non dovrebbero esserci effetti di mercato per ora dal momento che fino al 31 dicembre il Regno Unito rimane nel Mercato Unico. Il tema critico dei prossimi mesi saranno i negoziati per il nuovo accordo commerciale con l’UE.

JPY – Lo yen ha chiuso la settimana al rialzo sia contro dollaro da 110 a 109 USD/JPY (massimo a 108 questa notte) sia contro euro da 122 a 120 EUR/JPY (massimo a 119 questa notte) a causa delle preoccupazioni per il virus cinese. A meno di un ulteriore innalzamento dell’allerta, lo yen dovrebbe tornare a seguire il flusso degli indicatori economici, in particolare con riferimento agli sviluppi e ai dati USA. Se questi non deluderanno, la valuta nipponica potrebbe tornare a indebolirsi moderatamente, per ora ancora entro i minimi recenti in area 110 USD.

 

PREVISIONI:

GERMANIA – L’indice Ifo di gennaio è atteso in crescita a 97,2. L’aumento di nove decimi dell’indice, oltre ad estendere il trend positivo iniziato alla fine dell’estate, rifletterebbe il miglioramento delle aspettative (attese a 95 in gennaio da 93,8 di dicembre) e dell’indice della situazione corrente (atteso a 99,4 da 98,8). Il dato di gennaio dovrebbe confermare il punto di svolta dell’economia tedesca e fornire indicazioni puntuali sul cammino della ripresa. Nonostante le buone notizie dal fronte della battaglia dei dazi e il dato dell’indice ZEW, rimaniamo, tuttavia, cauti sulla nostra previsione.

AREA EURO – L’agenda è fitta di dati, a partire dalle stime preliminari del PIL per l’ultimo trimestre 2019.
Il PIL eurozona è visto avanzare ancora di 0,2% t/t; in Francia, il PIL dovrebbe rallentare a 0,2% t/t da 0,3% t/t, mentre in Italia si prevede una variazione nulla.
Saranno anche in uscita le stime flash dei dati di inflazione di gennaio: l’inflazione flash per l’area euro è vista accelerare di un decimo all’1,4%, mentre in Francia è prevista in rallentamento di un decimo all’1,5. Tra gli indicatori di fiducia di gennaio, l’indice ESI di fiducia economica è atteso in aumento a 102,1 da 101,5, mentre il morale delle famiglie francesi è visto in calo; infine, in Italia la fiducia delle famiglie potrebbe marginalmente migliorare, così come quella delle aziende manifatturiere.
La disoccupazione eurozona a dicembre è prevista stabile al 7,5% ma in risalita in Italia a 9,8% da 9,7%.

STATI UNITI
– Le vendite di case nuove a dicembre sono previste in aumento a 725 mila da 719 mila di novembre. La fiducia dei costruttori di case a fine 2019 si è portato sui massimi dal 1999 e dà supporto alla previsione di un trend verso l’alto per il settore immobiliare residenziale. Nel 2020 la tendenza dovrebbe restare positiva, ma con ritmi di espansione più contenuti rispetto al 2019 per via della stabilizzazione dei tassi sui mutui, di vincoli dal lato dell’offerta nel settore e di freno alla domanda dovuto ai prezzi elevati.
– Il focus della settimana sarà sulla riunione del FOMC. La Fed dovrebbe confermare la fase di pausa sui tassi, prepararsi a una normalizzazione della gestione della liquidità e segnalare che il dibattito sulla strategia e sugli strumenti di politica monetaria prosegue e dovrebbe concludersi verso metà 2020.
La prima stima del PIL del 4° trimestre dovrebbe essere intorno al 2% t/t ann., vicina a quella estiva.
Per i dati di dicembre, la previsione è di allargamento del deficit della bilancia commerciale dei beni, calo degli ordini di beni durevoli e crescita moderata di consumi e reddito personali. Il deflatore core dovrebbe mantenersi su un trend contenuto, sempre sotto il 2%. Per gennaio, la fiducia dei consumatori è prevista ancora su livelli elevati, in linea con la media di fine 2019.