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16 Gennaio 2020 – nota economica giornaliera

AREA EURO – La produzione industriale dell’Eurozona è cresciuta di +0,2 m/m in novembre (-1,5% a/a), dopo il -0,9% m/m (dato rivisto) di ottobre. L’aumento è dovuto principalmente alla crescita della produzione di beni di investimento (+1,2% m/m) ed energia (+0,8% m/m). Il dato, leggermente più basso delle attese, segnala che il ritmo di contrazione tendenziale e trimestrale si va riducendo lievemente rispetto ai mesi estivi (-0,6% t/t nel 4° trimestre, da -0,8% t/t precedente).

STATI UNITI
– L’indice Empire della NY Fed a gennaio aumenta marginalmente a 4,8 (da 3,3), confermando un quadro di sostanziale stagnazione nel manifatturiero. Gli ordini sono in ripresa a 6,6 da 1,7; le consegne e gli occupati sono poco variati a 8,6 (da 9,5) e a 9 (da 10,4), rispettivamente. Gli indici di prezzo sono in rialzo, con i prezzi pagati da 15,2 a 31,5 e quelli ricevuti da 4,3 a 14,4.
Gli indicatori a 6 mesi restano sui livelli di dicembre, con le condizioni di attività a 23,6 (da 26,1), e ordini, consegne, occupati e spesa per investimenti circa stabili, in territorio modestamente espansivo. L’indagine non modifica il quadro del settore, coerente con quasi stagnazione da metà 2019.
– Il PPI a dicembre aumenta meno del previsto, con un rialzo di 0,1% m/m per l’indice headline e per quello core (consenso: 0,2% m/m). I beni hanno prezzi in rialzo di 0,3% m/m, mentre i servizi sono invariati su base mensile. I dati confermano l’assenza di pressioni verso l’alto sull’inflazione, nonostante i passati rialzi dei dazi.

GIAPPONE – Gli ordini privati di macchinari a novembre balzano di 18% m/m, contro aspettative di consenso di un rialzo di 3,2% m/m, dopo tre mesi consecutivi di contrazioni. Il rialzo di novembre mantiene in territorio negativo la variazione rispetto al 3° trimestre (-0,4% t/t), anche se riduce il trend negativo visto dall’estate.
Il dato di novembre vede un aumento modesto dalle imprese manifatturiere (+0,6% m/m dopo -1,5% m/m), e un forte rialzo da quelle non manifatturiere (+27,8% m/m, dopo -5,4% m/m a ottobre) e fa prevedere un ridimensionamento a dicembre, che probabilmente lascerà la variazione trimestrale in territorio negativo. Gli investimenti fissi delle imprese dovrebbero essere in aumento moderato nel 4° trimestre.

 

COMMENTI:

CINA–USA – Il presidente Trump e il vice primo ministro cinese Liu He hanno siglato l’accordo economico e commerciale per la fase 1 dei negoziati USA-Cina.
L’accordo consta di otto sezioni e ricalca le linee indicate a metà dicembre, con una modesta riduzione di dazi da parte degli USA e la maggior parte degli impegni a carico della Cina, mirati a facilitare l’operatività delle aziende americane e ad aumentare le esportazioni USA.
L’accordo specifica le condizioni per il controllo del rispetto degli impegni e per la risoluzione delle dispute, attraverso incontri regolari, la possibilità di imporre penalizzazioni appropriate in caso di mancato adempimento di una parte (in questo caso la Cina) e di abbandonare l’accordo con un preavviso.
L’accordo prevede per gli USA una riduzione al 7,5% dei dazi del 15% imposti a settembre su circa 110 mld di dollari di importazioni cinesi e il congelamento di altri rialzi dei dazi.
Dal lato della Cina, l’accordo è modulato su diversi capitoli che prevedono l’impegno a tutelare la proprietà intellettuale, a liberalizzare l’operatività di imprese americane anche senza maggioranza azionaria cinese, a permettere l’attività di istituzioni finanziarie e assicurazioni americane, a facilitare l’importazione di prodotti (con particolare riferimento a quelli alimentari), riducendo controlli e vincoli burocratici.
Questi impegni sono in parte generici e non implicano modifiche della legislazione vigente per attuarli, come invece avevano richiesto gli USA durante i negoziati del 2019, quando la Cina aveva poi bloccato le trattative.
Una sezione dell’accordo è dedicata alla gestione valutaria, con l’impegno ad aumentare la trasparenza e a evitare la manipolazione del cambio attraverso svalutazioni competitive.
Il capitolo 6 dà indicazioni precise riguardo all’espansione dell’interscambio commerciale, con l’impegno da parte della Cina ad aumentare nell’arco di 2 anni (fra gennaio 2020 e dicembre 2021) gli acquisti di beni e servizi americani per almeno 200 mld di dollari rispetto a una base di partenza determinata dai livelli degli acquisti del 2017. Le variazioni richieste riguardano quattro categorie:
a) Beni manufatti, per un ammontare minimo di 32,9 mld nel 2020 e di 44,8 mld nel 2021;
b) Beni agricoli per non meno di 12,5 mld nel 2020 e di 19,5 mld nel 2021;
c) Beni energetici per non meno di 18,5 mld nel 2020 e di 33,9 mld nel 2021;
d) Servizi per non meno di 12,8 mld nel 2020 e di 25,1 mld nel 2021.
Per ora le parti non hanno specificato come suddividere gli incrementi concordati, anche se il testo include un elenco specifico dei beni e servizi interessati dalle misure.
L’accordo prevede che i trend di rialzo degli acquisti definiti per il 2020-21 proseguano nel periodo 2022-25.
Gli acquisti verranno fatti a prezzi di mercato e si accetta che le condizioni di mercato, in particolare per i prodotti agricoli, possano determinare la tempistica degli interventi.
L’impegno ad aumentare in misura massiccia le esportazioni dagli USA alla Cina in un tempo prestabilito non è detto che riesca a materializzarsi, per mancanza di domanda privata in Cina e/o disponibilità dei prodotti in USA.
La dimensione della variazione prevista per le esportazioni USA potrebbe dare luogo ad un aumento degli investimenti in alcuni settori, ma in prima battuta probabilmente determinerà un “rimescolamento” dei flussi commerciali.
I paesi che nel 2018-19 hanno sostituito gli USA nel fornire alla Cina prodotti agricoli (Brasile), manufatti (UE, Giappone), prodotti energetici (Russia) vedranno la domanda per i loro beni calare.
Dall’altro lato, le esportazioni americane di prodotti manufatti saranno deviate verso la Cina, a scapito dei principali partner (Canada, Messico, UE).
Quindi le catene produttive globali saranno nuovamente rivoluzionate, aumentando i costi e l’incertezza. Inoltre, i deficit commerciali fra gli Stati Uniti e altre aree si allargheranno, stimolando interventi punitivi da parte degli USA. Per esempio, le controversie con l’UE potrebbero tornare alla ribalta, con la possibilità dell’apertura del capitolo auto, almeno come minaccia in una fase di negoziati aperti fra USA e Unione Europea.
In conclusione, il nuovo accordo non modifica in modo significativo il quadro disponibile prima della diffusione del testo e della sigla dell’intesa. Le principali implicazioni sono di due tipi, a seconda dell’orizzonte temporale.
Per il breve periodo, si riduce l’incertezza e la tensione con la Cina e si stimola l’attività USA in alcuni comparti ora in difficoltà (agricoltura, aeronautica civile, assicurazioni). La tregua nella guerra commerciale con la Cina durerà probabilmente per gran parte del 2020, ma apre la strada a possibili nuove tensioni con altri partner commerciali. Quindi, per il medio termine, l’accordo per la fase 1 non elimina l’incertezza sulla politica commerciale, ma la modifica nei tempi e nei contesti, rinviandola al 2021.
Per quanto riguarda la crescita USA, le ricadute positive generate da un aumento di export verso la Cina potrebbero essere inizialmente modeste e attuate prevalentemente con un dirottamento di vendite da altre aree. Alcuni settori saranno beneficiari netti dell’accordo (per esempio, agricoltura, istituzioni finanziarie, farmaceutica), ma al momento è presto per valutare se l’intesa sarà sufficiente a fare da volano per aumenti strutturali degli investimenti.

STATI UNITI
– Il Beige Book, preparato per la riunione del FOMC di fine mese, riporta che l’economia ha continuato a espandersi a un ritmo modesto a fine 2019: un paio di distretti registrano crescita superiore alla media, alcuni altri invece segnalano crescita sotto la norma.
I consumi sono stati in aumento “da modesto a moderato”, con attività pre-natalizia “solida” e crescente rilevanza del commercio online.
Il manifatturiero è in stagnazione quasi dappertutto, come riportato anche nel Beige Book precedente, mentre gli altri settori riferiscono espansione fra stabile e moderata.
Si riportano preoccupazioni per l’incertezza sul commercio internazionale e sui dazi, con aspettative modestamente favorevoli per il breve periodo.
Il mercato del lavoro rimane al pieno impiego, con una dinamica occupazionale fra stabile e modesta, frenata in alcuni settori da scarsità di manodopera, mentre nel manifatturiero si registra rallentamento o riduzione della crescita occupazionale. Salari e prezzi sono in aumento modesto.
Il quadro generale riportato dal Beige Book è in linea con quello che emerge da dati e indagini: crescita modesta trainata dai consumi, stagnazione nel manifatturiero, senza indicazioni che possano indurre la Fed a modificare la fase di pausa nel sentiero dei tassi.
Harker (Philadelphia Fed) ha detto che il FOMC sta valutando i potenziali costi e benefici di una standing repo facility e discutendo su diverse ipotesi operative. Questo implica che attualmente non si è in fase di decisione, ma di dibattito, per ovviare in modo strutturale a possibili problemi sulla liquidità.
Harker ha sottolineato che l’esperienza di settembre 2019 mostra che anche un periodo molto breve di tensioni sul mercato monetario causate dalla scarsità di riserve può avere ripercussioni significative e durature.
Secondo Harker, la politica monetaria è “ben posizionata” e probabilmente non è necessario muovere i tassi, né verso l’alto né verso il basso. Kaplan (Dallas Fed) ha detto che l’accordo per la fase 1 dei negoziati USA-Cina è positivo perché riduce l’incertezza, dando sostegno agli investimenti. Nonostante questo, Kaplan prevede che gli investimenti restino deboli, in particolare nel settore energetico, dove prevede una contrazione del 10-15%. Kaplan teme che le politiche attuate dalla Fed generino instabilità sui prezzi degli asset e ritiene essenziale cercare di mantenere contenuta la dimensione del bilancio della Fed.

 

MERCATI VALUTARI:

USD – Il dollaro è sceso nell’attesa della firma dell’accordo commerciale USA-Cina, ma è risalito leggermente subito dopo e oggi apre in risalita, reazione – quest’ultima – che appare coerente.
L’accordo, come emerso già in precedenza, prevede il dimezzamento al 7,5% dei dazi USA su importazioni cinesi introdotti a settembre, la sospensione di quelli di dicembre, ma il temporaneo mantenimento di quelli precedenti (al 25%) che potranno essere eliminati al completamento della “fase 2”, i cui negoziati dovrebbero iniziare a breve.
La Cina si impegna di converso ad acquistare almeno 200 miliardi di dollari di prodotti USA nei prossimi due anni e ad astenersi dal manipolare il cambio e dall’attuare svalutazioni competitive. L’accordo contiene inoltre provvedimenti stringenti per la tutela della proprietà intellettuale.
Come detto ieri, con questo accordo si ha un significativo ridimensionamento per quest’anno dell’incertezza sugli effetti delle politiche commerciali USA-Cina con implicazioni positive sul sentiment di mercato e degli operatori, nonché sulla crescita (la cui portata effettiva degli effetti positivi è comunque da verificare), ma le questioni ancora aperte (non affrontate nella fase 1) possono riproporre incertezza l’anno prossimo, mentre eventuali inadempienze rispetto agli impegni potrebbero produrre nuove tensioni anche prima.
Con la rimozione di una certa dose di incertezza il dollaro potrà tornare a mostrare maggiore reattività al flusso dei dati, con possibile reazione asimmetrica, ovvero più ampia in caso di sorprese favorevoli. Ieri l’indice Empire è salito più delle attese ma restando su livelli ancora bassi, che indicano stagnazione nel manifatturiero, il che non ha permesso al dollaro di rafforzarsi. Oggi escono le vendite al dettaglio, attese positive, e il Philly Fed, atteso in aumento ma, similmente all’indice Empire, su livelli ancora contenuti.

EUR – L’euro è rimasto in area 1,11 EUR/USD, salendo in attesa della firma dell’accordo USA-Cina fino a 1,1163 EUR/USD, senza pertanto raggiungere la resistenza chiave di 1,1170 EUR/USD che chiuderebbe il fronte ribassista. I dati di produzione industriale dell’area hanno mostrato un recupero ma leggermente inferiore alle attese, con una revisione al ribasso sul mese precedente.
Per consentire un rafforzamento significativo del cambio sarebbero necessari dati dell’area più forti e/o un peggioramento dello scenario USA. Per oggi l’euro risponderà ancora ai dati statunitensi. Dai verbali dell’ultima riunione BCE non si attendono infatti elementi di novità.

GBP – La sterlina ieri è scesa sui dati di inflazione che sono risultati più bassi del previsto, mostrando un calo da 1,5% a 1,3% (minimo da tre anni) contro attese di stabilizzazione a 1,5%, ma successivamente è risalita, in un movimento che ha per lo più valenza tecnica.
Contro dollaro rimane così tra 1,29 e 1,30 GBP/USD e contro euro in area 0,85 EUR/GBP.
L’attenzione resterà sui dati domestici per capire se la BoE possa decidere di tagliare i tassi già questo mese (riunione del 30 gennaio).
Dalla banca centrale ieri Saunders, che già aveva votato per un taglio dei tassi alle ultime due riunioni, ha ribadito la propria posizione, spiegando che sull’orizzonte a uno/due anni il rischio è che la crescita domestica rimanga debole, più di quanto si aspetti la BoE, il che rende opportuno allentare tempestivamente la politica monetaria. Oggi dovrebbe esserci un discorso di Haldane. Eventuali indicazioni dovish indebolirebbero ancora la sterlina, ma i giochi si riaprirebbero domani con i dati sulle vendite al dettaglio, attesi positivi.

JPY – Lo yen si è mantenuto in un range stretto contro dollaro in un intorno di 110,00 USD/JPY e contro euro in area 122 EUR/JPY.
Con la firma dell’accordo USA-Cina il ridimensionamento di almeno una parte dell’incertezza dovrebbe favorire un indebolimento della valuta nipponica in presenza degli spunti adeguati, che sarebbero principalmente due: dati USA positivi/migliori del previsto e performance positiva dei mercati azionari.

 

PREVISIONI:

STATI UNITI
– L’indice della Philadelphia Fed a gennaio è previsto in lieve aumento da 2,4 di dicembre (rivisto da 0,3) a 2,8. Le indicazioni dell’ISM manifatturiero di dicembre sono state omogeneamente negative e, insieme al blocco della produzione del 737 Max da parte di Boeing, segnalano ulteriore debolezza nel settore a inizio 2020.
– Le vendite al dettaglio di dicembre dovrebbero essere in rialzo di 0,3% m/m, dopo 0,2% m/m di novembre, frenate da un probabile calo nel comparto auto, alla luce dei dati dei concessionari. Al netto delle auto, le vendite sono previste in aumento di 0,5% m/m. Le informazioni sulle vendite natalizie sono state diffusamente positive, con indicazioni di ampi aumenti soprattutto nel segmento online.
I consumi dovrebbero crescere a un ritmo di poco superiore al 2% t/t ann. nel 4° trimestre.