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14 Ottobre 2019 – nota economica giornaliera

STATI UNITI – La fiducia dei consumatori rilevata dall’Univ. of Michigan a ottobre sorprende verso l’alto, con un aumento a 96 (da 93,2 di settembre).
Il rialzo è diffuso sia all’indice coincidente (a 113,4 da 108,5 di settembre) e delle aspettative (a 84,8 da 83,4). Il miglioramento della fiducia è sostenuto da aspettative di reddito in rialzo e inflazione in calo nel prossimo anno, anche se le famiglie continuano a prevedere un rallentamento dell’economia e effetti negativi della guerra dei dazi. L’inchiesta di impeachment del presidente non ha avuto un grande impatto sullo scenario atteso dalle famiglie. Le informazioni dell’indagine restano coerenti con una dinamica dei consumi in grado di sostenere la crescita complessiva nei prossimi trimestri nonostante il rallentamento degli investimenti.

CINA – I dati di settembre sul commercio estero hanno mostrato un’accelerazione nella flessione di export (-3,2% a/a da -1,0% a/a) e import (da -5,6% a/a a -8,5% a/a). In entrambi i casi, il peggioramento appare legato all’interscambio bilaterale con gli Stati Uniti, e potrebbe riflettere gli impatti del nuovo aumento dei dazi. Tuttavia, l’andamento delle importazioni è debole anche escludendo i flussi dagli Stati Uniti.

 

COMMENTI:

ITALIA – Il governo dovrebbe approvare il Draft Budgetary Plan da inviare entro il 15 ottobre alla Commissione UE. La Legge di Bilancio nella sua interezza dovrebbe poi essere inviata al Parlamento entro il 20 ottobre. La manovra lorda dovrebbe valere 29 miliardi, di cui la metà in deficit e il resto da misure di copertura (ancora in via di definizione in queste ore).

BREXIT – Continueranno anche oggi i negoziati tecnici seguiti all’intesa politica fra Irlanda e Regno Unito della scorsa settimana. I colloqui svoltisi negli ultimi giorni non sono stati sufficienti a produrre un documento finale. A questo punto, sembra improbabile che il Consiglio Europeo del 17-18 ottobre possa ratificare un nuovo accordo: Barnier ha prospettato la possibilità che i negoziati possano continuare dopo il vertice di questa settimana. Perciò, anche se ci fossero progressi clamorosi nei prossimi giorni, probabilmente la finalizzazione richiederebbe comunque una proroga del periodo negoziale oltre il 31 ottobre, e una riunione straordinaria del Consiglio poco prima della fine di ottobre.
In alternativa, il governo Johnson potrebbe riproporre il testo già concordato dal governo May e più volte bocciato dal Parlamento.

STATI UNITI
– I negoziati USA-Cina hanno registrato una tregua dopo diversi mesi di tensioni crescenti, con un mini-accordo che prevede:
1) il rinvio del rialzo da 25% a 30% dei dazi USA su 250 mld di importazioni dalla Cina previsto per il 15 ottobre, senza però modificare la data dell’aumento dei dazi programmato per dicembre, né indicare cambiamenti ai dazi in essere;
2) l’impegno della Cina ad acquistare fino a 50 mld di dollari di prodotti agricoli (senza però specificare tempi di attuazione). Sui temi più strutturali (protezione della proprietà intellettuale e sussidi alle imprese) per ora non ci sono novità concrete, anche se è stato detto che si sono fatti progressi. Trump ha affermato in un tweet che l’accordo siglato è “di gran lunga il più grande e il migliore accordo” mai concluso a favore degli agricoltori nella storia degli USA, ma nel complesso questo traguardo intermedio è tutt’altro che un significativo passo avanti nella guerra commerciale con la Cina.
I temi controversi restano aperti e l’incertezza sulla sorte dei dazi rimane invariata, anche se il rialzo immediato è quanto meno posposto. Se gli investimenti delle imprese sono frenati dall’incertezza più ancora che dai dazi effettivi, è chiaro che il compromesso di brevissimo termine raggiunto alla fine della settimana scorsa è poco rilevante per sostenere lo scenario del 2020.
– La Fed ha annunciato che a partire da martedì inizierà ad acquistare T-bills a un ritmo di 60 mld di dollari al mese fino al secondo trimestre 2020. Il comunicato sottolinea che la decisione riguarda “misure puramente tecniche” necessarie per mantenere il controllo dei tassi di policy e non sono un cambiamento della stance di politica monetaria. Da inizio settembre, quando il mercato monetario ha registrato problemi di liquidità, la Fed ha iniettato circa 200 mld di dollari di fondi con operazioni di rifinanziamento di più giorni per circa 35 mld di dollari, che continueranno a essere rinnovate fino a gennaio 2020, regolarmente due volte alla settimana.
Operazioni di rifinanziamento giornaliere saranno offerte su base regolare, per almeno 75 mld ciascuna. Da agosto la Fed ha reinvestito titoli in scadenza per circa 20 mld.
Powell aveva preparato il terreno per la svolta sulla politica di bilancio a inizio settimana, sottolineando comunque che il ritorno ad acquisti per aumentare i titoli in portafoglio “non è in alcun modo QE”, ma una soluzione a un problema tecnico di funzionamento del mercato monetario. Le nuove misure, anche se non sono QE, avranno comunque l’effetto di ridurre i tassi a breve portandoli più saldamente all’interno del corridoio dei tassi ufficiali.

 

MERCATI VALUTARI:

USD – Il dollaro ha chiuso la settimana passata in pesante ribasso, correggendo ulteriormente e significativamente venerdì, principalmente di riflesso all’apprezzamento della sterlina sugli sviluppi di Brexit ma anche in funzione del nuovo ridimensionamento della risk aversion.
I negoziati commerciali USA-Cina hanno infatti avuto esito favorevole
. È stato raggiunto un accordo sui diritti della proprietà intellettuale, i servizi finanziari e i grandi acquisti di prodotti agricoli, nonché sulle questioni valutarie e sulla trasparenza dei mercati dei cambi. Gli Stati Uniti hanno inoltre sospeso gli aumenti tariffari che sarebbero dovuti entrare in vigore domani ma non hanno ancora preso una decisione in merito a quelli programmati per dicembre. Ora però tali accordi dovranno essere messi per iscritto il che potrà richiedere fino a cinque settimane. Trump ha dichiarato conclusa la fase 1, aggiungendo che le trattative proseguiranno in maniera più estesa in una successiva fase 2 e forse una fase 3, e spingendosi a dire che a questo punto si è molto vicini a finire la guerra commerciale.
Dalla Fed Kashkari ha detto che i rischi verso il basso stanno aumentando e che se i dati continuano così un altro taglio dei tassi sarebbe appropriato. Rosengren ha dichiarato che al momento non vede necessità di altri tagli dei tassi, spiegando che la Fed può permettersi di essere paziente prima di intraprendere nuove azioni. Ha però aggiunto che se la crescita dovesse scendere sotto il potenziale sarebbe favorevole a un allentamento aggressivo e che non è garantito che la solidità dei consumi si mantenga, spiegando che il punto è se i consumi potranno continuare a compensare gli effetti negativi del rallentamento globale e della guerra commerciale. Kaplan ha detto che il quadro dell’economia USA è “misto”, esprimendo preoccupazione per il rallentamento del settore manifatturiero e spiegando che vuole valutare con pazienza i dati per cui si presenterà con “mente aperta” alla riunione di ottobre.
La settimana entrante propone altri numerosi discorsi Fed, da seguire per capire se vi sia o meno la possibilità di un prossimo taglio dei tassi già alla riunione del 30 ottobre piuttosto che a dicembre. Tra i dati i principali in uscita sono l’indice Empire domani, atteso in lieve calo, le vendite al dettaglio mercoledì attese in decelerazione, e il Philly Fed giovedì atteso in calo.
Mercoledì viene pubblicato il Beige Book in preparazione del FOMC di fine mese, importante per verificare se le tensioni commerciali USA-Cina abbiano penalizzato gli investimenti delle imprese.
Complessivamente, alla luce dell’esito del primo round negoziale USA-Cina di venerdì, a meno di delusioni eclatanti dai dati, in particolare da quelli sulle vendite al dettaglio, il dollaro dovrebbe almeno in parte riprendersi dopo l’ampia correzione di giovedì e venerdì. La possibilità di un taglio preventivo dei tassi Fed non dovrebbe risultare penalizzante per il biglietto verde, se non eventualmente in misura modesta e transitoriamente, principalmente perché il livello di partenza dei tassi consente ancora buoni margini di efficacia della politica monetaria.

EUR – Simmetricamente l’euro ha chiuso la settimana passata al rialzo, approfondendo venerdì l’apprezzamento del giorno precedente. Come già spiegato anche in questo caso non si tratta di un movimento basato su fattori di forza propria. Anche l’entità del rialzo è infatti limitata, da un minimo settimanale di 1,0939 a un massimo venerdì di 1,1062 EUR/USD.
La settimana entrante propone come dati la produzione industriale dell’area, oggi, attesa in leggero recupero, lo ZEW tedesco domani, atteso invece in peggioramento, e la stima finale dell’inflazione dell’area mercoledì, che dovrebbe confermare il basso livello della lettura preliminare a 0,9%. Sono inoltre in programma vari discorsi BCE. Complessivamente, a meno di sorprese eclatanti dai dati dell’area o di delusioni significative negli USA, l’euro dovrebbe almeno in parte ritracciare dopo la salita degli ultimi giorni, o se non altro stabilizzarsi. Tecnicamente, fintantoché non viene sfondata la fascia di resistenza a 1,1070-1,1170 EUR/USD resta in essere il fronte ribassista.

GBP – La sterlina ha chiuso la settimana passata con un rimbalzo molto ampio, sia contro dollaro da minimi in area 1,21 a massimi in area 1,27 GBP/USD, sia contro euro da minimi in area 0,90 a massimi in area 0,86 EUR/GBP, aiutata dalle aperture favorevoli su Brexit dopo gli incontri, definiti costruttivi, tra Johnson e il premier irlandese Varadkar giovedì, e quello tra il capo-negoziatore UE Barnier e il ministro britannico per Brexit Barclay venerdì. In un netto cambio di toni rispetto a pochi giorni prima anche il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha dichiarato di aver ricevuto segnali promettenti dal premier irlandese circa la possibilità di un accordo. L’UE ha dato il via libera a trattative non-stop per cercare di arrivare al vertice UE di giovedì/venerdì con una base adeguata per trovare un accordo che funzioni, in particolare sulla questione irlandese che rimane la più complicata. Al momento, però, l’obiettivo non appare ancora a portata di mano.
Il flusso di notizie in merito resterà pertanto il vero driver del cambio in questi giorni, lasciando la sterlina a rischio di un’ampia correzione se i negoziati dovessero fallire. In base alla legge “anti no-deal” approvata dal parlamento britannico a settembre, qualora non si dovesse raggiungere un accordo al vertice di giovedì-venerdì, il governo dovrebbe chiedere all’UE un rinvio di Brexit dal 31 ottobre 2019 al 31 gennaio 2020, rinvio che però fino a qualche giorno fa Johnson ha sempre detto di non voler chiedere, pur affermando di voler rispettare il dettato della legge. Sul fronte dati usciranno domani i dati sul mercato del lavoro, mercoledì l’inflazione e giovedì le vendite al dettaglio: complessivamente le attese sono positive. In programma inoltre alcuni discorsi BoE, a partire da oggi (Carney interverrà domani), importanti per capire se la BoE intenda tagliare i tassi preventivamente in ragione dell’incertezza su Brexit.

JPY – Lo yen invece ha chiuso la settimana passata in calo sia contro dollaro (minimi in area 108 USD/JPY), sia contro euro (minimo a 119,99 EUR/JPY), penalizzato dal calo della risk aversion in funzione sia dell’esito dei negoziati USA-Cina sia delle novità su Brexit. La settimana entrante, a meno di sviluppi molto negativi negli Stati Uniti, la valuta nipponica potrebbe restare sulla difensiva. Da seguire questa notte un discorso di Kuroda, utile per capire se la BoJ si stia effettivamente orientando verso la concessione di nuovo stimolo monetario alla prossima riunione del 31 ottobre, elemento che aggiungerebbe pressioni ribassiste sullo yen.

 

PREVISIONI:

AREA EURO
– La produzione industriale è vista in parziale recupero ad agosto (+0,2% m/m dopo il -0,4% di luglio), grazie agli incrementi visti in Germania (+0,6% m/m), Italia (+0,3% m/m) e Spagna (+0,9% m/m), e nonostante il calo in Francia (-0,9% m/m).
La variazione annua potrebbe peggiorare a -2,6% da -1,8%. Se confermato, il dato lascerebbe l’output in rotta per un calo di -1% t/t nel trimestre estivo, dopo il -0,6% t/t dei mesi primaverili.
– La settimana è povera di dati congiunturali: il più importante è lo ZEW tedesco, che potrebbe correggere a ottobre dopo il deciso recupero di settembre.
– La stima finale dovrebbe confermare l’inflazione Eurozona di settembre stabile all’1,0% per il terzo mese consecutivo.

STATI UNITI – La settimana ha diversi dati di rilievo in uscita: le prime indagini del manifatturiero di ottobre dovrebbero correggere modestamente rispetto ai dati di settembre, con indicazioni di quasi-stagnazione al netto delle auto. Le vendite al dettaglio di settembre dovrebbero essere in aumento contenuto e segnare un rallentamento dopo diversi mesi solidi. La produzione industriale a settembre dovrebbe essere in calo per via dello sciopero di GM, in corso da quattro settimane, mentre i cantieri residenziali sono previsti in calo dopo il rialzo a due cifre di agosto, ma sempre su un trend positivo. Il Beige Book sarà da monitorare per vedere se le imprese riportano freni agli investimenti causati dall’incertezza sulla politica commerciale.