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10 Gennaio 2023 – nota economica giornaliera

AREA EURO – Ieri in Eurozona il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 6,5% a novembre, in linea con le attese, confermandosi sui minimi dall’introduzione della moneta unica.
Anche in Italia il tasso dei senza-lavoro è rimasto invariato al 7,8%, con un calo sia degli occupati (-27 mila unità) che delle persone in attività (-49 mila).
Sia in Italia che nel complesso dell’Eurozona le indagini segnalano una minore dinamica occupazionale ma non una riduzione degli organici.
Inoltre, i dati sulle posizioni vacanti restano coerenti con un mercato ancora teso: ci aspettiamo un aumento contenuto della disoccupazione nel corso del 2023.

GIAPPONE – La spesa reale delle famiglie a novembre è calata di -1,2% a/a, e il reddito reale ha segnato una flessione di -0,3% a/a.
L’inflazione preliminare rilevata a Tokio a dicembre ha toccato il 4% a/a, spinta da energia, alimentari non freschi e tariffe.
L’inflazione dovrebbe superare il 4% a/a a gennaio, ma successivamente moderarsi in misura significativa con l’entrata in vigore di sussidi per l’energia previsti dal nuovo pacchetto fiscale.

 

COMMENTI:

BCE – Questa mattina alle h. 11.10 Isabel Schnabel della BCE interverrà a una conferenza sull’indipendenza delle banche centrali organizzato dalla Sveriges Riksbank.
È improbabile che il discorso di Schnabel spinga i tassi al rialzo, questa volta: i mercati già prezzano un rialzo dei tassi di oltre 50 pb alla riunione di febbraio e di oltre 150 pb entro luglio 2023.

STATI UNITI – Anche oggi non ci sono dati in uscita, ma il discorso di Powell sarà un evento cruciale per dare una direzione alle aspettative riguardo al sentiero dei tassi.
Ieri, Daly (San Francisco Fed) ha sottolineato i ritardi della trasmissione della politica monetaria.
In un contesto di “seria” dipendenza dai dati, rallentare il ritmo dei rialzi e intervenire con “passi più graduali” permetterebbe di rispondere all’informazione in arrivo, tenendo anche conto dei ritardi.
Daly ha detto che alla prossima riunione la discussione sarà fra un intervento da 25 pb e uno da 50 pb, e il CPI di dicembre in uscita giovedì, sarà importante per la decisione del 1° febbraio.
Anche Bostic (Atlanta Fed) ieri ha detto che un altro dato moderato del CPI gli farebbe valutare più seriamente un rialzo da 25 pb.
Nei giorni scorsi, diversi partecipanti al FOMC (Barkin, Evans), hanno dato indicazioni simili segnalando che potrebbe essere opportuno moderare ulteriormente la velocità dei rialzi.
Interventi da 25 pb non implicherebbero comunque che la pausa è imminente.
Questo potrebbe essere il nocciolo del messaggio di Powell: è possibile (forse anche probabile, se il CPI sarà moderato) che a febbraio i rialzi rallentino ancora, ma il mercato non deve pensare che il punto di arrivo dei tassi sia già raggiunto e che la pausa sia imminente.

 

MERCATI VALUTARI:

USD – Il dollaro ha chiuso il 2022 sostanzialmente stabile su livelli raggiunti in seguito al FOMC del 14 dicembre, in calo dai massimi di settembre ma ancora al rialzo rispetto a gennaio.
L’anno nuovo invece si è aperto all’insegna di una maggiore volatilità, con il dollaro che ha esordito al rialzo – favorito soprattutto dai dati occupazionali, migliori del previsto (occupati ADP e non-farm payrolls tra giovedì e venerdì) – salvo poi tornare a scendere rapidamente e ampiamente già venerdì sugli altri dati del mercato del lavoro (in particolare i salari, che hanno mostrato un rallentamento) e sull’ISM non-manifatturiero, che è sceso molto più delle attese portandosi sotto la soglia di 50 (che separa espansione da contrazione), livello al di sotto del quale è scesa anche la componente relativa all’occupazione.
I dati confermano dunque che il punto di arrivo del ciclo di rialzi dei tassi si sta avvicinando, e dai discorsi Fed emerge che al prossimo FOMC dell’1 febbraio si potrebbe discutere se sia già opportuno ridurre ulteriormente la dimensione dei rialzi (da 50 pb a 25 pb): attualmente il mercato sconta pienamente un rialzo di soli 25 pb, con probabilità intorno al 20% di un rialzo di 50 pb.
Da seguire oggi sarà l’intervento di Powell, per verificare quanto gli ultimi dati siano stati chiarificatori agli occhi della Fed, ma altrettanto importanti saranno i dati di inflazione giovedì, previsti in calo.
Se le attese non saranno smentite, il dollaro dovrebbe cedere ancora mantenendosi sulla difensiva.

EURL’euro ha chiuso l’anno passato consolidando i guadagni messi a segno tra i dati di inflazione USA del 13 dicembre e l’esito della riunione BCE del 15 dicembre tra 1,05 e 1,07 EUR/USD, ma ha aperto l’anno nuovo arretrando fino a 1,04 EUR/USD sul temporaneo recupero del dollaro per poi risalire rapidamente in area 1,07 EUR/USD principalmente sul rinnovato cedimento del biglietto verde.
Anche la prospettiva che la BCE alzi i tassi più della Fed nei prossimi mesi (il mercato sconta pienamente un rialzo di 50 pb alla prossima riunione del 2 febbraio) agisce a favore dell’euro e i dati recenti supportano tale scenario.
Se infatti l’inflazione headline è scesa più del previsto, la core invece ha sorpreso verso l’alto salendo ancora e anche gli indici di fiducia sono migliorati più delle attese, pur restando su livelli coerenti con una moderata recessione.
L’euro rimane pertanto supportato e potrebbe rivelarsi più forte delle attese anche nel breve soprattutto se la Fed dovesse ridurre la dimensione dei rialzi già a febbraio.
I livelli chiave da monitorare sono vicini e si collocano nel corridoio di resistenze 1,0760-1,0840 EUR/USD: uno sfondamento al rialzo di tale fascia aprirebbe tecnicamente il fronte rialzista verso 1,14-1,15 EUR/USD.

GBPLa sterlina ha chiuso il 2022 confermando l’indebolimento subìto dopo la riunione BoE del 15 dicembre, scendendo contro dollaro da 1,21 a 1,19 GBP/USD.
Con l’anno nuovo il calo è proseguito fino a 1,18 GBP/USD, ma poi la sterlina ha recuperato fino a 1,22 GBP/USD, in entrambi i casi principalmente di riflesso alla dinamica del biglietto verde.
Il recupero può ampliarsi nel breve se aumenteranno le indicazioni a favore di una riduzione della dimensione dei rialzi Fed già a febbraio, ma il debole quadro domestico (recessione già in corso e inflazione ancora molto elevata) può ridurre l’upside della valuta britannica, penalizzandola rispetto all’euro, nei confronti del quale si è infatti indebolita ulteriormente dopo la riunione BoE da 0,87 a 0,88 EUR/GBP.
La prospettiva che la BoE nei prossimi mesi alzi i tassi meno della BCE (rispettivamente di 100 pb e di 150 pb entro l’estate) tende a penalizzare leggermente la valuta britannica.

JPYLo yen, dopo la riunione BoJ del 20 dicembre, ha seguito una dinamica più volatile, aggiornando i massimi, ma faticando a trovare una direzione e muovendosi in un range tra 129 e 134 USD/JPY, in parte in linea con la dinamica dei rendimenti a lunga USA ma in parte condizionato dall’incertezza su quelle che potrebbero essere le prossime mosse della BoJ.
Se questa, infatti, dovesse allentare ulteriormente il controllo della curva dei rendimenti (YCC) per lo yen aumenterebbero le spinte rialziste.
Nel breve, comunque, fino a che la Fed non abbassa la guardia sull’inflazione, può prevalere ancora la lateralità, mentre successivamente lo yen dovrebbe gradualmente rafforzarsi in linea con il calo atteso dei rendimenti a lunga USA.
Analoga è stata la dinamica contro euro entro il range 137-142 EUR/JPY.

 

PREVISIONI:

FRANCIA – Oggi la produzione industriale è attesa rimbalzare di 0,9% m/m a novembre dopo la pesante flessione di -2,6% registrata il mese precedente.
Le indagini della Banque de France sono coerenti con un recupero dell’output che dovrebbe essere sostenuto anche dall’effetto della fine degli scioperi nelle raffinerie nonché da un rimbalzo della produzione di auto dopo due mesi di contrazione.
L’output resterebbe comunque in rotta per una contrazione di oltre -1,5% t/t nel 4° trimestre.