Seguci su twitter

Categorie

7 Novembre 2022 – nota economica giornaliera

ITALIA – Il PMI servizi è calato ben oltre le attese ad ottobre, a 46,4 da 48,8 di settembre; al netto dei mesi in cui l’attività economica era condizionata dalle restrizioni pandemiche, è un minimo dal 2013.
L’indice composito è sceso a 45,8 da 47,6 di settembre, su livelli coerenti con un calo del PIL nel 4° trimestre, mentre le indicazioni sui prezzi confermano un contesto di pressioni inflattive ancora robuste.

AREA EURO
– Venerdì l’indice PPI è cresciuto di 1,6% m/m a settembre, in rallentamento dal 5% di agosto.
L’inflazione dei prezzi alla produzione è decelerata al 41,9% dal record storico di 43,4% toccato in agosto.
Ci aspettiamo che ad ottobre il PPI possa rallentare ancora; tuttavia, i rialzi attesi per la componente energetica nei mesi a cavallo d’anno potrebbero generare nuove spinte sui costi delle imprese.
– Le stime finali dei PMI servizi di ottobre hanno registrato revisioni al rialzo in Germania (46,5 da 44,9), Francia (51,7 da 51,3) e nel complesso dell’Eurozona (48,6 da 48,2). Gli indicatori compositi rimangono però su livelli recessivi (solo l’economia francese appare in sostanziale stagnazione).

GERMANIA – Questa mattina, la produzione industriale è rimbalzata più del previsto a settembre, di 0,6% m/m dopo il calo di -1,2% m/m registrato ad agosto (dato rivisto al ribasso da -0,8%).
Rispetto ad un anno fa l’output risulta più alto dell’1,6%.
Il manifatturiero ha visto una crescita di 0,7% m/m, spiegata dai beni di consumo (1,4%) e di investimento (1,1%); all’opposto, hanno registrato una marginale flessione i beni intermedi.
Recupera in parte il crollo del mese precedente il settore energetico (1,7% m/m), mentre le costruzioni registrano un nuovo calo (-0,3% m/m).
I settori energivori hanno subito una contrazione di -0,9% m/m.

FRANCIA – La produzione industriale è calata di -0,8% m/m a settembre dopo l’ampio progresso di 2,7% registrato nel mese precedente: oltre alla marcata contrazione dell’output di energia, è diminuita anche l’attività manifatturiera mentre sono tornate a crescere le costruzioni.
Nel complesso l’industria è cresciuta dello 0,8% t/t nel trimestre estivo, ma è attesa correggere nei meso autunnali e invernali.

STATI UNITI – Venerdì, gli occupati non agricoli di ottobre hanno mostrato un aumento di 261 mila, dopo 315 mila di settembre.
Il quadro occupazionale rimane positivo sia nei servizi sia nell’industria, con un incremento di 233 mila posti nel settore privato.
Il tasso di disoccupazione è in rialzo a 3,7%, pur in presenza di un calo della partecipazione, per via di una contrazione di 328 mila occupati rilevati con l’indagine presso le famiglie.
I disoccupati aumentano di 306 mila. I salari orari sono in aumento di 0,4% m/m (4,7% a/a).
I dati danno un quadro sempre positivo del mercato del lavoro.
Dai dati emerge qualche segnale di possibile ritorno verso l’equilibrio, anche se in fase embrionale.
La crescita dell’occupazione è ancora solida, ma il gap fra le indagini presso le famiglie e le imprese segnala una possibile incrinatura nel trend positivo.
I dati raccolti presso le famiglie sono volatili e un solo mese in calo non è indicativo per ora di una nuova tendenza.
Tuttavia, la media a 6 mesi dei nuovi occupati rilevati presso le famiglie, a 84 mila, è ampiamente inferiore ai 347 mila nuovi posti rilevati in media presso le imprese.
Sul fronte dei salari, la media a 3 mesi ann. a 3,9% segnala che il picco della dinamica del costo del lavoro dovrebbe essere alle spalle, anche se il trend degli aumenti mensili è ancora elevato.
Il trend in calo delle dimissioni volontarie, rilevato dai dati dei JOLTS, è rilevante per il trend dei salari, dato che le retribuzioni dei job-switchers sono significativamente superiori a quelli dei job-stayers.
Un elemento negativo è il secondo calo consecutivo della forza lavoro che appesantisce i problemi dal lato dell’offerta.
In conclusione, le informazioni di ottobre non modificano il quadro di un mercato del lavoro ancora sotto pressione, anche se l’evoluzione della divergenza fra le indagini presso le famiglie e le imprese andrà seguita nei prossimi mesi per valutare i trend sottostanti.
I dati danno ancora supporto alla previsione di una Fed sempre hawkish, in linea con la comunicazione del FOMC di novembre.

CINA – Il commercio estero è rallentato più delle attese, registrando una contrazione tendenziale in ottobre, spinto al ribasso dal rallentamento sia della domanda estera sia da quella interna.
Le esportazioni sono scese dello 0,3% a/a in ottobre dopo un aumento del 5,7% settembre e attese di un rallentamento a 4,5% (Consenso Bloomberg).
Mentre le esportazioni verso l’area ASEAN6 rimangono ancora a due cifre (19,9% a/a in ottobre) ma in netto rallentamento rispetto a settembre (29,9% a/a), quelle verso gli Stati Uniti si sono contratte per il secondo mese consecutivo (-12,6% a/a) così come quelle verso l’area euro3 (Italia, Francia e Germania), dove la contrazione è stata maggiore (-17,5% a/a) e in netto peggioramento rispetto a ottobre (-2,6% a/a). Le importazioni, dopo un marginale aumento in settembre (0,3% a/a) sono lievemente scese in ottobre (-0,7% a/a) rispetto ad attese di stabilità.
La dinamica delle importazioni dall’area ASEAN6 rimane moderatamente positiva (2,6% a/a) mentre resta negativa dagli altri partner commerciali, con il Giappone che registra la maggiore contrazione (-10,5% a/a).
La bilancia commerciale mensile è stata di 85,15 miliardi di dollari, poco meno di mezzo miliardo più alta rispetto ad ottobre. Il surplus commerciale nei primi dieci mesi dell’anno si è portato a 2265 miliardi di dollari, rispetto a 2188 miliardi nello stesso periodo del 2021.
La scomposizione merceologica evidenzia una frenata di tutte le categorie di prodotti di cui sono pubblicati i dati preliminari e, in particolare, delle esportazioni di prodotti dell’elettronica e delle importazioni di circuiti integrati e di prodotti agricoli.

 

COMMENTI:

ITALIA – Il Consiglio dei Ministri ha approvato venerdì la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza che rivede e integra quella deliberata lo scorso 28 settembre.
La previsione di crescita del PIL nello scenario tendenziale è stata rivista al rialzo per il 2022, da 3,3% a 3,7%, ma ridotta per il 2023 da 0,6% a 0,3% (le stime per i due anni successivi sono rimaste invariate, a 1,8% e 1,5%).
Tuttavia, il deficit tendenziale è stato confermato al 5,1% quest’anno e al 3,4% l’anno prossimo.
Il nuovo quadro programmatico vede un disavanzo al 5,6% nel 2022 e al 4,5% nel 2023, il che implica una manovra espansiva netta da circa 9 miliardi quest’anno (con la riproposizione dei crediti di imposta a favore delle imprese e la proroga del taglio delle accise sui carburanti fino al 31 dicembre) e 21 miliardi l’anno prossimo, destinati a misure finalizzate a contrastare il caro-energia sino ai primi mesi del 2023; “al più tardi in occasione della predisposizione del prossimo DEF, si valuterà se sussista l’esigenza di ulteriori interventi” in tal senso.
Il deficit programmatico è visto poi al 3,7% nel 2024 e al 3% nel 2025. Per effetto della manovra, la crescita del PIL l’anno prossimo è attesa allo 0,6% contro lo 0,3% del quadro a legislazione vigente.
Nelle intenzioni del Governo, il nuovo allentamento del bilancio non impedisce una graduale discesa del rapporto debito/PIL, che pure sarà modesta l’anno prossimo (a 144,6% dal 143,2% stimato nel precedente quadro tendenziale, e dal 145,7% del 2022).

BCE – La presidente della BCE Lagarde ha sottolineato che diversi fattori, tra i quali la transizione energetica forzata e la ridefinizione delle catene globali del valore, potrebbero aumentare strutturalmente l’inflazione.
Lagarde ha ammesso che la BCE non può evitare gli effetti di primo impatto degli shock in atto, ma ha avvisato che intende assicurare che la ripartizione degli oneri tra famiglie e imprese non abbia ripercussioni inflazionistiche.
Quindi, “è necessario seguire con molta attenzione le aspettative di inflazione e le trattative salariali per assicurare che la dinamica retributiva non si attesti persistentemente su livelli incompatibili con il nostro obiettivo”.
Secondo la BCE, avendo osservato la reazione della banca centrale “le imprese dovrebbero rivedere al ribasso le proprie aspettative sui prezzi di vendita”.
Le prossime mosse di politica monetaria saranno influenzate da un complesso di fattori, tra i quali anche l’andamento delle politiche fiscali.
Secondo Villeroy de Galhau (Banque de France), la BCE dovrà continuare ad alzare i tassi fino a quando l’inflazione core non avrà imboccato la discesa, passaggio che si attende nel primo semestre 2023.
Tuttavia, non siamo lontani dal livello ‘neutrale’ dei tassi, e a quel punto la velocità dei rialzi rallenterà.

STATI UNITI – In termini di eventi, le elezioni midterm dovrebbero riportare in vigore un regime di governo diviso, con la fine della maggioranza democratica in Congresso.
Le previsioni sono di Camera repubblicana, con un margine ampio, mentre per il Senato l’esito è incerto, con i democratici favoriti solo marginalmente.

 

MERCATI VALUTARI:

USDIl dollaro ha chiuso la settimana passata in solo marginale rialzo rispetto ai livelli di apertura, avendo ceduto venerdì tutta la salita post-FOMC per via dei segnali contrastanti emersi dall’employment report. Inizialmente si è rafforzato sui dati che avevano mostrato un aumento degli occupati più ampio delle attese, ma poi ha più che ritrattato sull’aumento del tasso di disoccupazione, uno dei possibili segnali che anche sul mercato del lavoro potrebbe essere partita una fase di decelerazione delle dinamiche occupazionali e salariali.
Come già detto di recente, questa volatilità del dollaro è coerente con la fase di passaggio in cui si trova il ciclo di policy: la prospettiva che la Fed passi già fra un mese a rialzi dei tassi più moderati, anche se il punto di arrivo finale potrà essere più elevato, contribuisce a ridurre l’upside del biglietto verde.
Il prossimo test chiave si avrà giovedì con i dati di inflazione, per i quali si attende una moderata decelerazione.
Se le aspettative non saranno disattese il dollaro dovrebbe tendenzialmente stabilizzarsi.
Marginale e comunque transitorio dovrebbe essere invece l’impatto delle elezioni di mid-term in programma domani.

EURL’euro ha chiuso la settimana passata pressoché stabile sui livelli di apertura in area 0,99 EUR/USD, avendo però riguadagnato venerdì sull’employment report il precedente calo post-FOMC a 0,97 EUR/USD e aprendo al rialzo anche oggi dove si è raffacciato alla parità.
I driver di dollaro rimangono dominanti e se l’inflazione USA dovesse deludere l’euro riuscirebbe a rafforzarsi ulteriormente.
L’upside sarebbe però comunque limitato (resistenze chiave nella fascia 1,00-1,02 EUR/USD) per via del deterioramento del quadro area euro atteso in chiusura d’anno.
I dati di produzione industriale tedesca questa mattina hanno sorpreso positivamente, ma il quadro prospettico resta molto negativo e in ampio peggioramento sono previsti giovedì i dati di produzione italiana.
L’avvicinarsi della fine del ciclo di rialzi Fed potrebbe tuttavia, se confermata, contribuire a ridurre il downside dell’euro, ipotesi che potrà essere più facilmente verificabile dopo i dati di inflazione USA di giovedì.

GBPLa sterlina ha chiuso la settimana passata in calo contro dollaro da 1,16 a 1,13 GBP/USD, recuperando però anch’essa il calo post-FOMC sull’employment report venerdì e aprendo al rialzo fino a 1,14 GBP/USD anche oggi.
Nel caso della sterlina però, più che rispetto all’euro, i driver domestici in questa fase sono tanto significativi quanto quelli USA.
Il dato di PIL del 3° trimestre in uscita venerdì è atteso molto negativo: le previsioni sono per una contrazione che segnerebbe l’avvio della recessione “biennale (durata contenuta nelle previsioni della BoE).
Ferma restando quindi una nuova possibilità di rafforzamento qualora i dati USA di inflazione giovedì dovessero deludere, la sterlina tornerebbe poi a indebolirsi venerdì sui dati di PIL domestici.
La valuta britannica infatti ha chiuso la settimana passata in calo anche contro euro da 0,85 a 0,87 EUR/GBP, essendo stata doppiamente penalizzata giovedì dall’esito del FOMC e della riunione BoE.

JPYLo yen ha chiuso la settimana passata in leggero rialzo contro dollaro da 147 a 146 USD/JPY, avendo anch’esso più che recuperato il calo post-FOMC sull’employment report di venerdì, grazie alla non-salita dei rendimenti a lunga USA.
Il prossimo test chiave sarà con i dati di inflazione USA giovedì: se dovessero sorprendere al rialzo facendo salire ancora i rendimenti lo yen subirebbe ancora pressioni ribassiste, ma il downside dovrebbe restare comunque contenuto entro o poco oltre i minimi recenti, fintantoché viene confermato lo scenario che il ciclo di rialzi Fed sia prossimo al termine.
Contro euro lo yen è invece in calo da venerdì da 144 a 146 EUR/JPY per via del maggior recupero dell’EUR/USD.

 

PREVISIONI:

AREA EURO
– La settimana si prospetta povera di indicatori congiunturali.
Nell’Eurozona ci attendiamo un contenuto rimbalzo delle vendite al dettaglio a settembre, ma la tendenza sottostante per i consumi dovrebbe rimanere debole
– Nel resto della settimana, in Italia l’output industriale dovrebbe tornare a flettere in misura piuttosto marcata dopo gli inattesi progressi registrati tra luglio e agosto;
– In calendario anche la stima finale dell’inflazione di ottobre in Germania.

STATI UNITI – Oggi non ci sono dati in uscita.
Questa settimana l’agenda ha pochi appuntamenti, ma di grande rilievo.
Sul fronte dei dati, il focus sarà sul CPI di ottobre.
Il CPI core di ottobre dovrebbe registrare un aumento di 0,5% m/m (con rischi verso il basso), sempre spinto dalla dinamica dei servizi ex-energia.