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3 Novembre 2022 – nota economica giornaliera

ITALIA – Il PMI manifatturiero è sceso a 46,5 da 48,3 di settembre (se si escludono i mesi di lockdown, è un minimo dal 2012).
L’indagine ha registrato una decisa accelerazione al ribasso della tendenza al calo degli ordini, delle commesse inevase e degli acquisti di beni intermedi, segnali non favorevoli per la produzione nei prossimi mesi.
In rallentamento la crescita dei prezzi, pagati e ricevuti, comunque su livelli storicamente elevati; le intenzioni di assunzione sono coerenti con una sostanziale stagnazione dell’occupazione.

AREA EURO – Le stime finali degli indici PMI manifatturieri di ottobre hanno registrato revisioni al ribasso in Germania (45,1 da 45,7), Francia (47,2 da 47,4) e nel complesso dell’Eurozona (46,4 da 46,6).
In calo anche le prime stime per la Spagna.

GERMANIA – Ieri il tasso di disoccupazione ad ottobre è rimasto invariato al 5,5%; ci aspettiamo un incremento solo moderato del tasso dei senza lavoro nei prossimi mesi.

STATI UNITI – Ieri, la stima ADP degli occupati non agricoli privati a ottobre ha rilevato un aumento di 239 mila posti, spinti dai servizi (in particolare, ricreazione e tempo libero) a fronte di correzioni nelle costruzioni e nel manifatturiero.

CINA – L’indice PMI dei servizi rilevato da Caixin Markit è sceso da 49,3 in settembre a 48,4 in ottobre, segnalando che le misure di contenimento dei contagi hanno contribuito ad un’ulteriore contrazione dell’attività nel settore.
Tuttavia, le imprese sembrano essere più fiduciose nel futuro, segnalando un’espansione dell’occupazione per la prima volta da dicembre 2021 e un aumento delle aspettative anche se su livelli contenuti.
Gli ordini hanno continuato a contrarsi seppur ad un ritmo inferiore al mese di settembre; le componenti dei prezzi segnalano un rallentamento dell’inflazione dei costi degli input e un marginale aumento dei listini di vendita.
L’indice composito è sceso da 48,5 in settembre a 48,3 in ottobre.

 

COMMENTI:

BCE – Secondo Makhlouf (Irlanda, membro del consiglio direttivo BCE), è presto per dire se a dicembre i tassi dovranno salire di 50 o 75 punti base; riguardo alla riduzione del portafoglio APP, a suo giudizio dovrebbe essere avviato il prossimo anno.

STATI UNITI – La riunione del FOMC si è conclusa in linea con le attese, con un voto unanime per un rialzo di 75 pb, che ha portato l’obiettivo dei fed funds a 3,75-4%.
Il focus del messaggio della Fed si è spostato, come previsto, dalla corsa univoca dei tassi verso l’alto, alla calibrazione degli interventi futuri, da attuare valutando gli effetti ritardati della restrizione monetaria cumulata.
La conferenza stampa ha dato una connotazione generalmente hawkish al messaggio apparentemente neutrale del comunicato, segnalando una preferenza per un sentiero meno ripido, ma con un punto di arrivo potenzialmente più elevato rispetto a quanto segnalato a settembre.
Nel comunicato, il paragrafo di valutazione del quadro macro è identico a quello della riunione di settembre.
Le modifiche compaiono nella sezione dedicata alla politica monetaria e introducono la nuova fase della strategia della Fed affermando che, secondo il Comitato, ci saranno appropriati “continui” interventi ma precisa che “l’obiettivo è quello di raggiungere una stance di politica monetaria abbastanza restrittiva da riportare l’inflazione al 2% nel tempo”.
Inoltre, si specifica che “nel determinare il ritmo degli aumenti futuri dell’intervallo obiettivo, il Comitato prenderà in considerazione la restrizione cumulata della politica monetaria, i ritardi con cui la politica monetaria influenza l’attività economica e l’inflazione, e gli sviluppi economici e finanziari”.
La conferenza stampa ha ridotto l’importanza del ritmo dei rialzi, spostando l’accento sul punto di arrivo e sul livello di restrizione.
Powell, infatti, ha affermato che “la questione di quando moderare il ritmo dei rialzi è ora molto meno importante della questione di quanto in alto portare i tassi e per quanto tempo mantenere la politica monetaria restrittiva”.
Powell ha ricordato che “c’è ancora da fare” e la Fed “manterrà la rotta fino a quando il lavoro non sarà concluso”, segnalando che alla prossima riunione il ritmo di aumento dei tassi potrebbe essere ridotto, ma nel 2023 il punto di arrivo potrebbe essere più elevato di quanto previsto a settembre.
Nella discussione sul sentiero dei tassi, è emerso che le variazioni mensili dell’inflazione corrente saranno meno rilevanti per il ritmo dei rialzi, mentre le pressioni sul mercato del lavoro assumono ora un ruolo più centrale.
Questo spostamento verso indicatori ancora più ritardati rispetto ai prezzi rende poco trasparente la comunicazione della Fed, a nostro avviso.
Nelle prossime settimane, i discorsi dei partecipanti e successivamente, i verbali, chiarificheranno il messaggio della conferenza stampa.
Per ora riteniamo che la prossima mossa sia di 50 pb a dicembre, ma vediamo anche rischi elevati di un altro rialzo di 50 pb a febbraio, rispetto ai 25 pb previsti dal grafico a punti e dal nostro scenario.
Il punto di arrivo dei fed funds potrebbe muoversi al 5% nel 1° trimestre 2023.

 

MERCATI VALUTARI:

USDDopo un’iniziale reazione al ribasso, alla fine il dollaro si è rafforzato sull’esito del FOMC.
La Fed, infatti, che ha alzato i tassi come da attese di 75 pb a 3,75%-4,00%, ha indicato che a breve l’entità dei rialzi potrà venire ridimensionata, per cui è probabile che, dati permettendo, l’incremento sia ridotto a 50 pb già alla prossima riunione di dicembre, e su questo il dollaro inizialmente ha corretto.
Poco dopo però, durante la conferenza stampa di Powell, ha più che recuperato ed è in salita anche oggi perché a causa del deterioramento ulteriore del quadro inflazionistico è emerso che la Fed potrebbe dover alzare complessivamente i tassi più di quanto ipotizzato a settembre, per cui il picco del ciclo restrittivo potrebbe essere più elevato.
Nel breve questo offre al dollaro la possibilità di mantenere quel vantaggio di cui ha goduto tutto l’anno e quindi di rafforzarsi ancora verso, o eventualmente poco oltre, i massimi recenti di fine settembre.
Tuttavia la Fed ha spiegato che le decisioni sui tassi dipenderanno dai dati, soprattutto quelli sul mercato del lavoro, per cui se le indicazioni di crescenti pressioni inflazionistiche dovessero poi essere smentite da tali dati, il dollaro reagirebbe al ribasso.
Successivamente invece il quadro rimane invariato, perché una volta chiuso il ciclo di rialzi, la fine del trend rialzista dei rendimenti dovrebbe favorire anche l’interruzione del trend rialzista del dollaro, che potrà poi ritracciare più o meno significativamente in base al timing atteso (più vicino o più lontano) della successiva svolta di policy (tagli dei tassi).

EURL’euro, che inizialmente sull’esito del FOMC si era rafforzato da 0,98 a 0,99 EUR/USD, è poi rapidamente sceso durante il discorso di Powell, ed è in calo anche oggi fino a 0,97 EUR/USD.
La possibilità che la Fed possa alzare i tassi più del previsto sullo scavalco dell’anno, proprio quando si dovrebbe registrare un chiaro peggioramento del quadro di crescita e inflazione dell’area, lascia l’euro esposto a nuova debolezza nel breve, verso i minimi recenti in area 0,95 EUR/USD, con rischi leggermente verso il basso.
A meno di delusioni significative dall’area euro o di sviluppi molto negativi sul fronte russo-ucraino, il downside dovrebbe tuttavia essere limitato.
A fare la differenza infatti saranno probabilmente ancora i dati USA e dato che la Fed ha nuovamente innalzato le aspettative sui tassi, qualora alla prova dei dati questi dovessero smentire lo scenario di ulteriori pressioni inflazionistiche, il dollaro scenderebbe e l’euro di riflesso si rafforzerebbe.

GBPAnche la sterlina ha nel complesso corretto post-FOMC scendendo tra ieri e oggi contro dollaro da 1,15 a 1,12 GBP/USD e contro euro da 0,85 a 0,86 EUR/GBP.
Oggi tuttavia la valuta britannica risponderà anche all’esito della riunione BoE, per la quale c’è molta attesa.
L’esito infatti è divenuto più incerto del solito a causa delle incognite sul fronte fiscale, dato che l’annuncio del nuovo piano fiscale è stato rinviato dal 31 ottobre al 17 novembre.
Le attese sono per il passaggio ad un incremento più elevato dei tassi oggi, da 50 pb a 75 pb, che porterebbe il bank rate a 3,00%, in ragione del deterioramento del quadro inflazionistico.
Il mercato di fatto lo sconta pienamente e già alla riunione di settembre tre membri su nove avevano votato per un rialzo di 75 pb.
Maggiore incertezza vi è invece sulle nuove previsioni di crescita e inflazione che verranno presentate con il Monetary Policy Report aggiornato, perché non si conoscono ancora i dettagli del nuovo piano fiscale.
Se fossero state mantenute le misure annunciate a fine settembre dal precedente governo Truss ci si sarebbe potuti attendere una revisione al rialzo per la previsione di crescita, al ribasso per il picco di inflazione di breve termine e al rialzo per l’inflazione nel medio termine.
Con le modifiche preannunciate dal nuovo governo, che ha ritirato buona parte delle misure espansive riducendo la portata delle misure per contenere l’impatto dei rincari sulle bollette energetiche si potrebbe avere un marginale ritocco migliorativo sul picco di inflazione atteso nel breve, ma la prospettiva di una revisione al rialzo per crescita e inflazione sul prossimo biennio appare più in dubbio e, in attesa dei dettagli, le previsioni potrebbero restare pressoché invariate a meno di qualche modifica marginale.
In tal caso la sterlina resterebbe ancora esposta nel breve a nuova debolezza, a causa sia dell’incertezza sia del mantenimento di uno scenario di recessione con più elevata inflazione.
La valuta britannica potrebbe invece rafforzarsi leggermente qualora ci fosse una revisione migliorativa del profilo atteso di crescita e/o inflazione.

JPYAnche lo yen si è inizialmente rafforzato post-FOMC da 147 a 145 USD/JPY, per tornare però a indebolirsi poco dopo verso 148 USD/JPY sulla salita dei rendimenti a lunga USA.
La prospettiva che nel breve questi salgano ancora in funzione della possibile revisione al rialzo del punto di arrivo del ciclo di rialzi Fed mantiene pressioni ribassiste sullo yen, che dovrebbero restare tuttavia contenute entro la fascia 150-152 USD/JPY, fintantoché la revisione sui Fed Funds si mantiene entro i 25-50 pb. Contro euro lo yen si è invece rafforzato tra ieri e oggi da 146 a 144 EUR/JPY per via del calo dell’EUR/USD.

 

PREVISIONI:

AREA EURO – Oggi prevediamo un tasso di disoccupazione stabile al 6,6% a settembre.
Nei prossimi mesi una minore domanda di lavoro sull’onda del rallentamento ciclico appare inevitabile; tuttavia, è possibile che l’aggiustamento avvenga attraverso una riduzione delle posizioni vacanti a fronte di un impatto più contenuto sul numero di occupati.
Sempre a ottobre, la disoccupazione è attesa stabile anche in Italia, al 7,8%.

STATI UNITI – Oggi, l’ISM dei servizi a ottobre dovrebbe correggere a 55,1 da 56,7, mantenendo ampio il differenziale con il PMI dei servizi, in territorio recessivo da diversi mesi.
L’indagine dovrebbe mostrare ulteriore indebolimento sia dell’occupazione che dell’attività, con indicazioni di rallentamento della domanda, collegato ai prezzi elevati, e di compressione dei margini.