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Il giudice e la decisione: perché l’ordinamento non contempla le sentenze di non liquet, neanche in tema di usi civici

Corte d’Appello di Roma, Sez. spec. usi civici – 6 ottobre 2014, n. 24

In generale, le sentenze civili che definiscono le controversie, sia sotto il profilo processuale che nel merito, hanno a fondamento un «giudizio» sulla domanda dell’attore nel contraddittorio con l’altra parte, ma mai hanno come esito – né possono avere per il nostro ordinamento – una rinuncia da parte del magistrato alla funzione del giudicare.

I princìpi del processo civile, letti in correlazione con quelli della Costituzione (artt. 24 e 111), impongono al giudice di pronunciarsi sempre sulla questione controversa, salvo che le parti rinuncino all’azione, ovvero nel caso in cui si sia verificata una situazione di cessata materia del contendere (1). Il codice di procedura civile, nel Titolo V «Poteri del giudice», prescrive che quest’ultimo deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa (art. 112) e che egli deve seguire le norme del diritto (art. 113). I princìpi enunciati dalle due citate disposizioni fanno sì che il giudice, chiamato a decidere sulla domanda, assuma un ruolo di garanzia di parità di trattamento tra i cittadini, affinché non soltanto il caso particolare, «ma tutti i possibili casi particolari identici siano decisi nello stesso modo, quindi con identica applicazione del diritto» (2).

Di qui, non solo la libertà del giudice di ricerca delle norme di diritto da applicare, ma anche il dovere di assicurare alle parti una pronuncia, o di accoglimento o di rigetto, sulla base delle prove offerte nella causa, nel contraddittorio delle parti. In forza dell’art. 115 c.p.c., la decisione deve essere fondata sulle prove fornite dalle parti: ciò significa che il giudice è, in linea di massima, estraneo alla prova e non può ricorrere a sue scienze private: oltre ad attingere al fatto notorio, e cioè a nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, il giudice ha la facoltà però di essere coadiuvato, nella formazione del proprio convincimento, da un Consulente tecnico d’ufficio, il quale può essere chiamato ad integrare quegli elementi di conoscenza che il giudice non potrebbe altrimenti desumere dal processo.

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Nicoletta Rauseo