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15 Febbraio 2019 – nota economica giornaliera

FRANCIA – La disoccupazione nel quarto trimestre è calata di tre decimi da 9,1% a 8,8% e per la Francia metropolitana da 8,8% a 8,5%, ai minimi dal 2009 e in linea con le nostre stime.
Nella Francia metropolitana i disoccupati sono calati di 90mila unità e sono ora circa 2,5 milioni di persone, con il calo più accentuato nella fascia giovane della popolazione, mentre nella fascia della popolazione con più di 50 anni è rimasta stabile.
Anche la percentuale dei disoccupati di lunga durata è rimasta stabile al 3,4%, come nel terzo trimestre. Parallelamente il tasso di occupazione (15-64 anni) è aumentato di due decimi nel quarto trimestre a 66,1% ai massimi dal 1980.
In media annua la disoccupazione quindi è calata di tre decimi a 9,1% nel 2018: se mantenuta su questi ritmi, il calo della disoccupazione a fine 2022 potrebbe effettivamente arrivare attorno al 7,5%, in linea con l’impegno elettorale preso da Macron all’inizio del suo mandato. Per l’anno in corso prevediamo un ulteriore calo verso l’8,7%.

PAESI BASSI – La prima stima del PIL nel quarto trimestre mostra un avanzamento di 0,5% t/t.
Il dettaglio mostra che la domanda interna ha contribuito per 0,5 dopo la battuta d’arresto del terzo trimestre: i consumi sono tornati a espandersi (+0,5% t/t dopo la stagnazione estiva) mentre gli investimenti fissi avanzano di 0,7% t/t da -0,1% t/t e anche quelli pubblici riprendono a espandersi (+0,5% t/t) dopo due trimestri in cui erano rimasti fermi. Il canale estero contribuisce altresì per 0,4 grazie alla forte contrazione delle importazioni (da +1,2% t/t a -2,1% t/t) che ha più che compensato il calo delle esportazioni (da +1,1% t/t a -1,3% t/t). La variazione annua rallenta all’1,8% da 2,3% portando la media annua 2018 a 2,5% da 3,0%. A differenza di altre economie dell’eurozona, i Paesi Bassi godono di una notevole resilienza della domanda interna, sebbene il canale estero segnali che il l’impatto del commercio mondiale ha pesato in chiusura d’anno e non è ancora chiaro se all’inizio del 2019 il trend si stia già invertendo o meno.

STATI UNITI – Le vendite al dettaglio sorprendono ampiamente verso il basso, segnando una variazione di -1,2% m/m per l’aggregato totale (-1,8% m/m per quello ex-auto e di -1,4% m/m per quello al netto di auto e benzina).
Fra le poche voci positive ci sono: le auto, con un solido aumento di +1% m/m (che probabilmente sarà di breve durata), i materiali da costruzione (+0,3% m/m, che però non entrano nella definizione dei consumi).
A dicembre prevalgono le voci negative: abbigliamento (-0,7% m/m, dopo due mesi molto forti), arredamento (-0,3% m/m), attrezzatura sportiva (-4,9% m/m), vendite online (-3,9% m/m), bar e ristoranti (-0,7% m/m), sanità e cura della persona (-2% m/m), benzina (-5,1% m/m).
I dati delle vendite di dicembre implicano una revisione verso il basso delle previsioni dei consumi, che sulla base dei dati disponibili fino a novembre erano visti in rialzo di 3,8% t/t ann. nel 4° trimestre; con i dati di dicembre, la stima nowcasting dell’Atlanta Fed rivede verso il basso la dinamica dei consumi a 2,6% t/t ann. Questo rallentamento delle vendite a cavallo di fine 2018 è in contrasto con l’andamento sempre positivo del mercato del lavoro e non è sufficiente a indicare un indebolimento massiccio della dinamica della spesa personale. Tuttavia, indubbiamente anche per i consumi il meglio è alle spalle: le indagini di fiducia dei consumatori mostrano un trend in calo persistente delle aspettative. Per ora, comunque, questo trend non implica un serio rallentamento della crescita, ma resta in linea con un’espansione dei consumi intorno al 2,5% nel 2019.

Il PPI a gennaio cala di -0,1% m/m, ma l’indice core aumenta di 0,3% m/m. Le indicazioni dei prezzi restano in linea con un andamento molto moderato dell’inflazione.

I nuovi sussidi di disoccupazione aumentano a 239 mila nella settimana conclusa il 9 febbraio, da 235 mila della settimana precedente.

CINA – L’inflazione dei prezzi al consumo è scesa a 1,7% a/a in gennaio da 1,9% in dicembre, il minimo degli ultimi 12 mesi, trainata al ribasso dal rallentamento nel comparto degli alimentari (da 2,5% a 1,9% a/a in gennaio) e dal calo di quella del comparto dei trasporti e comunicazioni (da -0,7% a -1,3% a/a). L’inflazione al netto degli alimentari è rimasta stabile a 1,7%; quella al netto di alimentari e carburanti è lievemente salita a 1,9% in gennaio, trainata al rialzo dal comparto dei servizi (da 2,1% a 2,4% a/a).
I prezzi alla produzione sono scesi per il terzo mese consecutivo (-0,1% m/m) e la dinamica tendenziale si è portata a 0,1% a/a, il minimo degli ultimi due anni, trainata al ribasso dal calo del prezzo delle materie prime ma anche dal rallentamento dei prezzi dei beni manufatti, che testimonia il rallentamento della domanda interna.
Le pressioni inflative rimangono quindi contenute e lasciano spazio ad un ulteriore allentamento delle condizioni monetarie nel corso dell’anno.

 

COMMENTI:

ITALIA – Kathrin Muehlbronner, lead analyst per l’Italia di Moody’s, ha dichiarato che l’agenzia rivedrà al ribasso la stima di crescita sul PIL italiano quest’anno, a un valore “sicuramente sotto l’1%, probabilmente tra 0 e 0,5%”.
Ricordiamo che Moody’s è l’agenzia che ha attualmente la valutazione più pessimistica sul debito italiano, un gradino sotto quella di Fitch e S&P (entrambe però con outlook negativo: la prima si pronuncerà il 22 febbraio, la seconda il prossimo 26 aprile).
Lo scorso 19 ottobre, quando l’agenzia ha tagliato a Baa3 il rating sull’Italia, la previsione era dell’1,3%. Ricordiamo che nella nota di ottobre, tra gli eventi che Moody’s indicava come potenzialmente in grado di causare un downgrade c’era il rischio di una salita del debito “anche in conseguenza di una crescita del PIL più debole del previsto”.
Muehlbronner ha aggiunto comunque che l’outlook è stabile e copre un arco di 12-18 mesi, e di non aspettarsi per il momento cambiamenti. L’analista vede anche un significativo rischio di elezioni anticipate, probabilmente dopo la consultazione europea di fine maggio.

REGNO UNITO – La banale mozione del governo che chiedeva altro tempo per continuare il negoziato con l’UE su eventuali modifiche al backstop per l’Irlanda è stata bocciata con 303 contro 258. La sconfitta è arrivata a causa dell’astensione dei conservatori euroscettici, che volevano dare un segnale al governo riguardo alla loro ostilità all’ipotesi di rinvio della scadenza del 29 marzo. Il governo ha subito dichiarato che continuerà lungo la strada indicata dalla mozione approvata il 29 gennaio, tentando di ottenere modifiche legalmente vincolanti dall’UE. Tuttavia, le divisioni all’interno della maggioranza rendono ancora più improbabile che arrivino concessioni da parte dell’Unione Europea nei prossimi giorni, mentre potrebbero essere i conservatori contrari a Brexit a causare problemi alla premier se la strategia non cambierà entro il 27 febbraio. In uno sviluppo collaterale del dibattito, il governo ha promesso di pubblicare i briefing interni con le valutazioni sugli effetti di una no-deal Brexit.

STATI UNITI – Secondo la Casa Bianca, Trump dovrebbe firmare oggi il pacchetto di leggi di spesa di 333 mld in scadenza a mezzanotte, evitando un nuovo shutdown. Il presidente però intende anche dichiarare una situazione di emergenza nazionale al confine, mirando a spostare fondi per il finanziamento del muro da fondi per costruzioni della difesa o da quelli allocati all’US Army Corps of Engineers.
Trump terrà una conferenza stampa sulla situazione al confine oggi alle 10 a.m, ora locale. L’eventuale dichiarazione di emergenza nazionale, criticata sia dai democratici sia dalla leadership repubblicana., aprirebbe un nuovo fronte di conflitti politici con il Congresso, oltre a rendere più incerta la divisione dei poteri legislativo ed esecutivo e a trascinare probabilmente la questione in tribunale, potenzialmente fino alla Corte Suprema. La risoluzione dell’incertezza sullo shutdown, che peraltro si ripresenterà a fine settembre, lascia quindi il posto a un nuovo fronte di scontri con esiti incerti.

Brainard (Board Fed) ha affermato di essere favorevole alla fine della riduzione del portafoglio della Fed entro la fine del 2019, per poter avere un livello elevato di riserve con cui controllare i tassi: secondo Brainard, è opportuno avere un margine al di sopra dei livelli di riserve desiderati.
Harker (Philadelphia Fed) prevede ancora due rialzi dei tassi, probabilmente uno nel 2019 e uno nel 2020, sottolineando che al momento ci sono rischi solo molto marginali verso il basso.
Bostic (Atlanta Fed) ha sottolineato la necessità di essere pazienti per valutare lo scenario, e ha indicato che l’economia dovrebbe rallentare quest’anno rispetto al 2018.
La prossima settimana ci saranno nuove informazioni, con diversi interventi di esponenti del FOMC a una conferenza del 22 febbraio.

 

Le vendite al dettaglio americane deboli hanno confermato che anche negli Stati Uniti il meglio è alle spalle: il dato ha indebolito l’indice del dollaro, ieri, che ha corretto dello 0,2%.

Contro euro, il biglietto verde si è circa stabilizzato poco sotto a 1,1300 e scambia ora a 1,1285. Con l’agenda dei dati in uscita oggi concentrata sugli Stati Uniti, il dollaro rimarrà ancora il driver principale del cross EURUSD.

Sterlina in lieve indebolimento contro dollaro, con mantenimento del trend attuale. Contro euro, la sterlina ha ceduto lo 0,5% ieri portandosi a 0,8810.

Lo yen ha tratto beneficio dalla debolezza del dollaro e dalla lettura del dato di PIL del quarto trimestre, apprezzandosi dello 0,6% ma rimane al di sopra della media mobile a 200gg.

 

MARKET MOVERs:

USA – L’indice Empire della NY Fed a febbraio potrebbe risentire negativamente del maltempo di inizio mese, ma registrare un miglioramento per la conclusione dello shutdown. La previsione è una moderata risalita: l’indagine della Fed di NY dovrebbe segnalare un proseguimento della ripresa, anche se a ritmi meno forti rispetto al 2018.

I prezzi all’import a dicembre sono previsti in leggero calo, con una contrazione più contenuta rispetto ai mesi precedenti grazie alla stabilizzazione del prezzo del petrolio.

La produzione industriale a gennaio dovrebbe essere in aumento solo marginale, alla luce delle informazioni sulle ore lavorate. Il settore utility dovrebbe essere l’unico in crescita, grazie al significativo calo delle temperature in molte aree a fine mese.
Nel manifatturiero, l’output dovrebbe calare dopo +1,1% m/m a dicembre, in linea con le indicazioni.
L’estrattivo è previsto in contrazione: gli occupati nel mese sono calati e il prezzo del petrolio è ancora coerente con un periodo di flessione.

La fiducia dei consumatori rilevata dall’Univ. of Michigan a febbraio potrebbe risalire con la riapertura degli uffici federali e il miglioramento dei mercati da inizio anno.