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04 Aprile 2019 – nota economica giornaliera

ITALIA – I dati relativi al 4° trimestre sui principali aggregati di finanza pubblica hanno confermato i dati annuali già diffusi sul 2018, che ha visto un deficit al 2,1% del PIL (dal 2,4% del 2017), per effetto di un miglioramento del saldo primario dall’1,4% all’1,6%, e un debito al 132,1% (dal 131,3% dell’anno precedente).
Nel trimestre, il disavanzo è stato superiore di un decimo rispetto allo stesso periodo del 2017 (2%), per effetto di un minor avanzo primario (1,7%), mentre la spesa per interessi è rimasta sostanzialmente invariata (e nonostante un aumento di due decimi della pressione fiscale a 48,8%).
In sintesi, i dati di finanza pubblica non aggiungono molto a quanto già noto sui valori annui dei principali aggregati, anche se la tendenza a fine anno è in lieve peggioramento. Gli indicatori sulle famiglie sono peggiori del previsto, perché mostrano come il trend di miglioramento del reddito disponibile si sia interrotto nella prima metà del 2018. Viceversa, sono più incoraggianti i dati su profitti e tasso di investimento delle imprese.
• Nel 4° trimestre, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è diminuito di -0,2% t/t in termini nominali e -0,5% t/t in termini reali: è la flessione più ampia rispettivamente da 4 anni e mezzo e da 6 anni. Ciò appare dovuto al calo dell’occupazione nel periodo (-0,2% t/t: seconda flessione consecutiva, non accadeva dal 2013). Peraltro, le famiglie hanno mantenuto un buon ritmo di crescita dei consumi in termini nominali (+0,5% t/t): di conseguenza la propensione al risparmio è calata a 7,6% (dal 2012 ad oggi, solo una volta il tasso di risparmio è stato più basso).
• Sempre nel 4° trimestre, la quota di profitto delle società non finanziarie è salita rispetto al trimestre precedente (che rappresentava un minimo da oltre tre anni).
Anche il tasso di investimento è salito, sia pure in misura più modesta, di appena un decimo (bisogna tornare al 2011 per trovare un livello più elevato).

ITALIA – Il PMI servizi a marzo è balzato assai più del previsto a 53,1 (da 50,4 di febbraio).
È un massimo dallo scorso settembre. Si nota in particolare un recupero per l’indice sui nuovi affari, salito a 53 a marzo dopo essere sceso in territorio recessivo a febbraio per la prima volta da sei anni (a 49,8). In recupero anche le aspettative sugli affari (da 61,8 a 64,2, massimo da quasi un anno), quelli attuali e l’occupazione.
Di conseguenza, il PMI composito è salito a 51,5 da 49,6, tornando in territorio espansivo per la prima volta da sei mesi (nonostante l’indagine sul manifatturiero avesse fatto segnare nel mese un ulteriore calo a 47,4 da 47,7).
In questa fase, la divergenza tra industria e terziario riguarda tutti i principali Paesi europei, perché sul manifatturiero pesa in misura decisamente maggiore la debolezza del commercio internazionale.
Per quanto riguarda l’Italia, già l’indagine Istat sui servizi mostrava un rimbalzo a marzo, anche se meno marcato rispetto al (più volatile) PMI.
In ogni caso, il ritorno all’espansione nei servizi dovrebbe almeno nel breve termine compensare la contrazione dell’attività nell’industria: ciò a nostro avviso potrebbe essere coerente con una crescita-zero su base congiunturale nel primo trimestre, seguita da un modesto +0,1% t/t nei mesi primaverili (nel caso in cui anche le indagini sul manifatturiero mostrino un recupero a partire da aprile).
Per una espansione più significativa bisognerà nella migliore delle ipotesi aspettare la seconda metà dell’anno. Ma i rischi su tale scenario restano a nostro avviso verso il basso.

GERMANIA – Gli ordini all’industria crollano a febbraio, con una contrazione di -4,2% m/m e -8,4% a/a. dopo -2,1% m/m di gennaio (rivisto da -2,6% m/m).
Gli ordini domestici sono in calo di -1,6% m/m, ma quelli esteri segnano un tracollo di -6% m/m. La debolezza degli ordini è diffusa.
I beni capitali (-6% m/m) sono trainati verso il basso dall’export (-7,4% m/m).
Per i beni di consumo si registra una correzione di -3,5% m/m, con gli ordini domestici in aumento di 1,3% m/m, non sufficiente a controbilanciare il calo estero di -6,9% m/m.
Una nota del Ministero dell’Economia segnala che “l’attività nel manifatturiero resterà debole nei prossimi mesi, in particolare per via dell’assenza di domanda estera”. Anche le indagini continuano a segnalare una protratta debolezza della domanda di beni manufatti tedeschi dall’estero.

STATI UNITI – La stima ADP degli occupati non agricoli privati a marzo registra una variazione di 129 mila.
L’occupazione cresce in tutte le dimensioni di impresa, mentre la disaggregazione per settore mostra una contrazione nell’industria (-6 mila) e un aumento solido nei servizi (+135 mila).
Per quanto riguarda l’industria, l’estrattivo segna un incremento di 2 mila unità, mentre costruzioni e manifatturiero registrano contrazioni (-6 mila e -2 mila, rispettivamente).
Nei servizi, le variazioni più ampie sono quelle di istruzione e sanità (+56 mila), e servizi alle imprese (+41 mila); sono positivi anche l’ospitalità (+13 mila), l’informazione (+11 mila) e gli altri servizi (+6 mila, mentre nella finanza i posti calano di 1000 unità.
Con l’attuale livello del tasso di partecipazione e una crescita di occupati in linea con la stima ADP di marzo, il tasso di disoccupazione sarebbe marginalmente inferiore alla proiezione del FOMC di 3,7% a fine 2019. Con un ritorno della partecipazione al livello medio del 2018, 2 decimi sotto il livello di febbraio, il tasso di disoccupazione a fine anno sarebbe a 3,4%. Per stabilizzare il tasso di disoccupazione con il tasso di partecipazione al livello attuale di 63,2%, la crescita di occupati dovrebbe essere di circa 110 mila al mese. È questa la chiave di lettura con cui valutare i dati di occupazione, sapendo che una dinamica in linea con quella del 2018, poco sopra 200 mila, non è sostenibile: come affermano da tempo le imprese, la scarsità di manodopera continua a crescere e determina anche riduzione di piani di produzione.

STATI UNITI – L’ISM non manifatturiero a marzo corregge a 56,1 da 59,7 di febbraio.
Attività e ordini calano dai livelli straordinariamente di febbraio (attività a 57,4 da 64,7, ordini a 59 da 65,2), mentre sono in aumento l’occupazione (a 55,9 da 55,2) e i prezzi (a 58,7 da 54,4).
Il livello dell’indice composito di marzo sarebbe coerente con una crescita di 2,6% t/t ann. Le imprese riportano che gli ordini si stanno normalizzando dopo la volatilità collegata agli aumenti dei dazi del 2018 e agli effetti del capodanno cinese. Sull’occupazione, si riporta costante difficoltà a reperire manodopera e assunzioni mirate a sostenere attività in crescita. I dati, nonostante la correzione di marzo, restano in linea con espansione dell’attività e crescita moderata del PIL nel 2° trimestre.

 

COMMENTI:

EUROZONA (BCE) – In pubblicazione i verbali della riunione di marzo. Pensiamo che potrebbero emergere dettagli sul perché la BCE ha rinviato la comunicazione sulle modalità operative delle nuove aste TLTRO III nonché sulle posizioni interne al Consiglio sull’opportunità di alterare la guidance sui tassi, come è stato fatto a marzo. Difficilmente vi saranno indizi su modifiche al regime di remunerazione delle riserve in eccesso, ventilato da Draghi la scorsa settimana.

BREXIT – Il primo incontro fra governo e opposizione laburista è stato “costruttivo”, ma Corbyn ha anche sostenuto che la posizione della premier era cambiata meno di quanto di aspettasse. Il dialogo continuerà oggi e nei prossimi giorni. Intanto, ieri la Camera dei Comuni ha approvato con un solo voto di scarto una proposta di legge che obbliga il governo a richiedere una lunga estensione all’Unione Europea e che attribuisce al Parlamento il potere di modificare la data della proroga. La proposta di legge dovrà essere approvata in seconda lettura dalla House of Lords, che la esaminerà nei prossimi giorni. Ricordiamo che la premier Theresa May era invece intenzionata a chiedere una breve estensione fino al 22 maggio.

USA-CINA – Il ritmo dei negoziati commerciali sta accelerando. Oggi potrebbe essere annunciato un incontro Trump-Xi per fine aprile, segnale quasi irreversibile di un accordo in tempi ravvicinati, se verranno risolti alcuni punti conflittuali relativi ai dazi imposti nel 2018.
Dal lato cinese, si richiede l’abolizione di tutti i dazi imposti nel 2018 dagli USA, su 250 mld di importazioni, come requisito per eliminare anche quelli imposti dalla Cina (su 110 mld di beni importati dagli Stati Uniti).
Dal lato USA, invece si mira a mantenere in vigore almeno una parte dei dazi come arma per monitorare l’implementazione delle altre parti di un eventuale accordo.
I principali punti di un eventuale accordo includono aumento di acquisti di beni (soprattutto agricoli) da parte della Cina, apertura commerciale per le imprese USA nel settore dei servizi, fine del trasferimento forzato di tecnologia richiesto attualmente per operare in Cina (in parte già in discussione per modificare la legislazione che regola gli investimenti esteri), liberalizzazione dell’attività di aziende estere che operano nel settore del cloud-computing, controllo di farmaci oppioidi.
Il rappresentante del commercio Lighthizer punta anche su un altro elemento per il monitoraggio del rispetto degli accordi: in caso di dispute, le vertenze verrebbero valutate da una commissione bilaterale e si dovrebbe prevedere una clausola che preveda possibili rialzi unilaterali dei dazi da parte degli USA (almeno parziali, se non totali) in caso di mancato rispetto degli impegni. Poiché la Cina è assai reticente a siglare un compromesso che preveda il mantenimento dei dazi USA a fronte di una eliminazione di quelli cinesi, la clausola di rialzo unilaterale dei dazi in caso di disputa potrebbe essere usato da Lighthizer come fattore favorevole agli USA.
In caso di annuncio di un summit fra i due presidenti a fine aprile, si avvicinerebbe la chiusura della guerra commerciale con la Cina, appena in tempo per mettere mano alla questione dei dazi sulle auto.
Infatti, il presidente ha tempo fino a metà maggio per rispondere al rapporto del Commerce Department (non ancora reso pubblico) che probabilmente conclude con indicazioni di dazi e/o quote sulle importazioni di auto e componenti in base a rischi per la sicurezza nazionale.
Eventuali dazi nel comparto avrebbero ripercussioni pesanti sui principali alleati degli USA: Europa (soprattutto Germania), Giappone, Corea.
Canada e Messico potrebbero essere esclusi, ma gli accordi preliminari siglati a fine 2018 devono ancora essere approvati in Congresso, insieme alla nuova versione del NAFTA, ancora nel limbo.