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La giurisprudenza creativa della Suprema Corte in tema di aree naturali protette (e il reato di falso della barratura della casella del modulo a stampa)

Cass. Sez. III Pen. 12 marzo 2014 n. 11875

1. Il caso, che ha dato origine ad una messa a punto della giurisprudenza in tema di aree naturali protette, è stato offerto alla Suprema Corte dal ricorso per cassazione di un costruttore alla ricerca del condono per un abuso edilizio consumato su un’area situata nell’Alta Murgia. A questo fine l’imputato aveva presentato apposita domanda barrando con «no» la casella segnata dalla dicitura «immobile soggetto a vincoli di tutela», convinto che l’area su cui aveva realizzato l’abuso non fosse protetta, ma il Tribunale di Altamura aveva ritenuto che fosse in contrasto con la sussistenza, nella specie, delle zone ZPS e p/SIC quali aree protette per legge: donde il rigetto dell’istanza di condono e la condanna per il reato ascrittogli. Ad identica conclusione era pervenuta la Corte d’appello.

L’imputato, peraltro, aspirava alla prescrizione del reato intervenuta, per decorso del termine, qualche giorno dopo la sentenza d’appello, ma la Suprema Corte – a cui la questione era stata proposta – non l’ha accolta perché, «secondo la propria consolidata giurisprudenza, l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.» (1). In queste condizioni «essendo il ricorso inammissibile, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 16 giugno 2000, n. 186)», il ricorso è stato rigettato con la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria.

Ma le conclusioni a cui la Suprema Corte è pervenuta non convincono.

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Innocenzo Gorlani