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Il cambio di destinazione in area vincolata mediante le prescrizioni del piano paesaggistico

Cass. Sez. III Pen. 16 settembre 2015, n. 37358

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, emanato nel 2004, ha offerto la tanto invocata definizione giuridica di paesaggio. Dell’esistenza di un paesaggio si potrà, dunque, parlare, allorché ci troviamo di fronte ad una parte omogenea di territorio espressivo di identità, i cui caratteri, culturalmente rilevanti, derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni. Come si vede, si tratta di una definizione quanto mai lata, dove è assente, o meglio, non viene rilevato in modo precipuo, l’interesse pregresso della particolare bellezza, mentre altri interessi, evidentemente, sono già in grado di qualificare un paesaggio, quando, ad esempio, in un determinato comprensorio territoriale sia significante l’interesse storico e naturalistico nelle diverse loro profilature. Di certo, il paesaggio così definito configura un contenitore decisamente ampio, tale da comprendere al suo interno, accumulandoli in un medesimo destino, sia i beni caratterizzati da una particolare bellezza ed individuati con un atto amministrativo a carattere puntuale in conseguenza di una ricognizione sul territorio, ai sensi della legge n. 1497 del 1939, sia altri beni tipizzati dall’interesse ambientale e rilevati con tutt’altra procedura, ossia in base alla categoria di appartenenza e mediante atto legislativo, più esattamente per effetto diretto delle disposizioni della legge n. 431 del 1985, più tardi riprodotta con modifiche non sostanziali, nel Testo Unico dei beni culturali e paesaggistici n. 490 del 1999 ed oggi rinvenibile nel d.lgs. n. 42 del 2004.

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Alberto Abrami